Il primo disco, nella maggior parte dei casi, rappresenta per un musicista il trampolino di lancio verso la costruzione di una carriera professionale o verso la proposizione di un proprio discorso artistico.
Per altri, invece, il primo disco è un punto d’arrivo, la concretizzazione di un sogno, la soddisfazione di avere tra le mani una testimonianza reale della propria passione.
E’ questo, ad esempio, il caso dei Buffalo Ramblers, quattro bravissimi ragazzi, che da anni a Padova svolgono una importante opera di diffusione della musica acustica.
Essendo tutti dilettanti senza, a quanto ci risulta, nessuna velleità di fare della musica una professione, ci è parso corretto precedere questa recensione da un cappello chiarificatore in modo che le lodi al gruppo (per altro meritatissime) siano recepite nella loro giusta dimensione.
Qualcuno ricorderà i Buffalo Ramblers vincitori, nel 1984, dell’unico ‘contest’ mai tenuto in Italia per bands di old time e bluegrass nell’ambito dell’annuale 3° Convention. E forse proprio sulla scia di quel successo i Buffalos hanno deciso di investire tempo e denaro nella realizzazione del loro primo LP che è anche il primo disco in Italia interamente dedicato alla musica old time. L’iniziativa è dunque, di per sé, assai lodevole ancor prima di aver messo l’album sul piatto. Si tratta infatti di un vero e proprio atto d’amore che Stefano Santangelo, Mario Caldieron, Riccardo Sandini e Nereo Simonetti hanno dedicato alla musica tradizionale nordamericana.
Il disco, nel complesso, è abbastanza omogeneo e rende un doveroso omaggio ai maestri dell’old time (Frank Hutchison, Kessinger Brothers, ecc.) come ai revivalisti (Norman Blake, New Lost City Ramblers, Highwoods String-band, ecc).
Un paio di brani si staccano per originalità nell’arrangiamento, per equilibrio generale e per un certo ‘feeling’; e senza esagerare avrebbero potuto tranquillamente trovare posto in una produzione d’oltreoceano. Ci riferiamo a Groundhog, una umoristica children-song, riarrangiata e proposta in modo assai gradevole grazie all’efficace combinazione di dulcimer e autoharp a far da base ad un azzeccato ensemble vocale. E ancora a Tater Patch, un inusuale fiddle-tune, che i Buffalo Ramblers sottopongono ad un energico trattamento banjo – scacciapensieri di grande gusto ed efficacia.
Dal punto di vista tecnico spiccano le qualità del violinista Riccardo Sandini, dotato di tocco e di intonazione fuori dal comune, e i compatti impasti vocali (particolarmente in evidenza nel gospel Down In The Valley).
In generale l’elemento vincente è il sound globale del gruppo, che troviamo sensibilmente migliorato rispetto al recente passato, e che è tangibile dimostrazione di una impostazione intelligente rivolta ad una maturazione collettiva.
Un punto a sfavore (è doveroso ammetterlo): la pronuncia, spesso non adeguata al livello musicale del lavoro ed in alcuni punti decisamente improbabile.
Le note ai singoli brani sono state redatte con competenza da Pierangelo Valenti.
Bors 001 (Old Time Music, 1986)
Ezio Guaitamacchi, fonte Hi, Folks! n. 17, 1986