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Quando è stato l’apice della scena di Hastings Street?
In realtà Hastings Street non era davvero una scena blues. Certo c’era Joe Van Battle e la Sam Records, due negozi/etichette, ma non c’era nessun blues club. Il solo blues club che io ricordi su Hastings era il Brown’s Bar, dove era solito suonare Big Maceo. E giù dall’altro lato c’era il Three Star Bar.

Ti dicono niente posti come il Silver Grill, Jake’s Bar, Mars Bar, Joe’s Tap Room?
Certo! Me li ricordo tutti, ma non erano blues club. In quei locali si suonava swing, musica alla Charlie Christian, bop e sentimentale, ballad. Ma non blues.

Dove si guadagnava meglio?
All’inizio suonavamo agli house parties, alle feste. Anche per Hooker era così. Ce ne erano di enormi. E’stato suonando a quelle feste per tutta la notte a un dollaro e mezzo, che ho davvero imparato a suonare la chitarra. Hooker faceva lo stesso, ricordo che il primo club in cui suonammo era l’Harlem Inn, su Congress Street a Mount Elliott. Era una piccola casa convertita in un bar, in cui si vendevano vino e birra. Non c’era nemmeno un palco. Hooker iniziò a suonare lì da solo, finchè non si ammalò, poteva morire perché qualcuno aveva messo qualcosa nel suo drink. Stette male per un paio d’anni ma poi si riprese bene. Io in quel periodo suonavo la sua musica, lui ormai se la passava bene, i suoi dischi vendevano ed erano molto suonati sui juke-box. Non aveva ancora iniziato a viaggiare molto, forse non gli piaceva, lo fece più avanti. Quando si è ammalato è stata la mia occasione, perché lui disse al padrone dell’Harlem Inn di tenergli il posto appena si sarebbe ripreso e nel frattempo gli avrebbe procurato altri musicisti per rimpiazzarlo. Provò a mandargli un paio di chitarristi, ma la cosa non funzionava; il gestore se ne lamentava, nessuno sembrava andar bene, «la gente se ne esce dal locale quando suonano questi tizi», gli disse il tipo del club. Allora Hooker, non sapendo chi altro proporre, mi disse «Ed, perché non ci vai tu?», «Non posso farlo», gli dissi io, «non ho mai suonato in un club prima». «Si ma conosci tutti i miei pezzi», disse lui. E aveva ragione, conoscevo la sua musica e la suonavo alle feste e per strada. Così ci andai ed ebbi successo. Poi lui tornò e qualche volta suonammo insieme. Quando cominciò a viaggiare, prendevo di nuovo il suo posto all’Harlem Inn. Formai il mio primo gruppo proprio in quel club, avevo un pianista, un chitarrista e altri musicisti nei miei set. Ad un certo punto stava via per parecchio tempo. Io sono sempre stato un musicista progressivo, imparavo a suonare qualunque cosa fosse sul jukebox e lo facevo piuttosto in fretta. Ed era più di quanto facesse Hooker. Lui aveva il suo stile e ancora oggi suona in quel modo. E’così! Quando si tratta di fare paragoni tra musicisti, non ha senso farne tra noi. Anche se ho imparato da lui e cominciato al suo fianco e so anche suonare come lui ma non lo faccio. Avrei potuto imparare a suonare con un reggiarmonica come Jimmy Reed, ma non ho fatto nemmeno quello. Suono ancora l’armonica nei miei concerti, fa parte del mio set, suono così tanti pezzi alla chitarra o all’armonica con la band. Little Walter suonava armonica e chitarra, come faccio io.

Cosa ne pensavi del suo stile?
Mi piaceva parecchio. Era davvero quel che si definisce un armonicista moderno. Sentivi che lui aveva ascoltato il modo di suonare dei fiati. Anche oggi se ascolti la sua musica te ne accorgi. La sua armonica è diversa. Quando ha iniziato, se ascolti le prime cose che faceva in studio con Muddy Waters e gli altri, suonava più o meno come faccio io. Penso che siamo stati tutti influenzati da John Lee Williamson.

