In un’ottica di etichette europee indipendenti ed alternative (la tedesca Bear Family o la svizzera Brambus sono un paio di esempi eclatanti, ma non sono certo le uniche indies del vecchio continente) una citazione la merita di sicuro la Dusty Records – Box 4171 – 400 40 Gothenburg – Sweden.
Attiva sul mercato discografico dalla fine degli anni ’90, questa coraggiosa indie svedese ha tenuto a battesimo gloriose formazioni di rock ‘vichingo’ quali gli Enzendoh, ma non si è limitata a valorizzare il patrimonio locale, anzi ha voluto dare fiducia ad esuli provenienti da lidi – musicali – ben più blasonati.
Sia Billy Ely che Eric Hisaw, entrambi texani, avevano già registrato i rispettivi albums di esordio in patria, ma in seguito gli entusiasmi iniziali nei loro confronti si erano fatti molto più tiepidi ed è così che il secondo album è nato, per entrambi, sotto l’egida della Dusty Records.
Otre a produrre albums per solisti e per gruppi, la Dusty Records ha iniziato a stampare anche un interessante progetto – giunto oramai al quarto volume – intitolato Rockin’ At The Barn, una serie di compilations dove trovano posto performers rigorosamente indipendenti e che magari sono sotto contratto con etichette che nulla hanno a che fare con la Dusty Records.
E’ proprio di questo quarto volume che abbiamo intenzione di scrivere oggi: oltre settantuno minuti di musica frizzante, proposta da una ventina di artisti/bands, per lo più emeriti sconosciuti, ma accomunati dalla caparbia volontà di fare buona musica. La scelta dei generi musicali è abbastanza varia, ma contemporaneamente risulta sufficientemente omogenea da accontentare i palati di coloro che amano sonorità rock, country, roots-rock e cantautorali, il tutto senza mai esagerare.
Si parte con Go Away, un bell’esercizio di rock elettroacustico grazie a Ove Wulff, ex-cantante e chitarristica dei succitati Enzendoh (due CD al loro attivo), titolare di un interessante sforzo solista intitolato Tale Of The Skorpio, il tutto su Dusty Records. Il brano è grintoso, ben cantato e ben confezionato nel suo complesso, grazie all’apporto della formazione rock classica: due chitarre, basso e batteria. Buone anche le voci.
Arrivano poi gli Stringbeans di Tracy Huffman (ex-$ 1,000 Wedding), cowpunk band di Los Angeles, che propone il country sgangherato di True Love, brano tratto dal loro unico album intitolato Quality Vegetables. Si tratta di un esempio classico di quel filone – di durata peraltro abbastanza breve – che aveva poi generato la corrente di ben maggiore spessore del cosiddetto alt-country.
Se i Blue Mama con il brano Little White Moon ci sottopongono il loro personale connubio di rock e blues che aveva caratterizzato il contenuto dei due albums già pubblicati, la cantautrice svedese Lisen Elwin ed i suoi Desert Boys di Stoccolma propongono un’accattivante miscela di folk, country & pop, ben condensata nella dolce ballata acustica intitolata Early Morning Sun, a forma della stessa Lisen.
Le proposte scandinave la fanno ovviamente da padrone in un contesto simile ed è quindi la volta dei Pilgrim, che non hanno fatto molta strada per raggiungere la Dusty Records in quanto ubicati nella stessa Gothenburg. Ben due brani vengono tratti dalla loro produzione: la simpatica – ma niente di più – I Love You Honey ed il classico della tradizione country americana If I Could Only Win Your Love, tratto dalla sconfinata produzione dei Louvin Brothers.
Di ben altro spessore risulta invece l’inedito She’s Better Than… accreditato agli statunitensi Deadnecks, formazione di rock venato di radici (roots), con le idee ben chiare sul materiale da proporre ai propri fans, come si evince dall’ascolto dei due CD al loro attivo: Tornados & Trailers (1998) e What Was I Thinkin’? (2002).
Neppure John Cate è uno sconosciuto, grazie ai suoi sei albums, fra i quali citiamo il significativo e sibillino V. Interprete di un rock cantautorale urbano e grintoso, Cate ha nelle orecchie Elliott Murphy e Bruce Springsteen e One Last Chance vede l’organo farla da padrone.
Terry Anderson, da Louisburg, North Carolina non si fa pregare a sparare il suo rock classico dagli speakers dell’impianto quando la sua Check Please è di turno. Tre albums all’attivo e tanto rock nel sangue.
Con Brian Jay Cline entriamo in un territorio più prettamente cantautorale, nonostante il look del nostro, che sembrerebbe più adatto ad un rapper. Con quattro albums auto-prodotti, Cline ci propone Last Stop On Your Train, ballata tipicamente elettroacustica, con la voce di Nicole Sottile ai controcanti.
