Hank Williams picture

Come fulmineo era stato il successo di Love Sick Blues altrettanto lo fu il suo ingresso nell’olimpo delle country super star con tutti i vantaggi che ne derivarono. I problemi finanziari cessarono del tutto (200.000 dollari all’anno di guadagni), le serate e i concerti si intensificarono, la MGM gli fece addirittura firmare un contratto cinematografico della durata di 5 anni che peró non ebbe seguito a causa della sua inaspettata morte nel 1953. Sempre assistito da Fred Rose, che era presente ad ogni recording session in qualità di arrangiatore, produttore e a volte di musicista (piano), Hank cominciò così ad incidere canzoni che con regolarità quasi monotona giungevano ai primissimi posti delle classifiche.

Dal 1949 furono Mind Your Own Business, Wedding Bells, Your Gonna Change, My Buckets Got A Hole In It, ecc., del 1950 Moanin’ The Blues, Why Don’t You Love Me, Just Don’t Like This Kind Of Leavin ecc., del 1951 le popolarissime Cold Cold Hearth, Hey Good Looking, Howling At The Moon ecc, del 1952 l’arcinota Jambalaya e Half As Much, Sittin’ The Woods On Fire, Honky Tonk Blues ecc.
Poi improvvisamente, proprio all’apice della carriera, mentre nulla sembrava oscurarne la fama, un attacco di cuore, probabilmente dovuto all’eccessivo bere, gli fu fatale. Era il 1° Gennaio 1953 quando fu trovato morto nel sedile posteriore della sua Cadillac dall’autista che lo stava portando a Canton, Ohio dove avrebbe dovuto esibirsi assieme ai Drifting Cowboys.
Geniale nel lavoro quanto sregolato nella vita privata, Williams trascorse gli ultimi mesi della sua difficile esistenza nell’acuirsi di problemi che da tempo lo affliggevano. Fu un periodo disastroso. Quasi sempre ubriaco, e ormai dipendente dai farmaci (divenuti una droga) che servivano per lenirgli il dolore alla spina dorsale causato da una antica caduta da cavallo, fu cacciato dal Grand Ole Opry nell’agosto del 1952 e finì per divorziare dalla moglie Audrey risposandosi subito dopo con la figlia di un poliziotto della Louisiana (Billie Jones).

Nonostante il pessimo umore e il particolare carattere che rendeva difficile ogni suo rapporto di lavoro, Hank Williams fu sempre amato e rispettato da tutti e ai funerali, celebrati il 4 gennaio a Montgomery tra i più imponenti mai visti a cui presenziarono oltre 20.000 persone, numerosissime furono le personalità di spicco del mondo musicale di Nashville che testimoniarono il loro sincero cordoglio.
Con la sua morte si chiudeva dunque un’epoca felice e ricca di fermenti musicali che aveva visto l’affermarsi del genere honky-tonk attraverso interpreti come Ernest Tubb, Floyd Tillman, Lefty Frizzel ecc.., la grande popolarità di Roy Acuff, celebrato ‘mountain singer’ del Grand Ole Opry, l’ancora attiva presenza di Bob Wills e della musica western swing, la fama di cantanti come Red Foley, Carl Smith, Hawkshaw Hawkins, Jimmy Dikens, Hank Snow ecc.. Di li a poco il nascente rock-and-roll avrebbe causato profondi mutamenti in seno alla country music.
Quale fu il segreto del successo di Williams? A parte il determinante aiuto di F. Rose, diverse furono le qualità che concorsero a farne un grande intrattenitore e prima fra tutte la sincerità, la totale sincerità che gli permetteva di comunicare come pochi altri i propri sentimenti e le proprie sensazioni attraverso le genuine liriche delle sue canzoni.

“Il successo di questa musica” spiegava lo stesso Hank “sta proprio nella sincerità. Quando un country singer canta una canzone pazza, egli si sente pazzo, quando canta I Laid My Mother Away vede la propria madre giacere lì nella bara. Canta con maggior sincerità di tanti altri perché è cresciuto più rozzamente…”.
Alcool permettendo, quando si presentava in palcoscenico esercitava sugli spettatori un fascino tutto particolare riuscendo soprattutto gradito al pubblico femminile che ne apprezzava la disinvoltura e la tipica bellezza campagnola. Di fronte al microfono, nella classica posizione che vedeva, chitarra a tracolla, rivolto alla platea con le ginocchia leggermente piegate, Williams dava sempre il meglio di se affrontando con estrema serietà le canzoni che cantava, come se i versi di queste esprimessero effettivamente esperienze personali vissute (il che non era certo infrequente). Dotato di una voce leggermente nasale, tagliente ed estremamente duttile, era in grado di cantare qualsiasi cosa: dalla tipica ‘sad song’ con tanto di struggente lamento all’ispirato gospel, dal blues alle ‘talked songs’, da motivi ritmati a pezzi difficoltosi come Love Sick Blues.