Come amplificavi l’armonica? Ho visto foto di gente che suonava con grossi microfoni.
Oh sì, all’epoca cominciavano a venderli. Molti oggi, specialmente tra i bianchi, comprano quei microfoni per suonare. Era così che si faceva. Sonny Boy II° suonava così, ho suonato anche con lui più tardi. Gli piaceva Detroit e ci veniva spesso.

Ascoltiamo alcune delle tue prime registrazioni (Cominciamo da Making A Fool Out Of Me del 1951, con Burns voce e armonica e John Lee Hooker alla chitarra).
Ecco come era la mia scrittura allora. Non sapevo che questa roba sarebbe finita su un disco, anche se quello era il mio obiettivo. E’ stato inciso con un vecchio apparecchio, per dire quanto è vecchio. Mia moglie ride per quella musica e il mio suono di allora, non avevo modo di studiare la dizione e l’accento, questo genere di cose. Arrivai lì e cantai. Sono figlio di un mezzadro del Mississippi e non sapevo nulla di dizione. Proprio per questo puoi riconoscere molta gente del Sud, dall’accento. Alcuni lo hanno perso, ma non del tutto.

Come ottenevi quel riverbero sulla voce?
Ora, probabilmente ci lavorano su quell’effetto. Quella roba la registrai per Joe Van Battle, la Gotham acquistò quel materiale da Joe, lui praticamente la vendeva sotto il mio naso ed io non ne sapevo nulla. Però uscì. Qualcosa venne pubblicato anche dalla Deluxe, che poi era della King Records. Non so che accordo avesse Joe, ma in ogni caso i soldi finivano solo nelle sue tasche. Sul suono, è così che suonavo in quel periodo.

L’hai composta tu?
Si, sono stato influenzato da musiche differenti quando ho forgiato il mio stile. Come Walter ha sviluppato il suo stile, per questo lo capivo così bene. Avevamo due cose in comune, anche se allora non lo sapevo. Sull’armonica le note basse sono su un lato ma io la giravo, suonando quindi dal lato opposto e questo fa differenza. Sono mancino ma soffio da destra a sinistra, anche Little Walter faceva così. Capisco bene la sua musica di conseguenza. La chitarra la suono da destro come tutti, però scrivo con la sinistra, un po’ incasinato eh?

Usavi un plettro?
All’epoca sì, ora non lo faccio più.

Sembra che non regolassi l’amplificatore al massimo.
Quello era il settaggio dello studio, ma forse dipendeva anche dalla chitarra che utilizzavo. Suonavo chitarre sottili. Invece su Let’s Go Out Tonight suono diverso perché stavo usando una di quelle chitarre da chitarristi jazz. Per anni ho suonato quelle chitarre, Epiphone, Gibson o Gretsch, ma ora non lo faccio più, uso una Tokai. Su Detroit uso una Gibson stereo ES-345 con un Fender Twin.

Su alcune di quelle registrazioni Deluxe che hai citato suonava Washboard Willie.
Esatto, anche lui ha cominciato all’Harlem Inn. Era un tipo divertente, indossava un grembiule e sopra il washboard, con tutta la sua attrezzatura al collo, aveva persino una padella. Era anche un ottimo chitarrista. Non suonava che una melodia, ho suonato qualche volta con lui ma era troppo duro. Una sera così e ne uscivi matto da tanto dovevi suonare! Faceva un sacco di pezzi R&B, come Honey Hush di Joe Turner o Cash Ain’t Nothing But Trash dei Clovers. Ma dovevi darti parecchio da fare perché non c’era che basso, washboard e batteria – boom, boom – e la chitarrra. Nient’altro.

Hai copie dei tuoi primi dischi?
Qualcuna, ma non su 78 giri.

Quando cominciarono ad uscire dischi a tuo nome, ne mandavi qualche copia a casa?
Beh, ero solito darli a mia madre. Mio fratello e gli altri erano si erano stabiliti a Chicago e lei portò i dischi con sé. Però poi li prestò ad un suo cugino che non glieli restituì. Comunque ad un certo punto aveva tutti i miei dischi.

