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Dietro la Montagna Rossa, a circa due miglia dal centro di Birmingham, in una cittadina di casette di legno ben curate e strade immacolate, viveva una comunità nera. Una comunità che, nell’Alabama segregata, era riuscita a crearsi uno spazio al riparo dal fanatismo razziale bianco.
La cittadina si chiamava Rosedale ed era sorta in un terreno impervio che una compagnia bianca, avida di guadagni, aveva venduto agli afroamericani. Rosedale era un’eccezione nell’America del tempo. I neri non potevano, infatti, acquistare terreni. Lì, però, all’ombra della Montagna Rossa erano diventati proprietari. Avevano, quindi, ripulito e bonificato il terreno e dato vita a una cittadina autonoma. A Rosedale c’era, infatti, tutto il necessario per la vita della comunità: negozi, locali, chiese, e una scuola da far invidia a quelle dei bianchi. La domenica le strade di Rosedale si riempivano di musica gospel e le calde sere d’estate nei front porch si suonava il blues e il jazz.

In questo posto è nato e cresciuto Bo Berry, 70 anni, noto trombettista di Birmingham. Bo è un artista che ha spaziato tra blues, soul, R&B, ma che si è poi dedicato a tempo pieno al Jazz.
Lo andiamo a sentire tutti i martedì da Boss Lounge, un locale della ventesima strada di Birmingham, dove i musicisti jazz della città si riuniscono per la jam session. Ci siamo innamorati della sua tromba soave, dei suoi assolo melodici e giocosi, e della sua incredibile capacità di improvvisare e comunicare (sempre con la musica) con gli altri musicisti.
Bo porta abiti impeccabili. La sua voce è pacata. Il sorriso è sempre sulle sue labbra. Durante le pause, chiude gli occhi per concentrarsi e ascoltare la musica che gli altri suonano. A parlarci ci si sorprende della sua affabilità e modestia, caratteristiche che tanto contrastano con una carriera musicale ad alto livello. Bo è stato uno dei membri fondatori dei Commodores, ha suonato per anni con i Temptations, con gli Alpaca Phase III (tutti ricordano la loro hit I Like To Party), con il grande Sun Ra, e con la Super Jazz Big Band che ha inciso album con grandi nomi del jazz, come Ellis Marsalis (il padre di Wynton) e tanti, tanti altri. Ora ha la sua band e suona in diversi locali jazz della città.
Durante il nostro incontro, abbiamo parlato di blues, di jazz e di Rosedale, la cittadina ormai quasi estinta, che era stata così battezzata per i numerosi cespugli di rose colorate che profumavano le strade.

«A Rosedale si cresceva ascoltando la musica. Tanta musica. Bastava mettere il naso fuori casa e c’era sempre qualcuno che suonava il blues. Lo suonavano nei front porch, nelle numerose liquor house. Da bambino ricordo che con gli amichetti ci sedevamo fuori dai locali (i bambini non venivano ammessi) per ascoltare il blues», racconta Bo Berry.
Erano tanti i musicisti itineranti che passavano per Rosedale. I vecchi abitanti ricordano nomi come John Lee Hooker, Sonny Boy Williamson, Jimmy Reed, Slim Harpo e tanti altri. Nella cittadina trovavano un posto sicuro in cui dormire e dei locali dove sfogare il loro blues e bere del buon whiskey.
«Rosedale era un posto speciale. La segregazione e le tensioni razziali di Birmingham ci erano sconosciute. La prima volta che attraversai la Montagna Rossa per andare in città ero un bambino. La gente mi chiedeva di dov’ero, perché notavano il mio comportamento diverso. La nostra era una comunità unita, era come una grande famiglia. Nessuno a Rosedale, in caso di bisogno, veniva abbandonato», racconta Bo.

