Chicago, Illinois, la Mecca. Già all’inizio del 1900 oltre 250.000 Afro Americani ne avevano avuto abbastanza dell’ingiusto sistema dello sharecropping, delle infami leggi razziali applicate con perfida crudeltà, delle violenze e dei linciaggi. Quello che era di fatto un popolo oppresso e miserabile aveva cominciato ad intuire che goin’ up the country era l’unica maniera per sfuggire alla miseria e alle ingiustizie delle leggi Jim Crow, mettendosi in viaggio a piedi, in automobile, nei bus della Greyhound, oppure salendo sul primo treno in partenza, spesso viaggiando ridin’ the blind, vale a dire nascosti al controllore o alla polizia ferroviaria tra le intercapedini delle carrozze, nei vagoni merci in mezzo al bestiame o in uno dei cento modi escogitati da legioni di hobos, bums e tramps per non pagare il biglietto. Dal 1900 al 1930 oltre 1.600.000 Afro Americani erano emigrati dal Sud rurale nelle grandi città del Nord, e principalmente le città di New York e Chicago.
A Chicago la popolazione nera nello stesso periodo era quasi triplicata raggiungendo le 230.000 unità di cui quasi la metà proveniente dal Mississippi. L’amministrazione cittadina alle prese con gravi problemi di alloggi causati da questa ondata migratoria non trovò di meglio che mettere tutti gli Afro Americani in abitazioni fatiscenti in una specie di ghetto nel secondo e terzo Ward nella zona Sud della città. Il ghetto, sopranominato dagli stessi suoi abitanti Bronzeville ma conosciuto anche con i nomignoli di Black Ghetto, Black Belt o Darkie Town, era delimitato grosso modo a Nord dalla 22nd Street, a Sud dalla 51st, dalla Cottage Grove Avenue a Est e a Ovest dal tracciato ferroviario della Rock Island, gestito dal 1978 in poi dalla AMTRAK. La vita sociale e culturale si svolgeva lungo State Street, chiamata anche The Stroll, la strada che per 136 isolati, ben 28 chilometri, taglia Chicago da Nord a Sud. Nella parte Sud di questa famosa strada si trovava la prima sede del settimanale Chicago Defender e una serie quasi ininterrotta di teatri, barrelhouses, balere, bische e bordelli che notte e giorno offrivano ogni tipo di svago ai derelitti abitanti della Southside in cerca di sollievo alle dure e precarie condizioni di cittadini emarginati.
Agli inizi del 1900 il Jazz e il Blues entrarono a Chicago percorrendo State Street e ogni locale aveva una house band per intrattenere la clientela. I teatri come il Monogram, il Vendome, il Grand Theater, il Perkins o il Lincoln, piuttosto che dedicarsi alle rappresentazioni di piece teatrali preferivano assoldare musicisti come Jelly Roll Morton, Joe King Oliver, Sidney Bechet, Louis Armstrong o le Blues Queen come Mamie Smith, Ma’ Raney, Ethel Waters e Bessie Smith (1). Gli altri luoghi di divertimento, a volte nulla più che piccoli negozi riadattati a balere, avevano nomi esotici come il Savoy Club, il Panama Cafè (già Oriental Cafè) o il più famoso di tutti, il Dreamland Cafè dove si esibiva regolarmente l’orchestra di King Oliver, e facevano a gara nell’ospitare gli artisti del momento, buona parte dei quali usufruivano dell’abilità promozionale dei fratelli Melrose che avevano gli uffici nel Southside, in Cottage Grove 6320 (2)(3). All’angolo con la 34th Street, sotto il Lincoln Theater e quasi di fronte alla sede del Chicago Defender, si trovava il grande complesso residenziale dei Mecca Flats, soggetto di Mecca Flat Blues incisa nel 1924 dal pianista Jimmy Blythe con la cantante Priscilla Stewart (Pm 12224B). L’edificio, costruito come albergo alla fine dell’800 in occasione della World’s Columbian Exposition, comprendeva negozi e sale ricreative e nel 1912 fu infine adibito a residenza per dozzine di famiglie di colore. Nei caratteristici appartamenti con ballatoio interno si svolgevano infuocati Rent Parties, giochi d’azzardo e commerci carnali, ed erano utilizzati come residenze temporanee degli artisti che passavano da Chicago per registrare per la Paramount (4).