Il repertorio di questo ‘Irvin Berline da pagliaio’ o se si preferisce ‘hillbilly Shakespeare’, come ebbero a definirlo allora, era quanto mai vasto e comprendeva quasi esclusivamente sue composizioni, fatto non comune per quei tempi che non conoscevano ancora prolifici cantautori come Kristofferson, Dylan ecc..
Scrisse circa 125 canzoni tra cui diverse, autentici best seller, accettate con favore dal mondo della musica ‘pop’ e incise da cantanti come Tony Bennett (Cold Cold Hearth), Joni James (Your Cheatin’ Hearth), Jo Stafford (Jambalaya), Guy Mitchell (I Can’t Help It),Tommy Edwards (You Win Again) ecc.. che vendettero milioni di copie. Sebbene già in passato altri country singers avessero avuto occasione di attraversare con successo confine tra musica country e pop (si pensi ad esempio a Pistol Paking Mama di Al Dexter, You Are My Sunshine di Jimmy Davis, Tennessee Waltz di Patsy Cline ecc.) andò soprattutto a Williams il merito di aver gettato i ponti fra i due generi, e ciò abbastanza paradossalmente se ci si rende conto di quanto fosse radicato nella tradizione rurale.

Nei propri moduli espressivi, tuttavia, Williams non rifletteva solamente la vita e gli aspetti dell’antico Sud, ma anche la cultura di quelle nuove forze che ne avevano tentato l’urbanizzazione. Felice sintesi tra vecchio e nuovo, fu dunque un tipico cantante country con la speciale abilità di comporre canzoni che riuscivano gradite anche a coloro che non avevano diretti legami col mondo rurale.
Il suo stile, che sembrava un compromesso fra quelli di Ernest Tubb e Roy Acuff (l’influenza di quest’ultimo è riscontrabile maggiormente nelle prime incisioni), si era sviluppato principalmente, agli inizi della carriera, nelle numerose honky-tonks che aveva frequentato, dove la musica che vi si suonava aveva assunto caratteristiche tali da emergere quasi a forma autonoma. Queste honky-tonks responsabili della nascita dell’omonimo genere musicale popolare negli anni ’40 e con alterne vicende anche in seguito, erano una sorta di taverne dall’aria un pó equivoca che servivano agli avventori (per lo più gente semplice di campagna, operai, camionisti ecc.) alcolici, donne e musica. L’atmosfera che vi regnava era greve e chiassosa e spesso scoppiavano violente risse che a volte coinvolgevano gli stessi musicisti la chiamati ad intrattenere il pubblico.

La musica country che qui entrò dovette adeguarsi a tale ambiente e divenne perciò più fragorosa e fu caratterizzata da un insistente e marcato battito del tempo. Anche i testi delle canzoni cambiarono affrontando nelle loro liriche tematiche più aderenti a quella particolare realtà sociale.
Fiddle e steel guitar furono gli strumenti protagonisti dell’honky-tonk sound presenti naturalmente anche nella band di Williams: i Drifting Cowboys. La storica formazione che Hank creò nel luglio del 1949 all’indomani del debutto all’Opry originariamente comprendeva Don Helms (steel guitar), Jerry Rivers (fiddle), Bob McNett (lead guitar) e Hillous Butrum (bass), tutti musicisti giovani e poco conosciuti che però seppero ‘crescere’ e rendere originale ed incisivo il loro rapporto.
In particolare Don Helms che fin da piccolo si era interessato alla steel guitar ed aveva avuto come idolo e ideale maestro Leon McAuliff, risultò l’artefice principale del distintivo sound del gruppo. L’abilità di cui era dotato lo portava spesso ad improvvisare uscendo dai rigidi schemi degli arrangiamenti previsti, mentre il malinconico suono della sua steel si accompagnava a quello altrettanto malinconico della voce di Hank.
Durante il breve periodo di attività assieme al loro ‘leader’ i Drifting Cowboys divennero la ‘country band’ più famosa di Nashville. L’importanza di Williams, il sincero e genuino ‘country boy’ dell’Alabama che non imparò mai a leggere la musica, che aveva difficoltà ad esprimersi correttamente e che conservò sempre la sua semplicità è stata indubbiamente grande, e l’influenza che ha avuto su tutta la musica in generale (non solo country) ne fanno un personaggio degno, senza ombra di retorica, dell’appellativo di leggendario.