Perché non ti sei trasferito a Chicago, c’era una dinamica scena blues allora.
Non mi piaceva. Non mi è mai piaciuta Chicago, per viverci intendo. E’ vero che c’erano molte etichette lì, ma anche a Detroit non mancavano, su Woodward Avenue c’erano RCA, Decca, Bernie Bessman.

Hai mai suonato nella zona dell’Eastern Market?
Non nell’Eastern Market. Vedi sono arrivato qui nel quartiere Black Bottom, si estendeva da Monroe Street giù fino a Mount Elliott Road. Era lontano da downtown. Oltre alle feste suonavo nelle sale da biliardo o per strada.

Parliamo di qualche altro bluesman di Detroit. Ti ricordi di One String Sam?
Non l’ho mai conosciuto di persona. Ero ad un festival con lui per John Sinclair, l’Ann Arbor Blues and Jazz Festival, credo fosse il 1973. Una sera fecero un set con musicisti di Detroit e suonammo entrambi.

Bobo Jenkins.
Lui lo conoscevo, ci siamo incontrati la prima volta all’Harlem Inn. Era un fotografo all’epoca ed era pure bravo. Aveva una grande macchina fotografica, molto bella, scattava foto per la gente del club e poi le sviluppava. Lavorava in una camera oscura attrezzata nel garage sul retro dell’Harlem Inn. Il suo successo maggiore fu Democrat Blues, la registrò lo stesso giorno in cui io feci Biscuit Baking Mama e Superstitious Blues (Pubblicate dalla Checker nel 1964).

Che rapporto avevi con Eddie Kirkland?
Abbiamo cominciato insieme. Al tempo lavorava per la Ford Rouge in fonderia, e suonava nello stile di Lightnin’ Hopkins. Tutti noi suonavamo insieme alle feste, anche Calvin Frazier cercava di farsi strada, suonando alla T-Bone Walker, tanto che qualcuno lo chiamava T-Bone Walker Junior. Un altro tipo che mi ha influenzato è stato Little George Jackson, anche se non suonava blues, ma roba di Charlie Christian. Di solito non lo si sente nominare, ma era davvero bravo a suonare quel repertorio di brani sentimentali e allora, quando sono arrivato a Detroit, se non suonavi quelle canzoni eri tagliato fuori.

Conoscevi Sylvester Cotton?
Sì, anche lui ha registrato alcuni pezzi per Bernie Bessman e poi è sparito. Non so cosa gli sia accaduto. Suonava la chitarra alla Lightnin’Hopkins.

E Detroit Count?
Sì, era un pianista. Ricordo la sua Hastings Street Opera, «All Right I’m movin’ down Hastings Street!» cantava. Detroit Count suonava in un hotel di proprietà di Sonny Wilson, il Mark Twain. Era il posto dove alloggiavano B.B. e gli altri quando venivano in città, uno dei migliori hotel per neri del tempo. Suonò per molti anni lì, lo conoscevo bene.

L.C. Green.
Conoscevo anche lui, abbiamo suonato insieme. Poi se ne è andato, si è trasferito a Pontiac. Aveva due dita fuse insieme, eppure riusciva a suonare lo stesso così.

Cosa ne è stato del tuo primo partner, John T. Smith?
Beh, lui era un dongiovanni. Si mise con la moglie di un tizio, uno che conoscevamo ed era quasi un amico. Si trasferì con lei a Cleveland, so che lavorava per il Comune, ma non l’ho più rivisto, non so cosa gli sia successo in seguito.

Quando la musica della Motown divenne dominante, la scena blues si spense?
Sì, è come se avessero bandito il blues dal paese. C’era il Memphis Sound, con Booker T. & The MG’s e tutti quegli altri gruppi, James Brown e il rhythm and blues, il soul. Tutto questo contribuì a spingere in un angolo il blues, anche le case discografiche e i DJ giocarono un ruolo decisivo, perché se non avevi il disco che volevano loro, nessuno lo passava alla radio e il tuo disco avrebbe avuto vita breve.

Registrare per Harvey Fuqua nei primi anni Sessanta fu una buona esperienza?
Credo di sì, anche perché ero davvero al mio meglio e loro erano una etichetta orientata verso il blues. Avevano anche artisti R&B come Junior Walker e Shorty Long, The Spinners e Robert Lockwood anche se di suo non pubblicarono nulla.