Più o meno tutti conoscono gli artisti del così detto Chicago Blues che si affermò agli inizi degli anni ’50. Ma agli inizi del ‘900 la scena Blues di Chicago non era meno importante e i più famosi artisti dell’epoca avevano scelto Chicago come loro casa e base d’operazioni. Il duo composto da Tampa Red e Georgia Tom era campione di vendite e di ingaggi, così come Papa Charlie Jackson, Blind Blake, Memphis Minnie, John Lee ‘Sonny Boy ‘ Williamson, Bumble Bee Slim o Washboard Sam. Sopra tutti però brillava la stella di William Lee Conley Broonzy, in arte Big Bill Broonzy, che era il punto di riferimento e il benevolo nume tutelare di ogni artista che si recasse a Chicago. Big Bill procurava ingaggi, ospitava in casa, forniva consigli, prestava soldi a chiunque ne avesse bisogno senza mai chiedere nulla in cambio. Con oltre 600 brani all’attivo, spesso innovativi nella composizione e strumentazione, è difficile trovare nella storia del Blues un musicista più influente di Big Bill. Oltre a questi, centinaia di musicisti meno noti ai quali erano precluse le possibilità di suonare nei teatri o nei grandi club cercavano fortuna nella Wind City esibendosi nei rent parties nei club meno noti o per strada, magari spingendosi qualche isolato più a Nord di Bronzeville nella affollata Maxwell Street (5).
Tra i molti musicisti di colore che nelle prime decadi del ‘900 decisero per una ragione o per l’altra di eleggere Chicago come loro casa c’è anche Freddie Spruell, una figura poco conosciuta del così detto downhome Blues che tuttavia merita qualche considerazione e vanta qualche primato.
Come per altri musicisti del genere le informazioni sono poche e contraddittorie, sebbene il nome di Freddie Spruell fino all’anno 2000 figurasse ancora nell’elenco telefonico della città di Chicago al 5709 di South Union Street. L’ultima moglie di Spruell, Lena Mae Pinkston, intervistata da Gayle Dean Wardlow nel 1981, aveva conosciuto il musicista a Chicago intorno agli anni ’20 e secondo Lena Mae Freddie era originario di Lake Providence, una minuscola cittadina nelle low lands della Louisiana sorta intorno al 1830 sulle rive del Mississippi ad una ventina di chilometri dal confine con l’Arkansas e sede amministrativa della parrocchia di East Carroll. Il suo certificato di morte ritrovato nel 2009 riporta la stessa informazione ma qualcosa non quadra. Il certificato di iscrizione nelle liste di leva del 1917 riporta come luogo di nascita Dayton, Ohio, e come data il 28 dicembre 1888.
L’iscrizione nelle liste di leva del 1942 invece indica Memphis, Tennessee, come luogo di nascita e come anno il 1886. Nelle liste di leva del 1917 risultava già sposato e padre di un bambino e operaio nella segheria Wineman, a Dayton, in South Hinds Sreet. Tuttavia nel 1915 aveva già una seconda moglie, Lorraine Ware, ed una figlia, Lena Lorraine Spruell, con le quali si trasferì a Chicago intorno al 1915 e che abbandonò intorno al 1920 per mettersi con Lena Mae (6).
Durante gli anni d’oro dei race records Freddie Spruell registrò dodici canzoni per tre diverse compagnie discografiche. Come ‘Papa Freddie ‘ incise tre canzoni per la Okeh nel 1926; due anni dopo registrò per la Paramount come ‘Mr. Freddie Spruell ‘ due canzoni e altre due rimaste inedite (Morning Blues e Bed Light Blues). Nel 1935, dopo la Depressione, incise cinque titoli sotto il nome di ‘Freddie Sproul ‘ per l’etichetta Bluebird, con Carl Martin alla seconda chitarra.
Durante le sessioni con la Bluebird si pensa che abbia suonato nelle incisioni di Sugar Cane Johnny e di Washboard Sam (7). A Spruell va il merito di aver inciso per primo una Milk Cow Blues e una Tom Cat Blues (Ok 9793 e Pm 20727-2), brani e temi che da quel momento verranno usati da moltissimi altri artisti.