Primo membro della Country Music Hall of Fame eletto nel 1961 insieme a Fred Rose e Jimmie Rodgers, a distanza di tanto tempo è sempre attuale e rivive continuamente nelle cover che molti artisti fanno ancora delle sue canzoni, nei film, libri, e show televisivi che vengono a lui dedicati, nelle continue riproposte, sempre più meticolose, di tutte le sue incisioni.
Chi veramente ama la musica country non può permettersi di ignorare Hank Williams, tantomeno non apprezzarlo.

Cenni discografici, bibliografici, etc. (CD, Libri, Video)

Discografia
La carriera discografica di H. Williams inizia l’11 Dicembre 1946 a Nashville nello studio D della Castle Recording Company. Vi registrò 4 sue canzoni per la Sterling Records accompagnato dagli Oklahoma Wranglers (in seguito noti come Willis Brothers) sotto il nome di Country Boys. La successiva sessione, sempre per la stessa etichetta, con altri 4 pezzi, si verificò il 13 Febbraio 1947.
Alcuni mesi più tardi passò alla MGM per restarvi fino alla fine della carriera. Durante questo periodo, che va dal 21 Aprile 1947 al 23 Settembre 1952, partecipò a circa 35 sessioni discografiche e incise oltre 90 dischi, che a quell’epoca erano costituiti da 78 giri e successivamente 45 giri. Solo molto tempo dopo la sua morte la MGM stampò il primo 33 giri (1955), primo di una lunga serie che è continuata fino ai giorni nostri.

Tra i musicisti che accompagnarono Williams nelle prime registrazioni si annoverano nomi di prestigio quali Chubby Wise, Jerry Byrd, Owen Bradley, Tommy Jackson, Dale Potter, ecc. fino allo stesso Fred Rose.
I Drifting Cowboys (la band che accompagnò Williams dal 1949) incisero con Hank per la prima volta il 9 Gennaio 1950. Composti, come si è già detto, da Bob McNett (lead guitar), Jerry Rivers (fiddle), Don Helms (steel guitar) e Hillous Butrum (basso) rimasero nella formazione originale fino all’estate del 1950 quando Howard ‘Cedric Rainwater’ Watts prese il posto di H. Butrum e Sammy Pruett quello di B. McNett.

Dopo la morte di Williams, negli anni 50, la MGM, nell’intento di riproporre l’artista con prodotti che fossero sempre ‘nuovi’ o in qualche modo originali, iniziò un’opera di manipolazione delle registrazioni di H. Williams aggiungendo accompagnamenti estranei a ‘demo tapes’ casalinghi, procedendo con sovraincisioni ecc., fino ad arrivare, negli anni 60, ad aggiungere intere sezioni d’archi orchestrate secondo i classici moduli della musica pop.
Le moderne tecnologie arrivarono poi a far duettare insieme (cosa che ovviamente non era possibile nella realtà) Hank Snr e il figlio Hank Jnr.

Solo verso la fine degli anni ’70 iniziò la controtendenza e finalmente videro la luce i primi dischi che riportavano la musica di Williams al suono originale non adulterato.
La PoliGram nel 1978 realizzò un doppio LP intitolato 40 Greatest Hits costituito dai successi più significativi di Hank perfettamente restaurati nel genuino suono monofonico. Successivamente a questo album (ottimo viatico per il collezionista agli esordi) prese corpo a metà degli anni ‘80 l’interessante e meritorio progetto curato da Colin Escott e Hank Davis inteso a ristampare tutte le registrazioni di Williams effettuate in studio, riproposte in ordine cronologico, rimasterizzate per ottenerne il massimo della qualità, e soprattutto non alterando in nessun modo il sound originale.

Furono così ripresentati 168 brani (comprendenti alcuni demo ancora inediti) in una collana di doppi LP che ora sono diventati (come prevedibile) una serie di 8 CD:

Ain’t Got Nothing But Time – Dec. 1946, Apr. 1947 Vol. 1 (Polydor 825 548-2), 1985;
Lovesick Blues – Aug. 1947, Dec. 1948 Vol. 2 (Polydor 825 551-2), 1985;
Lost Highway – Dec. 1948, March 1949 Vol. 3 (Polydor 825 554-2), 1985;
I’m So Lonesome I Could Cry – March 1949, Aug. 1949 Vol.4 (Polydor 825 557-2), 1986;
Lone Gone Lonesome Blues – Aug. 1949, Dec. 1950 Vol. 5 (Polydor 831 633-2), 1987;
Hey, Good Lookin’ – Dec. 1950, July 1951 Vol. 6 (Polydor 831 634-2), 1987;
Let’s Turn Back The Years – July 1951, June 1952 Vol. 7 (Polydor 833 749-2), 1987;
I Want Be Home No More – June 1952, Sept. 1952 Vol. 8 (Polydor 833 752-2), 1987.

