È una splendida giornata di maggio, l’Activity Center di Aliceville, in Alabama, s’è riempito di musicisti blues. Siamo nella Black Belt, a 16 miglia di distanza da Old Memphis, il paesino di poche anime dove viveva Willie King e questo è il luogo che gli amici di Willie hanno scelto per continuare il suo Freedom Creek Festival dopo la sua morte. L’Activity Center è una costruzione di legno circondata da immense distese di campi verdi, incorniciati quel giorno da un cielo così azzurro come solo quello dell’Alabama sa essere. Trattori e pick-up vintage adornano i campi e creano un’atmosfera sospesa tra passato e presente. È iniziata la musica e abbiamo capito perché Willie King non aveva voluto lasciare questa terra fertile, ma povera e piena di contraddizioni: c’è qualcosa in questa parte d’America che rende i blues più potenti e densi d’emozioni.
I musicisti ― molti del posto e alcuni venuti da Birmingham ― si sono ritrovati per raccogliere fondi in aiuto di ‘Birmingham’ George Conner, autore di pezzi che hanno fatto la storia del blues e un maestro che ha insegnato a tanti a suonare questo genere musicale (Willie King incluso). «George è sempre stato generoso ha insegnato quello che sapeva. I suoi amici non hanno dimenticato e in questo momento di bisogno sono venuti ad aiutarlo» ci spiega Johnnie Conner Binion, la sorella minore di ‘Birmingham’ George.
‘Birmingham’ George è malato di cancro e ha bisogno di denaro per medicine e cibo. Quello che lo stato dell’Alabama passa non è sufficiente. È un’emozione incontrarlo e poterci parlare. Ci dice che avrebbe suonato, ma non ha la forza di reggere in mano la chitarra e se ne sta seduto a godersi, come noi tutti, la bella musica che gli amici suonano per lui.
Ritorniamo ad Aliceville qualche settimana dopo e lo andiamo a trovare nel minuscolo appartamento nel quartiere di case popolari in cui vive. Quel giorno trascorso all’Activity Center, ci dice, è stato uno dei giorni della sua lunga vita da ricordare.
George Conner è nato nel 1934 in una fattoria nei pressi di Aliceville. È il terzo di 11 figli. Il padre, Charlie Clay Conner, era un contadino e un pastore freelance che predicava in diverse chiese battiste della zona, mentre la madre, Emma Mae Conner, faceva la mamma a tempo pieno. Papà Conner coltivava cotone, mais, allevava mucche e galline. Le chiese della zona facevano a gara per ospitarlo, perché le parole delle sue prediche erano potenti e appassionate e così anche la sua voce e la sua chitarra.
«Siamo cresciuti cantando i gospel. Tutte le sere, soprattutto d’estate, dopo il lavoro nei campi cantavamo tutti assieme. Il babbo aveva una voce bellissima ed era un maestro della chitarra. È da lui che ho imparato a suonarla da bambino. Ho sempre amato i gospel, ma il blues era la mia musica. A quei tempi era la musica più diffusa tra i neri da queste parti» racconta ‘Birmingham’ George.
Da giovane, prima di diventare pastore, anche papà Conner cantava e suonava i blues perciò non si è arrabbiato con il figlio quando ha preferito la cosiddetta ‘musica del diavolo’ ai gospel.
Se i gospel osannano il Signore, i blues parlano di sentimenti, della vita reale e spesso lo fanno in modo brutale. Ai vecchi tempi se non si cantava di Dio, voleva dire che si cantava dell’altra forza, del diavolo e da qui il nome. «Mio padre mi ha detto semplicemente che se Dio voleva che io suonassi il blues, era quello che dovevo fare. Non volevo però che a causa mia sfigurasse agli occhi dei suoi parrocchiani e mi sentivo in colpa. Lui invece mi incoraggiava. “Vai e suona” mi diceva».
E così ‘Birmingham’ George inizia a 13 anni a suonare in un piccolo club di Aliceville e nei cosiddetti ‘house parties‘, o in locali improvvisati nei giardini, nei garage o nei salotti delle case nere. «La band era composta da me e da un batterista. Ci facevamo chiamare Little George and The House Rockers. Suonavamo il vecchio blues e musica soul».
