Heather Myles picture

La blasonata rivista inglese Country Music People le ha dedicato la copertina del numero di Ottobre 1998. ma Heather Myles non è certamente un’esordiente. Con quattro albums al suo attivo, uno dei quali registrato dal vivo, è considerata la ventata di aria fresca che la musica country stava aspettando da tempo.
La sua espressione artistica è caratterizzata dalla sintesi fra tradizione ed innovazione, una bella voce, a tratti grintosa e roca, a tratti dolce e suadente, le consente di tenere il palco con personalità e la scelta quasi impeccabile dei brani da proporre al suo pubblico contribuisce a rendere il suo act irresistibile.
Cresciuta in un ranch nei pressi di Riverside, California, gli anni ’60 e ’70 la vedono in groppa a esemplari purosangue che la sua famiglia addestra per le corse al galoppo, ed è proprio nell’ambiente equestre che Heather guadagna i primi soldi, fino a quando il fascino della musica honky-tonk non ha il sopravvento e le redini e la sella vengono appese al fatidico chiodo.
Il primo contatto discografico lo ha alla fine degli anni ’80 con la Rounder che, pur apprezzando il contenuto del suo demo, ammette di essere orientata artisticamente verso espressioni più folk e bluegrass e quindi di non essere il tramite più adatto per promuovere un prodotto hard core honky-tonk.

Con l’aiuto di Wyman Reese dei Lonesome Strangers, che produce un altro suo demo, Heather giunge finalmente alla corte di un’altra indie, la Hightone di Oakland, California, la quale inserisce due suoi brani nel sampler album del 1990 intitolato Points West.
E’ grazie all’interesse suscitato da queste performances che, a distanza di due anni, la Hightone ed il produttore Bruce Bromberg tengono a battesimo il suo esordio con lo stimolante Just Like Old Times.
In Europa, dove la fanciulla si conquisterà un cospicuo seguito di fedeli ammiratori, specie nel Regno Unito, il prodotto è distribuito dall’inglese Demon che contribuisce non poco a lanciare questa nuova piccola star della ‘new-traditional’ country music. Accompagnata da alcuni amici famosi e non (che rappresentano la prima formazione dei suoi Cadillac Cowboys), Heather parte in quarta fin dal primo attacco di batteria. Ben supportata da Buddy Miller (vedi Spyboy di Emmylou) e Greg Leisz alle chitarre (vedi quasi tutti gli ultimi dischi di Dave Alvin, presente anche alle slide), da Dusty Wakeman al basso (session-man di sicuro valore, fra l’altro alla corte di Tom Russell nell’Italian Tour del ’93), dal fiddle di Brentley Kearns (Dwight Yoakam), dal mandolino di Dick Fegy (ve lo ricordate un certo David Bromberg, vero…) e dalle tastiere di Skip Rdwards.
Heather Myles confeziona un gioiellino di new country che sta esattamente a metà fra gli sforzi dei giovani virgulti e quelli dei vecchi marpioni. Firma da sola ben cinque brani ed altri tre la vedono collaborare con altri autori. Completano il panorama le firme di Jim Lauderdale e Gary Brandin in un paio di episodi.

L’iniziale Love Lyin’ Down, introdotta da una batteria molto ‘diretta’ e da un dobro altrettanto deciso, ci propone una perfor­mance vocale di Heather molto grintosa e ben sostenuta dalle chitarre (acustiche ed elettriche).
Tempo di shuffle dei più tradizionali con il classico a firma Stonewall Jackson Why I’m Walkin’ (Angel On My Mind), recentemente rispolverato anche da Don Walser e da Ricky Skaggs.
Basso e batteria sugli scudi per l’esecuzione vocale di Heather Myles, che si conferma interprete di carattere, senza dimenticare l’apporto della chitarra elettrica ‘twangy’, della steel e del fiddle.
E’ poi la volta di un brano che diventerà molto popolare alla corte della nostra reginetta: quella Changes che farà bella mostra di sé anche nel live. Ballata corposa, cadenzata dalla bacchetta che percuote il bordo metallico del rullante, mentre le chitarre elettriche la fanno da padrone, ma senza strafare.
Cambio di atmosfera per un’esecuzione introspettiva, Rum & Rodeo, composta dafla stessa Heather. Bella l’acustica solista e la steel che sottolineano un cantato molto partecipatlvo: fra le cose migliori di tutto il CD.
La steel molto ‘californiana’ (vedasi Sweetheart Of The Rodeo di Byrdsiana memoria) introduce un altro shuttle: si tratta di Make A Fool Out Of Me ed è un vero piacere per tutte le honky-tonk ears del circondario, grazie anche alla chitarra elettrica solista, sempre molto ‘twangy’.
The Other Side Of Town si ispira ad un momento della vita di Heather Myles e corrisponde ad un periodo di soggiorno a New York.
Da ricordare ancora lo shuffle più tipico di Stay Out Of My Arms, a cura di Jim ‘prezzemolo’ Lauderdale, prolifico compositore del nuovo country made in Nashville, senza dimenticare un altro hit: Lovin’ The Bottle Tonight, a firma dello steel guitarist Gary Brandin. che non si risparmia certo in questa occasione.