Sempre in versione CD è possibile trovare il sopraccitato 40 Greatest Hits (Polydor 821 233-2), 1978.

Nel 1990 vide poi la luce un nuovo cofanetto (3 CD, 84 canzoni) che si situava come una attraente via di mezzo tra la prima collezione (1 CD) e la seconda (8 CD). L’album, intitolato Hank Williams – The Originai Singles Collection, Plus… (Polydor 847 194-2), anche se non esattamente comprensivo di tutti i singoli realizzati da Williams, si fa apprezzare per l’elevata qualità del suono restaurato, l’interessante opuscolo con le note di C. Escott, e alcuni inediti tra cui la versione originale di There’s A Tear In My Beer, canzone che ebbe anche una tecnologicamente avanzata versione videoclip che vedeva H. Williams Jnr. cantare insieme al padre sullo stesso palcoscenico.
Anche la Country Music Foundation realizzò tra l’85 e l’86 due interessanti LP entrambi costituiti da rari ‘demo tapes’ (Just Me And My Guitar, The First Recordings). Oggi sono raccolti in un unico CD che ne ha migliorato ulteriormente la qualità del suono: Rare Demos: First To Last (Country Music Foundation CMF-067-D), 1990.

E per concludere questa discografia, che per praticità si occupa solo dei CD, citiamo un’ultima realizzazione della PolyGram, assai interessante e complementare a quanto già visto, costituita da due CD che contengono 8 programmi radiofonici registrati da Williams nel 1949, i ‘famosi’ Health & Happiness Show, imperdibili per ogni devoto fan che qui vi ritrova integra l’atmosfera dei country radio show di quell’epoca e che permette di ascoltare anche le performances di Audrey Williams, la prima moglie di Hank. La confezione si intitola: Health & Happiness Show (Polygram 314 517 862-2), 1993.

Bibliografia
Come era prevedibile, il mito di Hank Williams è stato anche oggetto di numerose pubblicazioni in forma di libri, opuscoli ecc. La sua vita, la musica, la personalità, gli aspetti collaterali sono stati trattati da diverse angolazioni e con crescente interesse. A partire dal 1967, quando Jerry Rivers (il fiddler dei Drifting Cowboys) scrisse la prima biografia: Hank Williams – From Life To Legend (Denver, Heather Enterprises, 56 pagine), i tentativi di raccontare la vita del grande cantautore si sono succeduti aumentando progressivamente soprattutto negli ultimi anni.
Lodato, criticato, minuziosamente analizzato, H. Williams, ‘hillbilly Shakespeare’ o ‘abile’ illetterato che fosse, conserva tuttavia integri il grande fascino e la straordinaria importanza che ha avuto in seno alla musica country.

Tra le biografie più significative citiamo quella di Roger M. Williams stampata per la prima volta nel 1970 che ebbe due successive edizioni Sing A Sad Song – The Life Of Hank Williams (Urbana, University of Illinois Press, 1981). Questa edizione, che consigliamo, contiene anche in appendice una dettagliata discografia curata da Bob Pinson.
Dai toni romanzati, e adatta ad un pubblico più vasto di quello country tradizionale, è l’opera di Chet Flippo Your Cheatin’ Hearth: A Biography Of Hank Williams (New York, Simon & Shuster, 1981, 251 pagine).
Senza particolari spunti o approfondimenti di rilievo (e con qualche caduta retorica) troviamo anche Jay Caress ex country DJ, cantante, editore: Hank Williams: Country Music’s Tragic King (New York, Stein & Day, 1979, 253 pag.).

Ultimo in ordine di tempo è il bel libro di Colin Escott che abbiamo già visto essere il produttore di importanti collezioni discografiche oltre che autore del volume Good Rocking Tonight: Sun Records & The Birth of Rock & Roll. Con l’aiuto dei coautori George Merritt e William MacEwen, due super esperti di Williams, Escott scrive quella che parrebbe essere la biografia più completa e accurata, quella definitiva: Hank Williams, The Biography (Boston, Little Brown, 1994, 307 pag.).