Gli studiosi come Don Kent, Mike Stewart e G. D. Wardlow (8), ritengono che Freddie sia stato il primo musicista di Delta Blues a finire su disco, due anni prima di Tommy Johnson e tre anni prima di Charlie Patton. In realtà è difficile dirlo. Il caratteristico riff suonato sulle prime tre corde da Spruell in tutte le sue incisioni nelle posizioni di MI, un accordo di RE7 spostato avanti sul manico, è decisamente simile a quello di Tommy Johnson in Big Fat Mama o all’accompagnamento di Willie Brown in Moon Going Down di Patton (Pm13014, 1930) che però era suonato in entrambi i casi nelle posizioni di LA. Ricorda anche l’accompagnamento di una delle due chitarre in Mississippi Bottom Blues di Kid Bailey (Br7114, 1929) questa volta nelle posizioni di MI. Tuttavia il repertorio di Spruell è troppo limitato per trarre conclusioni ed è più probabile che il suo stile si sia sviluppato a Chicago. Con l’eccezione del fantastico duetto con Carl Martin Let’s Go Riding (BB B6261) una classica sequenza Rag nelle posizioni di DO, Spruell utilizza unicamente le due tonalità di Mi e La in accordatura standard in tutti i suoi brani. A dispetto del repertorio ci sono molti elementi che rendono Spruell un artista interessante e originale, oltre che estremamente piacevole da ascoltare. Spruell usa esclusivamente una 12 corde, il che per inciso lo renderebbe di fatto l’unico artista proveniente dal Delta ad usare questo strumento.
La 12 corde, il cui uso è tipico della tradizione messicana, vanta una discreta attrazione tra molti artisti di Blues, in particolare quelli della Georgia come Willie McTell, Barbecue Bob o Charlie Lincoln che usavano tutti una Stella . Il grande Lonnie Johnson usava una 12 corde artigianale costruita da un liutaio messicano. Hudie ‘Lead Belly’ Ledbetter usava pure una Stella. Tra gli altri musicisti prebellici vale la pena di nominare il Georgiano Ed Edwards, il primo Country Bluesman ad aver mai inciso, e poi John Byrd, Charlie Kyle, Charlie ‘Dad’ Nelson, Uncle Bud Walker, George Carter, Willie Baker per citarne alcuni. Un secondo elemento nell’arte di Spruell è il modo di cantare estremamente eccitante in cui si avverte una speciale voluttà nella esecuzione, perfetto nei vibrati e con una rara capacità di inserire un numero spropositato di sillabe nei versi.
Low-Down Mississippi Bottom Man è un Blues tematico autobiografico di self boasting, nel quale l’artista si vanta delle sue ‘qualità’, tipicamente di carattere sessuale. Il self boasting è un tema in cui Peetie Wheatstraw o Muddy Waters erano veri maestri, ma a differenza dei primi Freddi Spruell non esalta le sue capacità amatorie quanto il suo poco raccomandabile carattere di sporco e cattivo. Le prime due strofe raccontano le sue origini geografiche, mentre nelle ultime due racconta sé stesso in una specie di parallelismo tra l’essere nato nelle low lands ed essere un low down man con l’ultimo verso che suggerisce una specie di auto commiserazione. Dal punto di vista strumentale Low-Down Mississippi Bottom Man è suonato nelle posizioni di MI, con il capotasto al secondo fret. Oltre al caratteristico riff in I posizione suonato sulle prime tre corde, in IV posizione Spruell usa il tipico accordo Blues di LA7 e in V utilizza il potentissimo accordo SIm7 nella variante ‘aperta’ senza barrè. La caratteristica più notevole di ogni brano suonato da Mr. Freddie è l’inusuale accento sulle battute dispari di ogni misura, in battere anziché in levare, unito ad un particolare gusto per gli stacchi e stop time, con il risultato di ottenere un effetto di eccitata urgenza assai appetibile anche ai giorni nostri ed eventualmente riproducibile da qualche altro musicista di oggi, magari elettrificando il suono aggiungendo basso e batteria.