Cosa ti ha ispirato nella scrittura di Orange Driver?
Da un drink che si usava allora, era al sapore di arancia, di color giallo, con aggiunta di vodka. La gente lo beveva fino ad ubriacarsi, perciò mi è sembrato adatto. Se noti, sono piuttosto bravo ad utilizzare modi di dire in slang, espressioni che la gente usa. Cose come I’m Out Of Work oppure Don’t Even Try, prendo frasi del genere e le metto nelle canzoni, anche Orange Driver è nata così. Harvey e gli altri non hanno mai cambiato nulla di quello che scrivevo. Ci lavoravo su con qualcuno come Robert White, uno dei chitarristi che suonava in quasi tutte le loro registrazioni. Provavo i pezzi con lui per un mese o due prima di inciderli, così ho fatto con Orange Driver, Hard Hearted Woman, Mean And Evil. E hanno ancora materiale mio che non è mai stato pubblicato.

Come è successo che Marvin Gaye abbia suonato la batteria su Orange Driver e Hard Hearted Woman?
Perché sapeva suonare la batteria! Non era un musicista di studio, però lo vedevo ogni giorno quando eravamo allo Studio B, che era tra St. Antoine e Farmsworth. Si chiamava Anna Records all’inizio, Anna era Anna Gordy, uno dei proprietari. Il nome non era ancora Motown allora. Mi ricordo quando Marvin filava con Anna, lei era parecchio più vecchia di lui, finirono per sposarsi. Lui le deve molto del suo successo. Il fratello di Anna, Barry Gordy mi faceva da manager e ottenni un contratto con Anna. Quando iniziai a registrare per loro dovevi essere ben rasato e con un bel vestito di seta, non volevano nemmeno che avessi i baffi. Poi Harvey e gli altri volevano farmi diventare una specie di Junior Walker, ma io non me la sentivo. Oggi se volessi potrei suonare del rhythm and blues.

Cosa è successo ad Harvey Fuqua?
Harvey sta bene, vive a New York, canta ancora. Era anche un grande pianista e produttore. Mi ha influenzato in questo senso, sulla produzione, una volta che provi capisci di poterlo fare. Il produttore si deve concentrare soprattutto sull’ascolto, non devi vedere, devi sentire. Quando ascolto una canzone, posso togliere alcuni strumenti e fare attenzione ad una sola cosa, magari la batteria o il basso. E’ così che metto insieme la mia musica, la canzone viene prima, questa è la parte più difficile, poi viene la musica.

Hai delle tonalità preferite?
Mi piace il Mi. E’ una tonalità difficile, ma bella e ottima per il blues, utilizzo anche i bemolle. Come sai tutte le tonalità hanno almeno quattro posizioni dove suonare (sul manico della chitarra) e ognuna di esse è differente quando impari le combinazioni. Molti bluesmen non lo sanno. Molti suonano senza sfruttare altre posizioni lungo il manico, su ottave diverse.

O usano un capotasto.
E’ il modo più facile, ma funziona bene se accompagni quando accompagni un armonicista. Allora va bene. Quando suoni un accordo in barré, non hai lo stesso effetto, devi supplire con gli altri strumenti.

I tuoi figli suonano?
Ho sei figli, quattro femmine e due maschi, Eddie Jr. suona, lui vive a Austin, Texas e l’altro mio figlio, il minore, strimpella un po’ il basso. Le mie figlie sanno tutte cantare, ho anche dei nipotini.