Agli inizi degli anni Cinquanta ‘Birmingham’ George lascia Aliceville. Va a Chicago per realizzare il suo sogno: diventare un musicista blues. Ha sentito tante storie sulla ‘città del vento’, sulla musica che riempiva le lunghe e diritte strade e sulla libertà che i neri potevano godere in quel posto a tante miglia di distanza dal Sud segregato. E lui è pieno di energia e voglia di nuove esperienze. Chicago gli appare come un luogo magico: in ogni angolo c’è un club dove si suona il blues. Sono gli anni dei primi amplificatori, delle chitarre elettriche e il volume della musica è così alto da riempire le strade della città di blues. «Erano gli anni in cui Muddy Waters e Howlin’ Wolf suonavano il blues elettrico, loro chiamavano rhythm & blues quella musica che i bianchi chiameranno poi rock & roll» ci racconta. A Chicago lo chiamano ‘Birmingham’ George, un nome che lo seguirà per tutta la sua carriera musicale. «Nessuno a Chicago sapeva dove si trovava Aliceville e quando mi chiedevano di dov’ero, dicevo d’essere di Birmingham, la città più conosciuta dell’Alabama. E così sono diventato ‘Birmingham’ George. ‘Aliceville’ George sarebbe stato un nome terribile (ride)».
Chicago è sì piena di vita e di musica, ma lontano dall’Alabama, dalla sua famiglia, ‘Birmingham’ George si sente solo. Anche nel Nord la vita per un uomo di colore non è facile: «La segregazione esisteva anche a Chicago. I neri non potevano mescolarsi ai bianchi, entrare e sedersi nei loro bar. Loro però venivano tranquillamente nei nostri club a sentire il blues. Gli piaceva. Ho suonato nei club bianchi della città e lo facevo nascondendomi dietro drappi o stanze nel retro. Era così al tempo».
In questo periodo della sua vita compone parole e musica di una della più belle canzoni del blues: Poor Boy, nota anche come Brother’s Tone. «Sono solo un povero ragazzo, tutto solo in questo mondo. Non ho nessuno da poter chiamare casa. Ecco perché vivo da solo in questo mondo» sono le parole della canzone. «Tra le canzoni che ho composto è la mia preferita» ci spiega.
Ma tornando indietro con la memoria a quei tempi difficili della sua vita a Chicago, non riesce a trattenere le lacrime. Anche oggi, malato e senza un quattrino, ‘Birmingham’ George si sente un poor boy. Proprio come allora. La sorella Johnnie lo consola e ci spiega che in ogni canzone che questo artista ha composto c’è un pezzo della sua anima, ed è per questo che ricordare gli fa male. «George ha sempre usato la musica per raccontare di sé. Mi sembra ancora di vederlo con carta e penna in mano intento a scrivere le poesie che sarebbero diventate le parole delle sue canzoni e poi prendere la chitarra per comporne la musica».
Nel 1965 incide con la Marsi di Chicago il 45 giri di Poor Boy (retro Back In Town), il producer è Johnny Cameron e le chitarre sono affidate nientemeno che Otis Rush e Lonnie Brooks. Nel 1972 incide con la Atomic H altri due 45 giri: Morning Love Blues e Too Hot To Hold. Il suo cognome è però scritto in modo sbagliato (‘Corner’ al posto di ‘Conner’) e non riceve un dollaro di diritti d’autore.
‘Birmingham’ George è conosciuto nella Chicago di quegli anni per il suo locale chiamato The Place, che apre le porte nel 1953 nella 43esima strada, nella parte sud della città. È un posto frequentato da Howlin’ Wolf, un vecchio amico dei tempi di Aliceville, da Buddy Guy, B. B. King e molti altri. «Howlin’ Wolf era di West Point, che non è lontano da qui (circa 65 miglia, n.d.r.). Veniva nel mio club con il chitarrista Hubert Sumlin. Mi ricordo quando avevano iniziato a suonare assieme. Hubert era giovanissimo e Wolf gli insegnava gli accordi. Gli voleva molto bene, anzi lo amava come se fosse un figlio. Lo proteggeva ed era severo con lui perché non voleva si mettesse nei guai». ‘Birmingham’ George ci racconta d’aver scritto le parole e la musica della nota canzone di Howlin’ Wolf How Many More Years Are You Gonna Wreck My Life. Anche di quella canzone non ha mai ricevuto i diritti d’autore. «Le cose funzionavano così ai vecchi tempi: scrivevi una canzone e la regalavi a un amico. I diritti d’autore? Che erano? Nessuno allora pensava a queste cose. La musica era la nostra vita e dividevamo tutto con gli amici, anche le canzoni». Di quegli anni ricorda il giovane Buddy Guy entrare dalla porta sul retro del The Place, perché ancora minorenne per frequentare i locali: «Ha iniziato a suonare nel mio locale quando per legge non poteva neanche salire sulla postazione riservata alle band. Ci sentiamo tutt’oggi. È un caro amico». Molti musicisti però frequentavano il locale per apprendere lo stile originale di ‘Birmingham’ George. «Suonavo uno stile diverso dal Delta Blues e la gente veniva per sentire qualcosa di nuovo e i musicisti per imparare. Io ho sempre insegnato volentieri».
