A.A.V.V. – If I Have To Wreck L.A. Kent & Modern Records Blues Into The 60s vol.2(&1) cover album

Senza inutili celebrazioni commemorative, la selezione, curata e commentata da una delle più note autorità nel settore, Dick Shurman, che si è preoccupato anche di redigere un ricchissimo booklet dedicato sia alla descrizione dell’impalcatura del doppio disco che a brevi schede individuali per ogni artista, rappresenta un’interessante disamina sul blues di una delle più produttive aree geografiche americane, due volumi da annoverare fra le chicche da collezione, ma che anche da proporre a qualsiasi amante della musica blues per farsi una precisa idea su ciò che significava il genere in quel periodo di forte transizione.

La compilation comprende versioni misconosciute ma non meno preziose di numerosi brani nati nella West Coast degli anni ’50 e ’60. Los Angeles, all’epoca, rappresentava la patria adottiva dell’industria musicale, con una forte tradizione di etichette indipendenti come Speciality, Imperial e Aladdin.

Su tutte il gruppo Bihari Bros (RPM, Modern, Kent, Flair e Crown) che si impadronì di nuovi suoni e si occupò della loro fragorosa promozione. Dagli archivi Bihari, nel caso specifico basati prevalentemente sul repertorio P-Vine (l’etichetta giapponese specializzata nelle 12 battute), la produzione ACE Records recupera materiale che abbraccia soprattutto la prima metà degli anni ’60 nel volume uno e dal ’65 al ’76 nel volume 2, ripescando alcune perle rare e sorprese inaspettate, tant’è che la maggior parte dei brani compaiono solo oggi sul mercato del Regno Unito.

Dirty Work Going On

Il primo disco, Dirty Work Going On raccoglie ventisei tracce che vanno a ricostruire una parte del percorso di nove dei più grandi artisti passati dalle scuderie Kent e Modern Records. I primi sussulti di rhythm and blues e funk vanno a scandire il ritmo di una coscienza sociale riflessa nei testi, che sillabano il movimento per i diritti civili proprio quando lo scossone portava verso il cambiamento.

Otto di questi brani vennero pubblicati solo in edizioni limitate da P-Vine nel 1999, mentre sette risultano completamente inediti. Il nome che salta subito all’occhio nell’elenco delle tracce nella prima parte, è indubbiamente quello di B.B. King, l’artista che ha portato il maggior successo al gruppo Bihari, per il quale sarebbe superfluo spendere parole se non segnalando che la versione di Down Now qui presente è la terza di otto durante il cammino verso quella definitiva, ma un T-Bone Walker registrato a Chicago ci ricorda anche come la sua musica abbia influenzato in maniera importante grandi artisti contemporanei e del futuro.

La pensierosa e sofisticata Should I Let Her Go, ad esempio, è stata riadattata da Otis Spann e, fra le altre, l’entusiasmante Hey Hey Baby riproposta recentemente da Lurrie Bell, mentre l’organo che riempie gli echi dei fiati di Jealous Woman regala un’inaspettata prospettiva dell’artista.

A riempire la track list della prima puntata anche King Salomon e la sensuale Let Me Be Your Eagle Baby che esibisce una squillante chitarra, mentre la scheletrica Almost Midnight (con Jesse Sayles alla batteria) introduce un pianoforte in sottofondo a tagliarne la dimensione. Il ‘terribile blues’, come diceva il grande pianista della Bay Area George Hurst, di Fillmore Slim apre il disco con una partenza fulminante, Go Ahead, e in tre occasioni, la splendida voce soul di Larry Davis va a colorare il sound caratteristico di quegli anni.

Entrambi i volumi si può affermare introducano quello che è stato uno degli ultimi sussulti per il mercato dei singoli blues. Con l’arrivo degli anni ’70, infatti, l’enfasi venne trasferita sugli LP e le ristampe.

If I Have To Wreck L.A.

La seconda parte della selezione, If I Have To Wreck L.A., è invece dedicata a temi provenienti dalla scuola texana, gutbucket e downhome blues e arricchisce il racconto di altri ventiquattro brani, dei quali solo cinque uscirono all’epoca. Frizzanti armoniche vanno a prendere il posto dei fiati del primo volume, unica eccezione per Willie Headen che starebbe comunque bene su entrambi i dischi. Durante il periodo sotto contratto con la Kent Records il chitarrista di Austin, registrò solo quattordici brani per i fratelli Bihari, il resto del lavoro lo fece in precedenza con Dootsie Williams, ma senza mai raggiungere la celebrità.

Escludendo un singolo su Smogville e due su Kent, il resto delle tracce che ascoltiamo qui era inedito. La Take 1 di If I Have To Wreck LA che apre la compilation e le regala il titolo, risale al 1968: la voce dolorante è accompagnata da una lunatica chitarra blues, che replica la tristezza e la frustrazione di Willie.

Durante gli anni ’40, un gran numero di artisti dal Texas si trasferirono in California. Molti di loro sarebbero poi diventati figure influenti nell’impostazione degli stili musicali della West Coast. Come i lavoratori dei cantieri navali, i musicisti seguivano la linea ferroviaria principale dell’area in cui vivevano: dal Texas, i binari portavano a ovest, a Los Angeles.