Che consiglio daresti a un tuo nipote se volesse diventare un musicista professionista?
Di andare a scuola. Il blues per quanto mi riguarda è una tradizione afroamericana. Molti non saranno d’accordo e del resto tutti possono suonarlo, non ho nessun pregiudizio su questo. La sola differenza è che quando lo suoni devi essere del tutto onesto, altrimenti diventa noioso. La maggior parte di questi ragazzi bianchi sono buoni chitarristi, ma come si dice “blues is a feelinge molti non hanno nessun feeling! Sanno suonare la chitarra, d’accordo, ma tendono a suonare troppo o a non metterci feeling. Non è questione di tempi moderni, è questione di blues. E se guardi indietro ai vecchi bluesmen, beh se non avevano loro il blues, chi altri? Con tutto quello che hanno dovuto passare, pregiudizi, il padrone, i campi, le donne. Loro cantavano di questo ed io lo capivo perché anch’io ho affrontato per un po’ quelle cose e mi hanno spinto ad andarmene! O avrei fatto la stessa fine.
La ragione per cui conosco il blues e lo suono, è che ne conosco la cultura. E’ una forma d’arte, come altre, non è una cosa qualunque che tutti possono suonare, non è così. E so quello che dico, amico mio. Conosco il blues, ma non solo il blues, tutto quel che circonda la musica, e in essa c’è un messaggio. E’ proprio lì se ascolti con attenzione, altrimenti non te ne accorgi neanche. Ti perdi tutto quanto. Una sera stavo suonando in Inghilterra, a Londra e c’era una ragazza giovane tra il pubblico. Venne a chiedermi cosa le stessi facendo! Perché vedi blues e gospel sono strettamente correlati e a volte certi cantanti di gospel ti danno i brividi. E’ una bella sensazione. Alcuni definiscono la nostra musica, il blues, ‘magica’. Qualche tipo di magia nera o maligna, perché producono questi effetti. Voglio dire, ti si accappona la pelle, con certi musicisti, riescono a farti sentire così, proprio come era successo a quella ragazza. Perché quel che suonavo era vero, non suonavo solo per soldi. Se accetto un ingaggio, potrai star sicuro che darò il massimo per le persone che verranno al concerto, siano tre, trecento o tremila, non fa alcuna differenza. Suono per loro, oppure non accetto neanche, io sono fatto così.

Quali sono i tuoi posti preferiti dove suonare oggi?
I festival sono ottimi. La cosa più difficile dei festival è arrivare lì, poi fai un set da novanta minuti ed è finita lì. Per i club, è una cosa ridicola, devi fare due o tre set per sera. Suono in qualche club di tanto in tanto, ma con questa nuova generazione che c’è in giro, non mi sento a mio agio a suonare con loro, sono troppo diversi. Con quel che so, sono in grado di cambiare ed adattarmi, ma non voglio svendermi. Ci sono arrivato vicino una volta, quando ad orecchio mi sono messo a suonare jazz. E poi ho capito che quella non era la strada giusta. Nel jazz devi saper leggere. Non sapevo se sarei stato ancora in grado di suonare blues dopo essermene allontanato nei primi Sessanta. Mi ero buttato sul rhythm and blues e una volta anche John Lee suonò con me, il blues era davvero ai minimi. Anche Sonny Boy Williamson suonò con me, ma appunto avevo musicisti che sapevano suonare di tutto, ma non mi ero accorto che non potevo tornare d’un tratto a recuperare il blues. Bisogna lavorarci su parecchio per aver il feeling giusto, non viene automatico. E’ questione di onestà! E’ qualcosa di dolce. Oggi molti tengono il piede in due scarpe, non sono consapevoli di questo. Vanno avanti a suonare così per tanto tempo, fino a che non devono suonare un blues e allora si rendono conto che non riescono a farlo.

Conosci l’espressione, ‘il blues non morirà mai’?
E’ vero. Magari non farai molti soldi, ma il blues non finirà e quando muori la musica continua a vivere.

 Detroit è il tuo CD più recente?
Sì da dopo Detroit che è stato il mio primo CD, non ho inciso altro. E’ stato registrato dalla Blue Suit e sono intenzionato a farne un altro. Il resto del materiale che ho inciso negli ultimi anni è stato in Europa, un grosso errore. Sono andato lì ad incidere canzoni originali quando c’è una lunga lista di precedenti, ben diverso da quando tutto è fatto secondo le regole, mi hanno dato qualche centinaio di dollari e basta, non c’è molto da aggiungere.