Nonostante la calda accoglienza che la critica riserva al debutto, è necessario attendere fino al ’95 affinchè la Hightone pubblichi il suo secondo album: Untamed.
Nel frattempo ha girato in lungo ed in largo gli States e l’Europa, aprendo gli spettacoli di personaggi del calibro di Merle Haggard, Waylon Jennings, Charlie Daniels, Ricky Skaggs e via di questo passo.
Per il suo secondo ‘parto’ artistico, Heather affianca ai fedeli Brentley Kearns (fìddle), Skip Edwards (tastiere), Greg Leisz (strumenti a corda), il chitarrista Bob Gothar (sentite quanto jingle-jangle sound si respira nella ritmata And It Hurts, che apre le danze), il bassista Bob Glaub (di westcoastiana memoria) e colui che andrà ad affiancare Emmylou Harris in tempi recentissimi: Buddy Miller, titolare a pieno diritto di alcuni dei migliori momenti country- rock contemporanei.
L’amore di Heather per il Bakersfleld sound si manifesta ancora una volta nel brano When You Walked Out On Me, a firma della stessa cantante, che compone ben otto dei dodici brani qui compresi. Esecuzione rallentata con prestazione vocale di tutto rispetto, mentre Bob Gothar ricama di fino all’elettrica solista.
Per Cadillac Cowboy, da cui prenderà il nome la sua band, si sfoderano grinta e carica da vendere, trattandosi di un country-boogie contrappuntato da flddle e steel, mentre la batteria hillbilly tiene il ritmo e ricorda certe cose della Charlie Daniels Band della metà degli anni ’70.
Indigo Moon ci rapisce con le sue armonie messicaneggianti mentre la fisarmonica di Skip Edwards si spartisce il ruolo di star con l’acustica arpeggiata di Greg Leisz.
It Ain’t Over ci mostra ancora una volta il carattere determinato della nostra, che difende il proprio amore fino a quando non è lei stessa a decidere che la storia in questione è finita.

Musicalmente ci troviamo di fronte ad un corposo country-rock, degno della California anni ’70.
Begging To You (che l’autore, Marty Robbins, aveva inserito in I Walk Alone del ’68) ha il profumo dei classici del passato.
Gone Too Long, co-firmata da Heather e Dickey Lee (ve la-ricordate 99,999 Tears?), offre una elettrica solista imbracciata da Bob Gothar.
Sul versante dei brani più meditativi, alcune doverose segnalazioni per la conclusiva title-track, con svariate citazioni prettamente ‘californiane’, (Big Sur, Capistrano, ecc), Until I Couldn’t Have You, dolcemente arpeggiata sulle chitarre acustiche dei soliti Bob Gothar e Greg Leisz e Coming Back To Me.
Anche stavolta la produzione è affidata alle mani di Bruce Bromberg. responsabile della maggior parte delle uscite di casa Hightone. Nel complesso, il disco si presenta come una conferma dei presupposti sui quali si era retto l’esordio, anche se il livello generale è leggeimente più basso, ma bissare un album come il primo non sarebbe stato praticamente possibile.
Allo scopo di rinnovare ulteriormente l’interesse destato dal nome della Myles, la Hightone pubblica il suo terzo album nel ’96. Assistiamo così al ‘debutto live’ nei solchi di Sweet Little Dangerous – Heather Myles Live At The Bottom Line.

E’ proprio il noto locale londinese a fare da scena a questo esempio di sana honky-tonk music, condita dalle varie e riconosciute influenze artistiche che hanno caratterizzato e continuano tuttora – fortunatamente – a caratterizzare la produzione di Heather, in testa a tutte il Bakersfield sound di Buck Owens e Merle Haggard.
Segnaliamo con piacere che le note di copertina sono curate da Sid Griffin, di Long Rydersiana memoria e profondo conoscitore di Gram Parsons e di tutto il movimento country-rock nato in California alla fine degli anni ’60.
La partenza è incoraggiante, con Read You All Wrong, uno shuffle che funziona a mille, firmato dalla stessa Heather.
Subito dopo i ringraziamenti al pubblico, ecco il primo tributo ad uno dei suoi idoli, Buck Owens, recentemente riportato alla ribalta delle cronache da Dwight Yoakam.
E’ poi la volta di un altro brano originale, tratto dal suo debutto, The Other Side Of Town.
L’album prende il titolo da un brano di Heather che è presente per la prima volta in questo live, Sweet Little Dangerous: un country-rock veloce e spigliato.
Altri inediti per If The Truth Hurts, veloce shuffle che dimostra oltre ogni possibile dubbio quanto la nostra Heather abbia ascoltato i grandi del passato e ne abbia assorbito la lezione e True Love Won’t Let You Down, altro episodio elettroacustico in veste di ballata autobiografica, sostenuto dalle chitarre e dalla onnipresente steel.

