Negli ultimi dieci anni sono emersi diversi musicisti originari o gravitanti attorno all’area della capitale del Mississippi, Jackson. Pensiamo a Zac Harmon, Mr. Sipp, Eddie Cotton, JJ Thames, Jarekus Singleton, o il veterano King Edward, e molti di loro sono passati attraverso l’IBC e sono tutti piuttosto attivi dal vivo come su disco. Del lotto fa parte a buon diritto Grady Champion, legato ad alcuni di loro da solida amicizia e collaborazioni. Il nostro incontro con il musicista mississippiano, il giorno dopo il suo concerto al festival di Lucerna, si svolge all’insegna di una franchezza, forse inattesa, su molti aspetti personali e sulle dinamiche professionali che si è trovato a gestire in carriera.
Sei nato vicino a Jackson, Mississippi.
Sono l’ultimo di ventotto figli, nato a Canton, Mississippi. Siamo cresciuti in una fattoria, mio padre aveva sessantanove anni quando sono nato e mia madre ventotto, era la sua seconda moglie. Eravamo battisti e frequentavamo la chiesa e la musica che vi si suonava, tanto che a otto anni cominciai a cantare nel coro dei bambini, per un paio di anni, dove cantavamo cose come “Jesus Is A Waymaker”, ma poi le ragazzine non mi prendevano in giro perché dicevano che la mia voce era acuta come quella di una bambina. E’ buffo perché già a vent’anni, come ora, mi è venuta questa voce ruvida, tanto che al telefono mi scambiavano per un vecchio o a volte un’anziana signora! La musica mi è sempre piaciuta, il blues lo ascoltavo sin da piccolo perché spesso mia madre e le amiche intessevano trapunte nei weekend e quando lo facevano ascoltavano blues, le cose della Malaco, Z.Z. Hill, Bobby Bland, Denise LaSalle, Bobby Rush o Little Milton. A circa vent’anni mi sono trasferito a Miami, mi ero messo a fare musica rap ma poi ho riscoperto il blues ascoltando un programma sulla radio della University of Miami, ascoltavo Howlin’ Wolf, Sonny Boy Williamson…e da allora il blues tradizionale mi ha conquistato. Tuttora quel tipo di musica rappresenta la base di quel che suono, anche se mi piace il suono Malaco.
Quindi hai iniziato in ambito rap.
Sì, a quindici anni mi sono trasferito a Miami con mia madre, tornai un anno dopo nel Mississippi per finire la scuola, e poi ancora a Miami dove sono rimasto fino all’età di trentuno anni, quando sono tornato definitivamente in Mississippi. Per un paio d’anni ho fatto rap, mi chiamavo MC Gold all’epoca e lavoravo per la promozione di una etichetta di rap Suntime Records. A ventitré anni presi a dedicarmi al blues e finii a partecipare ad un contest chiamato McDonald Music Fest, in modo del tutto inaspettato vinsi, mai vinto nulla in vita mia prima! La competizione era aperta a performer di vari generi, c’erano cantanti gospel, reggae, rap…Avevo perso mia madre da poco e ricordo che cantai con grande trasporto, mostrando tutte le mie emozioni e forse questo traspariva. Da allora non ho più smesso.
Allora suonavi uno strumento?
No. Da ragazzino però a scuola misero insieme una band dopo un corso di storia afroamericana su Louis Armstrong, volevo suonare la tromba. Anche mio fratello, Gregory Champion, voleva essere nel gruppo e suonare il trombone, e riuscì a farne parte, io no invece. Ricordo ancora la delusione quando la mamma uscì dal negozio di strumenti solo col trombone per mio fratello. Oltretutto io ero un bambino piuttosto solitario. Dei due però sono stato io quello che è riuscito a fare della musica la propria carriera. A venticinque anni ho comprato un’armonica, cantavo già da un anno circa e volevo suonare uno strumento, dopo aver ascoltato Sonny Boy Williamson/Rice Miller, scelsi l’armonica senza esitare. Nelle sue mani l’armonica diventava qualcosa di diverso. La chitarra l’ho cominciata a suonare più tardi verso i trent’anni.
Non molto dopo registrasti il tuo primo album.