Tutto qui?
Sì, non prendi nessun diritto d’autore. Se tornassi lì, farei come James Cotton e Billy Branch e tutti gli altri, inciderei degli standard, cover che sono state rifatte mille volte, prenderei quei pochi soldi e me ne tornerei a casa. Non si parlava di diritti, ma se i pezzi li hai scritti tu devi pretendere il dovuto, altrimenti vuol dire che ti stanno fregando. Ho dovuto passarci per capirlo, ma se noti su Detroit ho un mia compagnia per la gestione dei diritti d’autore, anche Hooker ne ha una.

Ed è la sua fortuna.
Sì ma guarda come la gestisce, i musicisti che utilizza e le altre cose. Ha Mike Kappus che si occupa di questo e ora gli arrivano royalty consistenti. Ma l’idea di usare questi musicisti di rock and roll, non so a chi sia venuta, comunque era astuta. Io non ho i suoi mezzi ma non so se avrei seguito quella strada. Con John Lee, tutti quei musicisti non ne vengono fuori bene.

Non è certo come quando suonavi tu con lui su canzoni come Miss Sadie Mae o Black Cat e le altre.
Oh no, quello era davvero Hooker allora. Quello là.

Sei pronto a registrare un nuovo album.
Sono pronto, e se dovessi registrare ora vorrei produrlo da ma – so come farlo – oppure farlo produrre da mio fratello. E tutti i musicisti che utilizzerei devono essere validi. Se ottengo un buon contratto potrei fare un CD con undici o dodici pezzi. So bene che il mercato del blues è ristretto, cerco solo un accordo onesto, non voglio mica sposarmi con un’etichetta. Vedi non voglio registrare troppo per due ragioni. In primo luogo se lo fai, accumulano la tua roba e se non hai un accordo equo rivendono la tua musica senza che tu riceva nulla. Così la musica invece che arricchire l’artista, finisce svenduta e questi non vede un dollaro. Sai molti non vogliono avere a che fare con te se capiscono di non poterti manipolare. Per questa ragione non ho fretta di andare in studio, sono nella posizione di non doverlo fare per forza e le cose resteranno così. Non sono ricco, ma sono indipendente, non lo faccio perché devo farlo, ma perché ne ho voglia. E ho molte ragioni per non svendermi. Mi interessa suonare e viaggiare, ma non farlo per 365 giorno l’anno. La musica ce l’ho nel sangue e suonare è tutto quel che voglio fare, mi piace rendere felici le persone. Perché ad un buon concerto, quando tutti suonano bene e suono la mia musica, sono un uomo contento! Vuoi sapere perché? Proprio perché il pubblico si sta gustando la mia musica, qualcosa che mi sono seduto lì impegnandomi a creare. E’ una bella sensazione.

Quando suoni a casa, fai più che altro blues?
Sì, è questo quello che suono, e mai in elettrico. Suono per me stesso, siccome scrivo parecchio ma non voglio attirare una folla. La gente del quartiere mi vede andare e venire, sanno che sono un musicista ma la cosa finisce lì. Non sentiranno nessun disco da casa mia, né mi sentiranno suonare, ogni tanto tiro fuori l’acustica e suono qualche vecchio blues, roba di Tommy McClennan e Arthur Crudup.

Se in qualche modo potessi ascoltare un artista qualsiasi tra tutti quelli che hanno inciso dischi, chi sarebbe in cima alla lista?
Tommy McClennan sarebbe uno di loro, così come Sonny Boy Williamson I°. Arthur Crudup, Tampa Red, Big Maceo. Questa gente per me faceva del vero blues. E poi spostandoci in un’altra scena – amo tutta la musica, ha sempre con sé un messaggio – mi piacciono artisti come Louis Jordan, Nat King Cole, Johnny Moore & The Three Blazers, T-Bone Walker era a metà strada. Non era davvero blues, usava un sacco di musicisti jazz nelle sue registrazioni, l’ho conosciuto ed è stato un grande onore. Diciamo che preferisco gli originali alle copie, in genere.

Tra tutti i bluesmen che hai conosciuto, chi sono i tuoi preferiti?
B.B. King direi, sa sempre il fatto suo. Lowell Fulson, T-Bone, loro mi piacevano, Johnny Moore, anche se non l’ho conosciuto, Amos Milburn. Ma mi piaceva anche Charlie Christian, avevo cose sue come Air Mail Special, Lionel Hampton e potrei andare avanti. Anche le big band mi piacevano, Duke Ellington, Count Basie, Joe Williams e Joe Turner.

