Bill Monroe

Sono state dette molte parole, piante molte lacrime, ed è stato certamente versato molto inchiostro per la morte del Padre del Bluegrass, Bill Monroe (William Smith Monroe). E’ morto il 9 settembre 1996, pochi giorni prima del suo 85° compleanno. E’ stato sepolto presso il luogo natio che amava così intensamente, Rosine, Kentucky. Annunci funebri da tutto il mondo parlavano chiaramente in elogio della nostra amata musica, ma io ho tentato di trovare qualcosa di diverso da dire. Perciò invece che scrivere la sua storia, come molti altri hanno fatto, scriverò un tributo a questo gigante. E lo centrerò su una sua particolarità, il fatto che Bili non parlasse molto.
Conoscevo l’artista, e un po’ anche l’uomo dietro al mito. Bill Monroe era un uomo riservato, di poche parole, specialmente quando non era sul palco. So bene di avere già scritto questo in un editoriale apparso su Pickin’ circa 20 anni fa, ma vorrei tornare su queste parole, che mi sembrano più rilevanti oggi di quando le scrissi per la prima volta. La mia idea al tempo era di descrivere il modo semplicemente magico in cui Bill poteva parlare attraverso la sua musica, per lo più senza parole, e specialmente con altri musicisti. Lasciate che vi parli di un avvenimento di cui fui testimone anni fa. A quel tempo passavo molto del mio tempo girando per gli States da festival a festival di bluegrass per conto della rivista Pickin’. Avevo notato come certi musicisti fossero in grado di comunicare idee anche molto complesse tra di loro, senza usare parole. Non sto parlando di emozioni semplici come ‘triste’, ‘solitario’, ‘blue’, ‘felice’, ‘eccitato’, ‘angosciato’, o ‘morte’, bensì idee più complesse e sottili.

Ci troviamo al Festival di Bluegrass Unlimited a lndian Springs, Maryland, i primi giorni di giugno. Sono le quattro di pomeriggio, e sto chiacchierando con Bill Monroe vicino alla tenda di Pickin’, quando arriva Ralph Rinzler (allora all’Archivio Folk dello Smithsonian Museum), che dà la mano a Bill e poi a me, quindi dice: “Bill, voglio che tu conosca qualcuno che è un tuo grande fan”. Bill sorride e si volta, trovandosi di fronte un ragazzo nero, magro, di circa 25 anni. Ralph dice: “Charlie Sales, questo è Bill Monroe. Bill, questo è Charlie Sales. Charlie è un musicista di strada, che suona l’armonica sulle strade di New York City. E vissuto con noi per un po’, a Washington, e gli ho fatto conoscere la tua musica dai dischi. Li ha suonati continuamente da allora, giorno e notte, e ha voluto conoscerti.” Bill guarda fisso Charlie negli occhi, e senza una parola se ne vanno insieme verso il bosco dietro la tenda. Ralph ed io, e pochi altri, andiamo dietro di loro chiacchierando, ma Bill e Charlie non si rivolgono una parola.
Circa 30 passi più avanti, Charlie guarda Bill dritto negli occhi e dice: “Non mi piace il bluegrass, ma mi piace quello che fai tu”. Bill risponde, senza perdere un colpo: “Puoi cantare questo?”… e canticchia qualche battuta di un qualche pezzo sconosciuto. Charlie canta la stessa melodia in risposta, ma la conclude diversamente, con un abbellimento più bluesy. Bill ci riprova: “Che ne dici di questo?”, e canta una strofa e un coro di una canzone che non ho mai sentito prima. Charlie si inginocchia, e svolge una bandana rossa che contiene quattro o cinque armoniche, ne sceglie una, e suona la strofa esattamente come l’aveva cantata Monroe. Ma abbellisce il coro con la stessa intonazione blues di prima.., solo un po’ diversa. Bill dice: “Ora impara questa canzone nuova… voglio donartela”. Charlie dice: “Non la voglio… facciamo quell’altra insieme”.