I musicisti ‘urban’ e ‘country blues’ che si sono trasferiti a Ovest hanno portato con sé la vasta gamma espressiva disponibile in Texas, che includeva molto di più del blues: ragtime, boogie, ballate country e western swing, fino a diventare riferimento anche per la corrente californiana dalla seconda metà degli anni ’40 all’inizio dei ’50.

“Lo sviluppo del blues californiano può essere chiaramente fatto risalire al Texas. La massiccia migrazione di afroamericani in California durante gli anni ’40, incluso un gran numero di musicisti, ha contribuito a creare una situazione in cui il Texas style venne trasformato e adattato ad un nuovo impianto.”

C’è chi sostiene che forse il blues della West Coast è solo Texas blues sotto un clima migliore e con maggior accesso agli studi di registrazione, tuttavia questa non è esattamente la storia raccontata per intero. T-Bone Walker ha di sicuro acceso una miccia, ma gli stili musicali che la numerosa popolazione di immigrati ha portato con sé, hanno interagito con la cultura già esistente in California (in particolare a Los Angeles). “Gli ibridi e gli adattamenti emersi da questi scambi furono influenti nella formazione di due nuovi generi, Rhythm & Blues e Rock ‘n’ Roll, che avrebbero avuto un forte impatto sulla vita musicale negli Stati Uniti dagli anni ’50 in poi”.

Per questo, If I Have To Wreck LA è un secondo capitolo che racchiude molto più di ciò che sovviene all’orecchio. Tra i suoi paragrafi vi è l’eredità di una grande tradizione che andrà a costituire la struttura portante di una nuova era musicale. Da ricordare, fra tutti, il debutto in studio di Smookey Wilson, quando nel 1976 stava registrando quello che sarebbe diventato il suo album (edito l’anno successivo) Blowin ‘Smoke. Una delle canzoni registrate durante la sessione ma mai pubblicata era proprio You Told Me A Lie, con il suo sound cosparso di umori Delta, una gemma nascosta da tempo perduta.

Da aggiungere alla ricca lista di preziosi contributi, la debordante personalità di Big Mama Thornton (si spostò nella Bay Area dal ’61 suonando col chitarrista locale Johnny Talbot), con Before Day – Big Mama’s Blues, la misteriosa figura di Willie Garland con la sua armonica schietta e concisa in modalità ‘from Mississippi to Chicago’ nello strumentale Soul Blues, e una fantastica sessione risalente al ‘68 del ‘protetto’ di Lightnin Hopkins Luke ‘Long Gone’ Miles, la cui influenza è palesemente tangibile nel focoso boogie Gotta Find My Baby. Miles fu investito dal boom del folk negli anni ’60, divenendo un personaggio di rilievo per le collaborazioni a fianco di Sonny Terry e Brown McGee.

Il contributo di Maxwell Davis

Uomo A&R, direttore musicale per Aladdin Records e successivamente per Modern, figura fondamentale sulla scena californiana dagli anni 40, Maxwell Davis e la sua impronta diventano denominatore comune per buona parte della raccolta. Il sassofonista, produttore e arrangiatore che i cantautori Jerry Leiber e Mike Stoller, nella loro autobiografia a due mani Hound Dog, definirono “uno degli eroi non celebrati del primo Rhythm And Blues”, con i suoi corposi e fluidi arrangiamenti di sax caratteristici della metà degli anni ’50 (udibili in Eddie My Love registrata con le Teen Queens e Girl Of My Dreams dei The Cliques, per portare un riferimento) si affermò nel mondo della produzione.

Qui, occupandosi sia delle manovre melodiche che suonando gran parte delle tastiere, il lavoro di Davis si orienta sulla linea concepita con B.B. King negli anni ’60 (il periodo di Rock Me Baby, per intenderci) e riproposta con Lowell Fulson (dopo T-Bone Walker il più importante chitarrista nella tradizione blues della West Coast degli anni ‘40 e ’50) nel periodo del suo successo Black Nights del 1965.

Fulson fece le sue prime registrazioni con Bob Geddins alla fine degli anni ‘40. Il suo stile rifletteva l’atmosfera rurale del Texas, ma quando mise insieme un piccolo combo e iniziò a esibirsi nei locali, dovette adattare il suo sound a ciò che il pubblico voleva sentire.

Molti anni più avanti, disse della sua storia: “Non riuscivo a far suonare quella roba. Volevano sentirmi cantare il blues ma allo stesso tempo volevano una specie di suono da band”. Così Fulson iniziò a sviluppare nuove sonorità fortemente influenzato da T-Bone Walker e dal jump blues.

Davis afferrò il concetto proprio mentre la direzione stava cambiando e, messe da parte le sinuose sonorità del sax tenore e i guizzanti ottoni da piccola big band che avevano incorniciato le prime canzoni di BB, T-Bone Walker, Percy Mayfield, Jimmy Witherspoon, Johnny ‘Guitar’ Watson e tanti altri fino alla metà degli anni ’50, propese a favore di una ritmica più regolare e tastiere sintonizzate su melodie meno estemporanee.