Senti ancora Eddie Kirkland e John Lee Hooker?
Kirk viene sempre qui. E’ spesso in giro e lo fa alla vecchia maniera, guida ovunque e con qualunque tempo. Viene a trovarmi quando è in città e passiamo qualche ora insieme, chiacchieriamo, cose così. E’ qualche anno che non vedo John Lee, ma ogni tanto ci sentiamo per telefono.

Vorrei chiederti qualche domanda spirituale?
Ok.

Credi nel paradiso?
Nell’aldilà? Sì.

Pensi che incontrerai di nuovo altre persone?
Questo non lo so, se sei sposato ad esempio, per quanto dice la Bibbia, non lo sarai più quando muori. Ognuno è un individuo, non si è sposati in paradiso. Perciò chissà forse la incontrerò di nuovo, ma non saremo che angeli allora. Pare che nell’aldilà ci sia la vita eterna, se ci arrivi. Cosa ti ci ha fatto pensare?

Perché mi sono ricordato di aver sentito John Lee Hooker dire che Dio un giorno farà piazza pulita dei miscredenti.
Non mi intendo di confessioni religiose, ma so una cosa: Testimone di Jehova non fa per me. So che Hooker è arrivato lì, ma per me è la strada sbagliata. E’ proprio perchè la gente non aderisce a definizioni troppo strette che può supportare la tua musica. Si chiama ‘essere là fuori nel mondo’. Io suono musica e ti dirò una cosa: in primo luogo la musica è un’arte, non è un peccato, forse lo sono alcune cose che stanno attorno alla musica. L’adulterio, voglio dire le donne, e il troppo alcol, si può bere ma non sino ad ubriacarti. Io bevo molto poco e non corro dietro alle donne, torno a casa da mia moglie. Faccio parte di una chiesa, la chiesa di Cristo, sono stato battezzato e credo che un giorno tutti saremo giudicati per le cose che abbiamo fatto in vita. Nessuno sa quando ci sarà la resurrezione, ma ci sarà. Alcune chiese ti diranno che solo se aderisci a loro sarai salvato, ma non è così! Dio ama tutti, non conta il colore, il linguaggio o altre cose, ci saranno persone salvate tra tutte le confessioni, anche tra gli ebrei, che sono il popolo eletto, stando alla mia versione della Bibbia, quella di re Giacomo. E quel che leggi nella Bibbia è quel che sta accadendo, non c’è nulla che accade oggi, che non sia già contenuto in essa. Si sta compiendo ora. La religione parla d’amore, non del male, trattare il tuo prossimo come te stesso, parla di questo.

EPILOGO
Nove mesi dopo la nostra intervista, il 12 e 13 settembre 2001, Burns ha registrato un nuovo album per la Delmark. Come scrissi nelle note di copertina : «la sua trascinante Papa Likes To Boogie è classica musica da house party di Detroit, mentre la sua armonica in Misse Jessie Lee, disadorna e malinconica è memore dello stile di Sonny Boy Williamson I°. Lend Me Your Love mostra la sua maestria alla chitarra acustica. In altre tracce rivela il suo valore su slow blues, swing e riff che suonano come mantra. A mantenere le cose in famiglia ci pensa il fratello Jimmy, presente alla chitarra acustica ed elettrica e al controcanto in Cash Ain’t Nothing But Trash. La cosa migliore è che Burns resta per tutto il disco fedele alla sua visione musicale. Si tratta di blues!».
Nel 2005 ha pubblicato un altro CD, Second Degree Blues per la Blue Suit. Le sue vecchie registrazioni continuano a comparire in diverse antologie. Burns è scomparso il 12 dicembre 2012.
(Traduzione di Matteo Bossi)
(© Jas Obrecht. L’articolo, pubblicato in origine nella rivista Living Blues n. 156 – Marzo/Aprile 2001, ed il materiale fotografico sono stati usati con il permesso dell’autore. Tutti i diritti riservati.)

Matteo Bossi, fonte Il Blues n. 133, 2015

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