E così fanno, ma poco dopo Bill scorge Bob Black, il suo banjoista, che attraversa il bosco portando con sé il banjo. Bill lo chiama con un gesto della mano e dice solo “Attaccala in Fa”, e Black è pronto in 10 secondi col banjo accordato. Ora i tre riprendono a canticchiare, cantare e suonare l’armonica come se l’avessero fatto insieme in quel modo per trenta anni. Monroe cambia i finali come aveva fatto Charlie, e Black, che è appena arrivato, si inserisce perfettamente. lo sono stupito dalla complessità della musica che questi tre uomini hanno appena creato con non più di dieci parole scambiate fra loro. Ma la storia diventa ancora migliore.
Monroe è evidentemente ansioso senza il suo mandolino, e Black se ne accorge, e guarda Rinzler che d’improvviso si allontana, e in meno di un minuto ritorna col Gibson di Monroe e in compagnia di Wayne Lewis, il suo chitarrista, e del suo violinista, Kenny Baker. Big Mon prende il mandolino da Rinzler e dice a Charlie: “Sai suonare una canzone di treni?”, e Charlie risponde “Certo, ma prima ascolta questo”, e suona e canta questo riff di blues che dice più o meno: “There is this cat! I come to know / his name is Biiiiiiill MonROE!!“. La canzone è una lode spontanea del ‘vecchio’ Bill, e va avanti per quattro o cinque strofe con tutti i musicisti che accompagnano, o improvvisano assoli, e tutti sorridono, tranne Bill. E’ ovviamente colpito, ma non sorride mai. Fa un assolo, cambiando lievemente la melodia per mostrare che è ‘con’ Charlie ma che la canzone non è ‘solo’ di Charlie. Charlie ripete il break di Monroe sull’armonica (perfetto alla lettera) e i due si guardano con facce di pietra da Mount Rushmore.

La canzone finisce con tutti i musicisti insieme, ma nessuno sorride. Tutti guardano Bill, che ripete lentamente “Sai suonare una canzone di treni?”. Charlie fa segno di sì e inizia una vecchia canzone di Jimmy Rodgers, e i Blue Grass Boys devono muovere i capotasti su o giù perché la tonalità è strana, ma sono pronti in un istante. Questa jam senza parole e spontanea continua per quasi un’ora. Scatto due rullini di foto, e la folla attorno supera il centinaio di persone. Ma Bill e Charlie non si sono scambiati una parola per tutto questo tempo. SUONANO l’uno con l’altro invece che PARLARE l’uno con l’altro, ma idee e significati sono reciprocamente ben chiari.
La fine della session è annunciata da un cambiamento quasi impercettibile nell’espressione della faccia di Bill, e solo allora le parole cominciano a scorrere. Bill diventa l’artista di sempre che racconta, in parole, della propria esperienza con diversi musicisti neri in tutta la sua vita, come quando ha imparato da Arnold Schultz, o ha lavorato con Deford Bailey. Charlie dice a Bill che deve suonare la sua musica come la sente, e Bill gli risponde che deve avere musicisti con cui suonare, o si brucerà troppo presto. Ma la magia è finita. Ognuno di loro parla ma nessuno di loro ascolta. Il genio di questi due uomini non ha bisogno di parole, ma per quel breve tempo ognuno di loro è entrato nella mente dell’altro.
Questo è, essenzialmente, ciò che ho scritto nell’articolo del 1976. Pochi mesi fa, mentre Bill era ancora in ospedale, sono stato in un club di blues locale ad ascoltare un musicista che non avevo sentito in venti anni. Il suo nome è Charlie Sales. No, non si ricordava di me, ma ha iniziato il suo secondo set con: “There is this cat / I come to know / his name is Biiill MonROE!” come piccolo riconoscimento per un uomo con cui, una volta, aveva fatto musica. Mi sembra che questo possa essere il ricordo più giusto per Bill Monroe, e dato che voi non c’eravate, forse le mie parole vi hanno aiutato a conoscerlo un po’ meglio.

Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 35, 1996

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