«A Rosedale poi avevamo accesso a una buona istruzione. La nostra era una delle poche scuole per neri della zona e, in autobus, ci venivano anche i bambini di cittadine segregate come Irondale o Oxmoor, posti in cui le scuole per i neri non esistevano».
Ed è proprio in questa scuola che Bo Berry iniziò a suonare la tromba. «A Rosedale si insegnava la musica e lo si faceva in modo serio. Ho avuto la fortuna di avere avuto un bravo insegnante. Si chiamava Mr. Abraham Hopper».
A Birmingham i neri, per legge, a scuola non potevano studiare la musica. Nell’unica scuola per neri della città (la Scuola Industriale), gli insegnavano solo le materie pratiche, ossia tutto ciò che in futuro li avrebbe aiutati a servire meglio i bianchi. Nella Scuola Industriale, però, dagli inizi degli anni Venti fino a metà degli anni Sessanta John Whatley, di nascosto (ufficialmente era insegnante di bella scrittura), gli insegnava a suonare il jazz e a leggere la musica. Whatley è stato l’insegnante di artisti come Erskine Hawkins e Sun Ra. Grazie a lui Birmingham divenne uno dei posti in America che più contribuì allo sviluppo del jazz. Da questa scuola fortemente segregata, ma con il migliore insegnante di musica del Sud, uscirono decine di talenti che poi andarono a suonare nelle band dei migliori musicisti jazz d’America, come Louis Amstrong, Duke Ellington, Billie Holiday e tanti, tanti altri.

«A Birmingham Mr. Whatley insegnava di nascosto, a Rosedale era diverso, la musica era una materia come tutte le altre e come la insegnavano! A scuola mi innamorai subito della tromba. Un giorno sentii Mr. Hopper suonarla e pensai che sembrava un musicista di quelli che incidevano i dischi. Gli chiesi se potevo imparare e da allora non ho più smesso di suonare. Erano gli anni Sessanta».
«Il mio insegnante suonava il jazz e mi prese nella sua band. È così che ho iniziato».
Con il solo jazz però era molto difficile guadagnarsi da vivere e Bo suonò con band blues, rhythm and blues, soul, funky. Negli anni Settanta con i Commodores girò il paese in lungo e in largo.

«Erano anni intensi. Suonavamo dappertutto, soprattutto a New York. Una sera proprio a New York ero libero da impegni musicali e andai con il manager dei Commodores in un locale jazz. C’era una jam session. Sentivo i musicisti riscaldare gli strumenti. Avevo la tromba con me e mi unii a loro. Come suonammo, quante emozioni! Chiesi al manager come facevano quei musicisti a trovare il tempo di suonare il jazz. Con il jazz non si guadagnava abbastanza per vivere. Lui mi disse che il tempo facevano in modo di trovarlo. Quella notte mi resi conto che non miglioravo come musicista. Stavo diventando solo un buon intrattenitore. I Commodores si preparavano per la tournee in Europa e io presi la decisione della mia vita: volevo diventare un musicista. Dissi agli altri membri della band che me ne sarei tornato a Birmingham per imparare a suonare la tromba e lo feci. Praticavo dalla mattina alla sera. “Devo migliorare” era il mio pensiero fisso. Pensavo che in qualunque posto sarei andato avrei potuto con il mio strumento comunicare anche senza parlare la lingua e l’ho fatto. Ho suonato con persone che non parlavano inglese, ma ci siamo capiti lo stesso, grazie alla musica».

Per Bo con la musica non si finisce mai di crescere. Ci spiega che ogni volta che impara un passaggio difficile, ce n’è un altro che ancora non conosce e dunque ulteriore lavoro da fare. Per lui, però, è questa la bellezza della musica.
«Il mio insegnante mi diceva che la musica mi avrebbe accompagnato per tutta la vita. “Suona la tua musica —mi diceva — non preoccuparti di quello che pensano gli altri, suona quello che hai nel cuore”. E queste cose le imparai in una scuola normale, nella scuola di Rosedale».
Bo ha suonato con Sun Ra, l’eccentrico pianista e compositore jazz: «Quando Sun Ra veniva a Birmingham suonavo con la sua band. Era un genio, un musicista unico. Una sera, dopo aver finito di suonare, uno dei leader della band mi disse cosa ne pensavo di quel jazz e blues d’avanguardia che avevamo suonato. Gli chiesi di che musica parlava e lui mi rispose: “della musica che hai appena suonato”. Capii che Sun Ra aveva organizzato tutto. Ci aveva istruito in modo tale che ognuno di noi era immerso, concentrato nella sua parte. Avevo seguito i suoi consigli e avevo realizzato il progetto che Sun Ra aveva in mente. Lui sentiva una melodia e noi sotto la sua guida la eseguivamo. Era fantastico quello che faceva e che esperienza è stata suonare con lui!»

