A seguito di una stagione che ha visto addirittura i Grateful Dead di nuovo ai vertici delle classifiche, ecco l’attesa ricomparsa su vinile di un quartetto che ha fatto la sua parte nella storia del rock, non fosse altro che a Woodstock e con gli svariati milioni di dischi venduti.
Simbolo per eccellenza del movimento musicale identificatosi nella west-coast americana sul finire degli anni sessanta, la loro ricetta di rock’n’roll e folk-song d’autore, valorizzata da una sapiente commistione di suoni acustici ed elettrici, seppe conquistare le platee di tutto il mondo grazie anche a testi spesso impegnati ed al momento decisamente favorevole.
Poi i contrasti, le rivalità, le mille contraddizioni che portarono agli scioglimenti fino a questa reunion, che qualcuno fa risalire a un voto solenne fatto dagli altri tre a David Crosby in caso quest’ultimo fosse riuscito a risollevarsi dal tunnel della droga.
E questa rimane probabilmente la nota più positiva di un disco che non offre novità, il recupero di un musicista che tutti ormai davano per perduto e che ora, invece, può permettersi di citare con tranquillità il suo passato più difficile mentre porta addirittura a compimento un secondo album solo che tutti aspettavano da anni (tanti).
Di questo American Dream avrete ormai letto in abbondanza, di come riporti alla luce gli impasti vocali che fecero la fortuna del gruppo e di come oggi questi non siano comunque sufficienti a riscattare quindici o vent’anni di distanza da quella ispirazione, quel particolare momento creativo che fece all’epoca da catalizzatore.
Particolarmente vivace l’apporto di Neil Young, autore di ben sei dei brani, di cui due assieme a Stills con cui divide le parti principali di chitarra. Quest’ ultimo mantiene ancora qualche traccia della grinta di un tempo e Nash gioca come sempre al bravo ragazzo. Alcune cose potevano essere evitate (scegliete voi), altre danno ancora qualche brivido, ed è ragionevole citare gli unici due pezzi di Crosby tra i momenti più efficaci.
Ricompaiono comunque assieme le chitarre che ci affascinarono tanto, le acustiche Martin D-45 e forse anche le semi-acustiche immortalate dalle immagini di allora, la White Falcon di Neil Young su tutte.
American Dream, un disco discutibile quasi per definizione, che molti ignoreranno ed altri sconfesseranno; a qualcun altro infine ricorderà un ‘sogno americano’ che realtà non è mai diventato.
Atlantic UIC WX 233 781 888-1 (Roots Rock, 1988)
Stefano Tavernese, fonte Chitarre n. 35, 1989
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