Ancora roots-rock americano per i Wrinkle Neck Mules. Il loro sound è molto caratteristico e tipico delle realtà rurali statunitensi, che fondono sapientemente la strumentazione acustica della tradizione (banjos e chitarre acustiche) con lo script classico della rock-ballad, fino a produrre brani quali questa Liza, fra gli highlights dell’intera raccolta. Da ascoltare assolutamente il loro unico album intitolato Minor Enough.
I Bucksworth sono interpreti di un rock abbastanza atipico, anch’esso fortemente influenzato dalla tradizione rurale americana, pur con minore enfasi rispetto alla formazione precedente ed il loro esordio Haul Alone si fa ascoltare senza infamia e senza lode, come peraltro questa Star.
I Racketeers vengono dalla verde Irlanda ed hanno esordito nel 1997 con By Hook Or By Crook, il 1999 è stato l’anno di Long Time Gone, al quale ha fatto seguito l’EP Counterfeit Christmas. La loro eccellente ballata I Don’t Want To Talk About It (niente a che fare con l’omonimo brano di Danny Whitten) è una proposta che ci ha spinto a contattare direttamente la band e siamo in attesa di ricevere il loro ultimo album Exit Hellsville, su cui torneremo al più presto.
Di analogo livello – e non poteva essere diversamente – You Can’t Talk To Me Like That, inedito di Rod Picott, misterioso cantautore di S. Berwick, Maine, con due grandi albums al suo attivo, il debutto di Tiger Tom Dixon’s Blues (2001) e la folgorante conferma di Stray Dogs (2002). Dotato di una voce piacevolmente roca e confidenziale (quasi un Tom Waits vittorioso sulla dipendenza da alcol e fumo), Rod gioca la sua carta sulle corde di una chitarra acustica e su una batteria estremamente discreta: grande risultato.
Lisa & Her Kin sono una simpatica compagine texana con un altrettanto simpatico dischetto all’attivo intitolato Two Weeks In Texas e Hog Tied Over You è abbondantemente infarcita di un wester-swing abbastanza sgangherato da accontentare gli appassionati del suono tradizionale quanto quelli orientati all’alt-country.
I Trash Mavericks vengono dal New Jersey e li avevamo già conosciuti nel volume precedente di questa collana. Interpreti di un rock imparentato – alla lontana – con quello dei Creedence Clearwater Revival, grazie alle chitarre elettriche che si inseguono dietro alla grintosa voce di Bob Levy, ci propongono la massiccia Pretty Ones, che racchiude nei suoi cinque minuti abbondanti tutti gli ingredienti del loro suono ruvido.
Bob Cheevers è un caro amico oltre ad essere un cantautore con i controfiocchi. Tanto bravo quanto sfortunato e sconosciuto, nonstante i suoi tredici albums da solista. Una voce estremamente accattivante, a metà strada fra Willie Nelson e Neil Young (scusate se è poco), un talento non comune nello scrivere e nell’ interpretare eppure l’anonimato più assoluto lo opprime. Questa Tall Enough To Reach Your Love non è neppure fra le sue cose migliori, ma vale la pena di fare un giro su internet per fare la sua conoscenza.
Waylong & The Bunch denota da subito un’accattivante operazione di marketing accreditata a Micke Jonsson, ex-membro della compagine degli Enzendoh. La sua Messin’ With The Blues invece scorre senza lasciare segno alcuno di sé.
Se poco sapevamo su Micke Jonsson, ancora meno informazioni siamo riusciti a reperire su Neil Smith, pianista e cantante che ci propone la sua Rebel Liners, brano che, seppure educatamente, rifiutiamo con decisione.
K. Wilder ha già esordito con Blue Ridge Dream ed è ora la volta di Sold To The River, suo secondo CD. Questa inedita Come Out & Dance rientra nella tipologia del suo sound preferito: l’humor di Tom T. Hall e Jimmy Buffett, la strumentazione di Dwight Yoakam e l’accattivante approccio di Alan Jackson. Se questi nomi sono fra i vostri preferiti, sapete come regolarvi.
The Way It Is, eseguita dal nostro amico Joe Fournier chiude questa rassegna. Joe è sotto contratto con la Dusty Records ed i suoi due albums meritano un ascolto attento, in quanto questo polistrumentista e cantante è dotato di una voce molto particolare e di una sensibilità che possiamo apprezzare davvero.
Per ora è tutto in casa Dusty; speriamo di tornarci sopra con materiale nuovo al più presto.
Dino Della Casa, fonte Country Store n. 71, 2004