Per un po’ Bo è stato il leader degli Alpaca Phase III, una band jazz e soul che divenne famosa a livello internazionale con la canzone I Like To Party.
«Avevamo registrato quella canzone per uno show della televisione di Atlanta. Era un ottimo pezzo e anche la band era ottima. È stata una bella emozione diventare famosi», spiega Bo.
Bo Berry, però, continuava a sentire il bisogno di crescere musicalmente.
«Il blues e il jazz sono generi che chiedono dedizione assoluta. Bisogna crescere in continuazione. La musica è uno studio continuo, un lungo cammino che ti impegna tutta la vita. Se suoni il jazz a un certo punto devi studiare e avere una certa conoscenza di come la musica funziona. La maggior parte dei bluesmen erano, ai miei tempi, degli autodidatti. Era un dono ricevuto, una benedizione. Loro però avevano la fortuna di imparare dai musicisti delle vecchie generazioni, per il jazz era diverso, bisognava studiare».

Bo ci spiega che l’improvvisazione, sia nel blues che nel jazz, è essenziale: solo così si riesce a emozionare il pubblico.
«A Rosedale sentivo dei bluesmen che possedevano un talento naturale. Non avevano studiato la musica, non conoscevano le note, ma riuscivano con lo strumento e la voce a esprimere quello che avevano nella loro anima. La musica che ne usciva fuori era così potente e il pubblico ne rimaneva coinvolto. È un peccato che queste persone non abbiano lasciato traccia del loro talento, della loro arte. Io cerco di imitarli con il jazz. Quando suono, libero le mie emozioni, perché solo così la musica arriva a toccare l’anima delle persone. Molti suonano un jazz perfetto dal punto di vista tecnico, ma piatto. La cosa importante nella musica è emozionare e un buon blues e jazz devono emozionare. Luis Amstrong riusciva, con poche note, a esprimere i suoi sentimenti. Nella scuola di Rosedale era questo quello che ci insegnavano e non solo la tecnica. Ci dicevano di liberare la mente quando suonavamo ed è lì che ho imparato a suonare concentrandomi solo sulla musica. Quando suono la mia mente è libera da tutti gli altri pensieri, esiste solo la musica, solo io e il mio strumento. All’inizio non era facile farlo, ma ora mi viene normale».

A Bo offrirono, diverse volte, di trasferirsi a New York per suonare nei locali della città, ma lui preferì rimanere in Alabama. A New York avrebbe guadagnato di più, ma la vita nella Grande Mela è anche molto più cara. A Birmingham, poi, i locali dove suonare il jazz abbondano.
«Non ho mai avuto lavori fissi, perché mi avrebbero distolto dalla mia musica. Volevo essere libero di lasciare la città, se qualcuno mi offriva una gig da qualche altra parte. Amo però le macchine e quando ho bisogno di arrotondare, faccio il meccanico. È un lavoro freelance che faccio da casa, senza impegni».
Bo ama comporre la sua musica e insegnare il jazz ai giovani di Birmingham.
Ora sta organizzando una big band fatta solo di giovanissimi e sta lavorando a un CD di musica originale.

Il trombettista non vive più a Rosedale, perché della cittadina è rimasto ben poco.
Dopo che i neri ottennero i diritti civili, a metà degli anni Sessanta, i bianchi, per non dividere gli spazi con i concittadini di colore diverso, lasciarono Birmingham per trasferirsi over the mountain, cioè oltre la Montagna Rossa. Scenari simili a quello di Birmingham si ripeterono in tutte le città americane con minoranze nere: centri che si svuotavano, sobborghi che si riempivano di bianchi. Lo chiamarono white flight. Rosedale si trovava in una zona molto ambita dai bianchi: era separata da Birmingham dalla montagna ed era vicina a Homewood, un sobborgo tutto bianco che dopo gli eventi degli anni Sessanta è cresciuto ed è diventato uno dei più cari della zona.
Nel 1970, a Rosedale costruirono un grande svincolo autostradale per collegare Homewood alla Montgomery Highway e alla Highway 280. Molte case della cittadina furono distrutte. Diversi abitanti si trasferirono a Birmingham, altri abbandonarono le abitazioni, perché non volevano vivere in prossimità delle autostrade. Negli spazi liberati sono sorti centri commerciali, officine, e negozi che servono Homewood. La scuola dove si insegnava il jazz è scomparsa. I pochi abitanti di Rosedale rimasti (perlopiù vecchi) lottano per non essere inglobati da Homewood. Lottano e sperano che le rose, di quella che è stata una delle poche comunità di soli afroamericani in America, ritornino un giorno a fiorire.

Francesca Mereu, fonte Il Blues n. 143, 2018

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