A Chicago si sposa e ha due figli (una figlia l’ha avuta ancora adolescente da una giovane di Aliceville). Ma vivere di sola musica è in quei giorni impossibile e quindi, oltre a gestire il locale, ‘Birmingham’ George apre una rivendita di pezzi usati per le auto. Per un periodo fa invece il detective privato. La sorella Johnnie, che lo va spesso a trovare, lo ricorda in divisa da detective, (pistola, soprabito e due enormi cani neri) di giorno e bluesman di notte. «Non amavo fare il detective. Era un lavoro pericoloso. La gente mi pagava per controllare mogli, mariti o compagni d’affari, insomma dovevo mettere il naso nella vita privata delle persone e poi riferire, ma rendeva bene e per un po’ ho dovuto farlo».
L’estate George torna spesso ad Aliceville. Johnnie ci racconta della gente che aspettava impaziente il suo arrivo per ascoltare la sua musica e imparare a suonare la chitarra. Willie King è uno degli allievi.
‘Birmingham’ George rimane a Chicago per circa 30 anni. Lascia la città negli anni Ottanta dopo il divorzio dalla moglie. Gli amici raccontano che in quegli anni ha problemi di alcool e droga, e lui preferisce non parlarne. Si trasferisce a Memphis nel Tennessee e per trovare la pace ritorna alla musica dell’infanzia: i gospel. «Suonavo e cantavo i gospel ogni domenica in chiesa. Mi sentivo meglio dopo averlo fatto. Il sabato però suonavo nei locali della città avevo una band che come a tempi di Aliceville si chiamava Little George and The House Rockers ed era composta da me e da un batterista. Suonavamo nei locali di Beale Street. Avevo il mio seguito di ammiratori, e piano piano le cose iniziarono ad andare meglio. C’era tanta gente al tempo che seguiva il blues». Anche a Memphis apre un negozio di pezzi di ricambio. «È stato un bel periodo della mia vita» ricorda.
Nel 1985 torna ad Aliceville e, non lontano dalla fattoria della sua infanzia, apre The Blues Room, un locale che diventa punto di ritrovo per i musicisti blues della ‘Black Belt‘, Willie King incluso. La sorella Johnnie racconta che in questo periodo della sua vita ‘Birmingham’ George scopre di avere il dono della medicina: «Raccoglieva delle erbe e faceva degli unguenti che curavano reumatismi e artrosi. La gente andava da lui quando aveva problemi di salute. Era un dono di Dio».
The Blues Room, dopo circa 15 anni deve chiudere le porte in quanto, una sera, un marito geloso arriva armato di pistola nel locale e uccide la moglie che ballava. Per George è un duro colpo. Non abbandona però la musica, e continua a suonare nei locali dell’Alabama e del Mississippi ed è ospite fisso del Freedom Creek Festival e del Bettie’s Place, il juke joint tanto amato da Willie King. Il Bettie’s Place si trovava nel Mississippi a poche miglia da Aliceville, e i musicisti della zona avevano scelto apposta un locale che non fosse nella loro contea, perché la Pickens County è una ‘dry county’ e la domenica è proibito vendere e bere alcolici in luoghi pubblici.
Nel 1999 ‘Birmingham’ George incide con Willie King il CD Walkin’ The Walk Talkin’ The Talk (Il Blues n.71). Jock Webb, artista di Birmingham di cui parlammo nel n.135, è all’armonica.
Nel 2004 grazie all’aiuto di Music Maker, un’associazione non profit che aiuta i musicisti blues, registra il CD Brother’s Tone, prodotto da Ardie Dean, che uscirà nel 2013 (Il Blues n.124). Otto magnifiche tracce, sette delle quali scritte e composte da ‘Birmingham’ George. L’armonica è sempre quella di Jock Webb, mentre alla batteria troviamo Ardie Dean, e alla chitarra Gary Edmonds.
«Il blues è tutto per me. L’ho sempre suonato, sia quando le cose andavano male, sia quando ero felice. Mi ha sempre aiutato. Questa musica è uno sfogo che libera l’anima, perché il blues è qualcosa che è nascosto dentro di te e deve uscire. È quella musica che puoi suonare solo quando ce l’hai dentro».
E negli ultimi giorni della sua vita questo artista, che ha scritto diverse pagine su questo genere musicale, è rimasto per mesi senza chitarra: qualcuno è entrato in casa e gliel’ha rubata.
Gli amici di Birmingham gliene hanno comprato una nuova e glie l’hanno portata. È più debole che mai quel giorno. Non riesce ad alzarsi dal letto, ma alla vista dello strumento allunga le mani, l’afferra e inizia ad accordarla. Gli occhi gli brillano di felicità. Ci regala poche note, belle, ricche di emozioni. Capiamo cosa significano le sue parole sul blues.
Francesca Mereu, Roger Stephenson, fonte Il Blues n. 137, 2016