Sì, nel 1997 tornai in Mississippi e incisi il disco “Going Back Home”, proprio perché sono tornato a casa per registrarlo. Per il secondo invece lavorai con Dennis Walker, il produttore degli inizi di Robert Cray, che si era interessato alla mia musica. Ho fatto un altro disco per loro, poi ho rallentato un po’ nei primi anni duemila. Ho ripreso nella seconda parte della decade, partecipato e vinto l’International Blues Challenge nel 2010. Nel 2003 una mia canzone è stata incisa su un album di Etta James che ha finito per vincere un Grammy e mi hanno mandato un attestato come co-autore del pezzo. Scrivere mi è sempre venuto naturale, sin da quando facevo rap e hip hop e la capacità di mettere insieme delle storie, di usare le parole adatte mi è tornato utile quando sono passato al blues.
Suoni anche in acustico a volte?
E’ qualcosa che ho cominciato a fare solo di recente, con una dodici corde, perché mi sono appassionato a Leadbelly. Ho comprato una chitarra dodici corde e iniziato a lavorarci su, lui accordava la chitarra in modo particolare, ribassata di un tono e mezzo. Anche se l’altra sera non l’ho suonata perché non c’è ne è stato tempo. Ho la fortuna di avere attorno a me bravi musicisti, la formazione attuale è con me da un anno, più o meno. Cerco di provare almeno una volta a settimana nel mio studio col gruppo, perché non importa quanto sia valido un musicista se non conosce la canzone e non ha consuetudine a suonare con gli altri della band, le cose non sempre funzionano. Lavoriamo sugli arrangiamenti e questo fa la differenza quando suoniamo, tanto è vero che molti mi dicono che la nostra band suona molto compatta. Per questo motivo quando mi è stato proposto più volte di venire in Europa senza il mio gruppo, facendomi accompagnare da band europee, ho sempre rifiutato perché non sarebbe stato un vero concerto di Grady Champion, una rappresentazione reale di quello che sono come musicista.
Sei spesso in tour però.
Suoniamo in giro per gli Stati Uniti e in Canada, vorrei tornare in Europa col mio gruppo e ho anche qualche contatto in Italia, Zac Harmon mi ha parlato di un promoter. Purtroppo circa un mese e mezzo fa a St. Louis, Missouri, qualcuno ha scassinato il nostro furgone e rubato attrezzatura per circa venticinquemila dollari di valore. Sono cose che possono succedere e per fortuna nessuno si è fatto male, ma era roba che avevamo messo insieme nel corso di anni e mi dispiace davvero.
Qualche anno addietro hai creato una tua etichetta, DeChamp, come mai?
Mi è sempre interessata la produzione e quel lato del music business, anzi già nel 1989 avevo dato vita ad una etichetta rap a Miami. Ho lavorato negli anni Novanta con Frank Hackinson, ex presidente della Columbia Pictures negli anni Settanta, imparando molto da professionisti che erano nel ramo da molti anni. Vorrei avere una rete migliore in Europa per far conoscere meglio i nostri artisti. Eddie Cotton è uno dei migliori chitarristi attivi oggi, siamo coetanei, lui è di Clinton, Mississippi. Ci siamo incrociati a fine anni Novanta, qualcuno gli aveva parlato di me, poi quando l’ho visto suonare mi è piaciuto fin da subito. Mi ha ispirato in un certo senso a diventare un chitarrista migliore. Quando ho creato l’etichetta ho pensato a lui, conoscendone il valore. Per JJ Thames mi è bastato vederla cantare. Ho firmato loro perché in primo luogo sono un loro fan ed avevo le risorse per produrre e promuovere i dischi. La promozione è molto importante, perché registrare senza promuovere un disco è del tutto inutile. E’ probabile che realizzeremo un nuovo disco di Eddie nel mese di dicembre, sarà in tour in Europa, so che ha già delle date in Francia e Svizzera.
Hai inciso anche un disco dal vivo.
Ah sì, al 930 Blues Cafe, proprio con Eddie e mio figlio al basso, era il sette luglio del 2007! Eddie a sua volta ha inciso un disco dal vivo, ma per esperienza ho visto che è complicato incidere un buon disco dal vivo, tutto deve andare per il verso giusto.
Tua madre ascoltava i dischi della Malaco e ora tu incidi per loro, un cerchio che si chiude?