Note
(1)Ai nostri giorni questi famosi teatri non esistono più. Ad esempio al posto del Monogram, al numero 3451 di State Street, che dalla fine del 1800 aveva ospitato tutti i più famosi artisti Afro Americani, ora si trova il parcheggio dell’Illinois Institute of Tecnology. Stessa sorte toccata al Vendome, al numero 3145, in cui suonava regolarmente l’orchestra di Erskin Tate, chiuso alla fine del 1930 e demolito nel 1949. Il celeberrimo Grand Theater fu demolito nel 1959 per far posto al campus del IIT.
(2)Tra le dozzine di locali che si affacciavano su State Street vale la pena di ricordare anche l’Apex Club, l’Edelweiss Gardens, il Dusty Bottom i cui pavimenti erano di semplice paglia pressata.
(3)L’attività dei fratelli Melrose, una coppia osannata dagli storici del jazz, ha alcuni punti oscuri e per niente edificanti, soprattutto per quanto riguarda il pagamento dei diritti ai musicisti e l’indebita appropriazione di parecchie composizioni. La loro abilità nel truffare gli artisti è stata messa in luce dall’articolo The Great Jazz Swindle di H. Reich e W. Gaines apparso il 12 dicembre 1999 sul Chicago Tribune e dal libro degli stessi autori Jelly’s Blues: The Life, Music, and Redemption of Jelly Roll Morton, Da Capo Press, 2004.
(4)I Mecca Flats, the strangest place in Chicago, negli anni ’30 contava 96 appartamenti e ospitava più di 350 persone. A causa dell’usura del tempo e dell’incuria di affittuari e proprietari, col passare degli anni la costruzione, dalla caratteristica forma ad U, assunse sempre più il tipico aspetto quasi in rovina di molte costruzioni che costellavano il South Side. Negli anni ’30 erano considerati un luogo pericoloso. Vennero demoliti nel 1952 per far posto all’IIT.
(5)Tra gli altri artisti che si trasferirono in Chicago prima della seconda guerra mondiale è impossibile non ricordare Daddy Stovepipe, pseudonimo di Johnny Watson, una statua del quale si trova in quel che rimane di Maxwell Street. Altri artisti più o meno noti sono ad esempio Perry Weston, Alfred Fields, Frank Edwards e Tony Hollins. Questi artisti suonavano urban Blues in uno stile molto vicino a quello di Big Bill.
(6)Informazioni contradittorie di questo tipo non devono meravigliare. Era abbastanza comune per qualsiasi persona di colore che vivesse un po’ ai margini della società e sufficientemente sgamato, confondere le acque riguardo i propri dati personali per una serie di validi motivi, tra i quali evitare di rendersi troppo rintracciabili alle autorità di polizia oppure il fondato timore di persecuzioni razziali. Anche la bigamia non sembra essere un evento insolito, anche perché pur soggiacendo alle stesse pene previste per le persone bianche, le autorità non perseguivano con lo stesso zelo il reato se commesso da persone di colore, senza considerare che comunque in molti Stati, e nel Mississippi fino al 1956, il matrimonio poteva essere ‘celebrato’ in modo assai informale con la semplice convivenza more uxorio. In tal caso veniva chiamato common law marriage. Per il divorzio la questione è più complessa perché in ogni caso per divorziare è necessario presentare una domanda al giudice competente. Tuttavia da un punto di vista soggettivo chi utilizzava il common law marriage con un piccolo sforzo psicologico poteva anche non considerare valido il matrimonio così contratto e decidere di divorziare semplicemente abbandonando il tetto coniugale.
(7)Le informazioni discografiche sono come al solito tratte da quella magnifica opera, chiamata dagli studiosi e appassionati La Bibbia: R. M. W. Dixon, J. Godrich, H. Rye: Blues & Gospel Records 1890-1943, Clarendon Press – Oxford, IV Ed 1997. Riguardo l’esistenza dei due inediti, cfr. A. van der Tuuk: The New Paramount Book Of Blues, Agram, 2017, pag. 306. La stessa opera è stata usata per le informazioni biografiche.
(8)Cfr. D. Kent, M. Stewart, note a Mississippi Bottom Blues, Mamlish S-3802, 1973.
(1 – Continua)
Pio Rossi, fonte Il Blues n. 143, 2018