Altri libri riguardanti H. Williams sono:
-The Life And Times Of Hank Williams (Arnold Rogers & Bruce Gidoll, Nashville, Haney-Jones Books, 1993, 328 pag.) interessante perchè gran parte è dedicata alla raccolta dettagliata di tutti gli avvenimenti, non solo country, che anno per anno cadenzavano il mondo dello spettacolo durante la vita di Hank;
-Hank Williams, The Complete Lyrics (Don Cusic, New York, SLMartin’s Press, 1993, 152 pag.); -Still In Love With You, The Story Of Hank & Audrey Williams (Lycrecia Williams & Dale Vinicur, Nashville, Rutledge Hill Press, 1989, 199 pag.), la figliastra di Williams racconta la vita dei famosi coniugi dal suo osservatorio familiare;
-Ain’t Nothin’ As Sweet As My Baby, The Story Of Hank Williams’ Lost Daughter (Jett Williams with Pamela Thomas, San Diego, HBJ, 1990, 338 pag.) autobiografia, con contorno country, della oggi riconosciuta figlia di H. Williams nata, dalla sua unione con l’amica Bobby Jett, cinque giorni dopo la morte del padre.

Cinema
Il cinema si occupò di Hank Williams negli anni sessanta portando per la prima volta sullo schermo la vita di un cantante country. Il film Your Cheatin’ Hearth, non è certo da paragonarsi a più recenti produzioni come Coal Miner’s Daughter o Sweet Dreams dove Sissy Spacek e Jessica Lange interpretavano, sorrette da una buona sceneggiatura, rispettivamente Loretta Lynn e Patsy Cline. Il film, del 1964, interpretato da George Hamilton più attento a recitare se stesso che la parte di H. Williams, doppiato nelle canzoni da Hank Jnr., e prodotto da uno specialista di instant movie a basso costo e rapida realizzazione come Sam Katzman (Rock Around The Clock, Kissin’ Cousins, ecc.) piacque tuttavia al pubblico e in parte anche alla critica (?). Rivisto oggi, il giudizio non è così benevolo anche perché, come ci hanno rivelato i recenti biografi, il taglio quasi ‘agiografico’ della pellicola non si addice certo alla complessa e tormentata personalità di Williams la cui vita è qui, peraltro, troppo romanzata e costellata di imprecisioni e grossolane dimenticanze (nessuna menzione, ad esempio, del suo secondo matrimonio con Billie Jones).

Un secondo tentativo di indagine, venne dal Canada nel 1983 con il film Hank Williams, The Show He Never Gave. Basato su una piece teatrale di Mynard Collins e girato con uno sconosciuto Sneezy Waters nel ruolo principale, paradossalmente si avvicina meglio al carattere di Hank Williams, descrivendo ipoteticamente lo spettacolo che avrebbe dovuto tenere a Canton, Ohio il 1° Gennaio 1953 se non fosse morto poche ore prima durante il trasferimento.
Il primo film è già stato trasmesso dalla televisione italiana (TMC) in versione ‘colorizzata’, il secondo è ancora inedito. Di entrambe non esistono ancora versioni in videocassetta.

Di una videocassetta, in commercio da quest’anno, parliamo infine. Intitolata The Hank Williams Story, The Video Biography Of The Undisputed King Of Country Music (Prism Leisure Video PLATV 319, 60 min.), viene spacciata come uno studio biografico ricco di originali video-performance dell’artista. In realtà si tratta più semplicemente di un tributo a Williams da parte di noti personaggi come R. Skaggs, E. Harris, R. Travis, K. Kristofferson, W. Jennings, D. Yokam, H. Williams Jnr. ecc.. che intervallano alle canzoni brevi interviste. E non poteva essere diversamente poiché i filmati originali in cui compare H. Williams sono pochi e rarissimi. Sebbene sul retro della copertina si legga diverse volte sotto i titoli delle canzoni “..performed by H.Williams”, solo nel caso di Hey Good Looking si vede Hank dal vivo in palcoscenico, negli altri casi si sente la voce sullo sfondo di vecchie fotografie. Oltretutto quest’unico filmato presente (interessante solo per chi non l’abbia ancora visto) è sempre il solito, utilizzato dalla TV americana tutte le volte che si parla di Williams e mai trasmesso per intero. Anche in questo caso. La clip in questione è tratta da un episodio del Kate Smith Show del 1952 in cui furono ospitati esponenti del Grand Ole Opry tra cui anche Roy Acuff. La videocassetta, a parte queste precisazioni, è comunque interessante e ben confezionata, e contiene dell’ottima musica.

Mario Manciotti, fonte Country Store n. 26, 1994

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