L’uso crescente di sovraincisioni, comprese voci e fiati, andava poi a costituire il secondo tempo per completare la sceneggiatura, seguendo la tendenza di stereotipi musicali sicuramente più marcati che in passato. Il tutto, ad ogni modo, condotto con estrema professionalità.

Un po’ di storia

Negli anni ’60 il blues era in grave declino in tutto il paese, impensabile solo una decina di anni prima, quando il blues elettrico conquistò un’enorme popolarità partendo da Chicago, Memphis, St. Louis e Detroit, e grandi personaggi come Muddy Waters, Howlin Wolf, T-Bone Walker, Jimmy Reed, Lightnin’ Slim e B.B. King suonarono parte della colonna sonora degli anni ‘50. Perdendo in parte il favore della comunità nera, fu sostituito da altri generi musicali, in particolare rhythm & blues e soul.

La maggior parte dei critici pensarono che da quel momento in poi il blues fosse destinato a comparire solamente come una nota a piè di pagina nella storia della musica. Alcuni bluesmen della California lasciarono l’attività, altri cercarono di adattarsi ai nuovi stili. La scena di Los Angeles in gran parte si estinse, mentre nella Bay Area sopravvissero alcuni club che, negli anni ’70, iniziarono ad attirare un numero crescente di ascoltatori bianchi.

Una seconda generazione di artisti allargò il panorama e l’interesse, diversi anni dopo, tornò a crescere. Molti di loro avevano fatto la gavetta suonando con i più anziani e il debito fu riconosciuto. Joe Louis Walker, ad esempio, iniziò la sua carriera come supporter di Lowell Fulson e Jimmy McCracklin proprio nella West Coast.

Due etichette che stavano ancora firmando e pubblicando musica blues negli anni ’60 a dispetto della riluttanza generale, erano proprio Kent e Modern Records, di proprietà dei fratelli Bihari. I due avevano fondato la Modern nel 1945, seguita da RPM nel 1950, Meteor nel 1952 e poi Flair. La Kent nacque invece nel 1958.

La maggioranza dei brani contenuti in Kent & Modern Records Blues Into The 60s vol.1 e 2, non arrivò al vinile e in alcuni casi è rimasta in gran parte, o completamente, inascoltata per oltre 60 anni, se escludiamo la produzione di P-Vine.

“Insieme, i due volumi sembrano evocare un tempo e un luogo sempre più remoti”, si legge nelle note di copertina e forse davvero i suoni semivuoti e non lavorati che si perdono nel fascino delle composizioni prime e incompiute, vanno a legarsi al concetto etereo di lontananza e passato. Alcune versioni sono state incluse sia per la rarità delle stesse, ma anche per riempire gli scaffali degli appassionati.

La struttura scarna ed essenziale (ma non per questo meno attraente), lascia pensare che fossero state concepite in attesa di ulteriori aggiunte in fase di registrazione, dove ciò non è mai avvenuto. L’originalità quindi di ogni pezzo, assieme alla fetta di storia che questa musica si porta addosso, rappresenta il valore aggiunto di un disco legato a un’epoca e un territorio che per il blues rappresentano uno passaggio fondamentale.

Incisioni che raccontano un grande periodo di cambiamento, che coinvolge sì il pensiero musicale, ma anche società e realtà politica, già solo questo ne varrebbe l’ascolto: la trasformazione americana letta attraverso il suono del blues.

Degna di nota, presente in entrambi i dischi, la chitarra di Arthur Wright, uno dei rappresentanti più distintivi del caratteristico blues sound di LA degli anni ’50-’60 e prolifico musicista da studio per molti anni. Wright è forse più conosciuto per la sua chitarra in Part Time Love di Little Johnny Taylor.

Altrettanto eccellenti le sei corde di Arthur Adams, anch’egli sessionman di lunga data a LA, e presenza frequente nei dischi di quel periodo. Purtroppo non essendoci log di sessione, i credits, in balia del ragionevole dubbio, sono stati ricostruiti attraverso la collocazione dei musicisti nel periodo storico e un buon orecchio da parte di chi ha messo insieme il tutto. Wright aveva un approccio più acuto e fluido e il suo tocco caratteristico può essere riconosciuto su alcuni pezzi di Little Joe Blue e su altri di Fillmore Slim, King Solomon e Willie Headen.

A differenza di tante compilation che vogliono raccontare la storia del blues, in questo caso Dick Shurman ha preferito orientare la scelta su brani inediti, singoli dimenticati da tempo, musicisti meno popolari e b-sides registrati di nomi più conosciuti, omaggiando le due etichette simbolo di un’epoca.
Un’opera di ricostruzione che ha anteposto l’aspetto della qualità ad altri obiettivi forse più scontati rende questi due volumi indispensabili in una discografia.

Ace Ltd CDCHD 1571. CDCHD 1577 (Blues, Country Blues, Country Folk, 2020)

Helga Franzetti, fonte Buscadero, 2020

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