Ogni tanto ci penso. Il cantante preferito di mia madre era Z.Z. Hill e ieri sera infatti abbiamo aperto con “Downhome Blues”. Essere con un’etichetta con quel passato significa molto, mi spiace solo che mia madre non mi abbia mai sentito cantare blues, è morta quando avevo ventidue anni e facevo ancora rap. Come è successo? Ho continuato a suonare per anni, a volte dico che ho provato a diventare un loro artista da quando avevo ventisei anni. All’epoca non ero pronto però, per continuare in questo campo devi poter disporre di una macchina ben oliata alle tue spalle. Ora la nostra relazione è molto buona, mi supportano in pieno, anche a livello di scrittura valorizzano le mie composizioni, l’aspetto del publishing, la gestione dei diritti d’autore, è molto importante, perché ti può portare un extra significativo. Inoltre far parte del catalogo Malaco aiuta, perché indipendentemente da cosa si possa pensare del suono Malaco, per me è blues. Non dimentichiamo che avevano forse l’artista blues di maggior successo fuori da una major negli anni Ottanta, Z.Z. Hill. Oggi le cifre di vendite dei CD non sono lontanamente paragonabili a quelle di allora, se ne vendono ai concerti per lo più.
Dal tuo punto di vista, in che modo è cambiato il mondo del blues dai tuoi inizi negli anni Novanta?
Credo ci sia stata una certa crescita, ma per uno come me che è indipendente da anni le cose non sono sempre facili. Ancora nel 2010 molta parte del pubblico e di tradizionalisti non erano propensi a certi cambiamenti, e se non si consente alla musica di evolvere c’è il rischio che diventi stagnante e ripetitiva. Non ho nulla contro le dodici battute, ma il mio approccio è un po’ diverso e richiede un certo adattamento anche da parte del pubblico. Negli ultimi anni ho notato maggior apertura e questo mi fa ben sperare. Negli Stati Uniti a volte c’è un problema perché in alcuni festival è difficile esserci se non fai parte del roster di artisti di una determinata agenzia, solo i loro artisti finiscono in cartellone. In Europa è diverso, ma in America per me o Eddie Cotton non è semplice, solo occasionalmente riusciamo a suonare nei festival, ma senza una grossa agenzia.
Sei amico di Zac Harmon, anche lui originario di Jackson?
Si, Zac ha anche prodotto il mio disco del 2011, “Dreamin’”. Abbiamo scritto qualche canzone insieme. Sono amico anche di altri musicisti della zona di Jackson, come Mr.Sipp, anche lui su Malaco e Jarekus Singleton, anni fa suonava nella mia band, prima che firmasse per Alligator. Mr Sipp viene dal gospel ed è un grande chitarrista a sua volta, ha vinto anche lui l’IBC e si sta facendo strada. Come me ed Eddie, anche lui è stato sponsorizzato dalla Mississippi Blues Society ed ha vinto il Challenge.
Per musicisti della vostra generazione è una responsabilità o una sfida raccogliere l’eredità di Little Milton o Bobby Rush?
No, non la vivo in questo modo, quel che conta è che ci venga data la possibilità di salire su un palco e fare la nostra musica.
Per quanto riguarda l’armonica hai menzionato Sonny Boy Williamson, ci sono altri artisti che ti hanno ispirato?
Tutti venerano Little Walter ma per me Sonny Boy aveva tutto, personalità, fraseggio, capacità di raccontare una storia con le sue canzoni e di fare un grande show. Quanto ai chitarristi, ce ne sono tantissimi da menzionare, da B.B. King a Clapton o Albert King. A me piace moltissimo Freddie King e poi Guitar Slim, che sto riascoltando molto in questo periodo, ho scaricato l’integrale delle sue incisioni e le cose che faceva lui negli anni Cinquanta sono incredibili, diverse da tutto il resto. “The Things That I Used To Do” fu prodotta da Ray Charles, altro artista che ammiro molto per come ha combinato blues, gospel e country. Io compongo al piano anche se non lo suono molto bene, qualche tempo fa ho scritto una canzone quasi country chiamata “Mississippi Pride”. La cosa particolare di Guitar Slim è che mi ha fatto venir voglia di suonare alcune delle sue canzoni. (A questo punto Champion prende lo smartphone e seleziona “Done Got Over It” n.d.t.). Conoscere la storia della nostra musica è fondamentale, anche se poi non tutto filtra nella mia perché non mi piace imitare questo o quel grande. Quando salgo su un palco in ballo c’è il mio nome, prendo le cose seriamente, non bevo, non fumo e non faccio uso di droghe, mi aspetto la stessa dedizione dai miei musicisti. Oggi non tutti sembrano disposti a seguire questi principi, ma se bevi troppo o non sei responsabile non andrai da nessuna parte.
(Intervista realizzata a Lucerna il 18 novembre 2017)
Matteo Bossi e Marino Grandi, fonte Il Blues n. 142, 2018