Viene di seguito rispolverata Lovin’ The Bottle, altro esercizio di Bakersfield sound filtrato attraverso la sensibilità del primo batterista dei Cadillac Cowboys, Gary Brandin.
E’ ancora tempo di tributo per questo omaggio a Loretta Lynn, con When The Tingle Becomes A Chill, caratteristica esecuzione stile anni ’60 di una altrettanto classica ‘broken-hearted ballad’ nel genere in cui Loretta eccelleva.
Evidentemente le potenzialità compositive di Heather Myles sono notevoli, se in poco tempo ha saputo rendere disponibili tanti inediti, fra i quali continua a fare bella mostra di sé anche Love Me Just A Little Bit Longer, mid-tempo nel filone tipico della sua produzione country-rock oriented.
Sempre dall’esordio viene ripescata Rum And Rodeo qui riproposta in versione rallentata rispetto all’originale. Sognante e triste nel contenuto, narra la storia di un rodeo rider, che preferisce l’alcool all’amore della sua donna.
Non contenta dei risultati ottenuti in ambito country, Heather decide di cimentarsi col suono blues acustico e nasce così l’ennesima ballata inedita: Worried Wife Blues, dedicata a tutte quelle donne oberate dalle preoccupazioni legate al loro ruolo coniugale. Citazione per il lavoro chitarristico di Wes McGhee, honky-tonker britannico, ma assiduo frequentatore del Lone Star State.
Ripescaggio di lusso per Changes, brano caratteristico del messaggio country-rock di Heather: suono pulito e sicuro, voce matura e convinta, prodotto finito sicuramente vincente!
George Jones, altro canuto monumento del coun­try anni ’60 (e seguenti…), viene omaggiato con la riedizione di una ballata squisitamente country old style: Walk Through This World With Me.

Chiusura prevedibile con il brano-manifesto di Heather Myles e dei suoi Cadillac Cowboys: Cadillac Cowboy appunto. Da ‘Country Music Hall of Fame’ l’a­-solo di steel in chiusura di esibizione. Una fotografia nitida e precisa di dove è arrivata Heather Myles fino a questo momento: una giovane – ed affascinante, perché no – promessa nell’ambito di un movimento artistico dove spesso purtroppo è sufficiente indossare un cappello da cowboy ed avere un look accattivante per ottenere un contratto, salvo poi essere immediatamente defenestrati dalla major di turno, quando i risultati di vendita non soddisfano le rigide regole dello show-biz.
Dobbiamo attendere altri due anni per poter veriflcare a che punto siamo con l’evoluzione artistica di Heather Myles, ma stando al contenuto del recente Highways And Honky-Tonks direi che siamo arrivati molto vicini alla cima. Album maturo, stimolante, professionalmente compiuto, viene tenuto a battesimo dalla Rounder.
Nei dodici brani che compongono il disco in questione troviamo spunti di meditazione: l’oculato recupero di classici del passato quali Kiss An Angel Good Mornlng (ve la ricordate nella versione di Juice Newton?) o I’ll Be There, firmata dall’honky-tonker Ray Price e ripresa da Johnny Bush e J.J.Cale. La presenza di un’icona vivente quale Merle Haggard a duettare in No One Is Gonna Love You Better rappresenta un momento di gratificazione per Heather, tenuto anche conto della pluriennale lontananza dagli studi di registrazione di Merle.

La performance del ‘grande vecchio’ (in senso deferente, sia chiaro) è ancora da brividi ed è un vero e proprio delitto non potere ascoltare qualcosa di nuovo a suo nome.
You’ve Taken Me Places I Wish I’d Never Been riprende la sfilza dei brani originali e ci si presenta con una batteria inarrestabile e la voce che suona altrettanto grintosa, ben supportata dalla steel (è tornato Gary Brandin) e dalle chitarre elettriche (Bob Gothar ed il produttore dì Dwight Yoakam, Pete Anderson).
Broken Heart For Sale si impreziosisce degli apporti chitarristicl dei due session-men succitati, senza dimenticare il contributo tastieristico di Skip Edwards.
True Love ha un suono evocativo, con un ritornello talmente fruibile da farne un pezzo di presa immediata.
Citazione più che dovuta per uno dei brani più interessanti del CD: Playin’ Every Honky-Tonk In Town. Sicuramente fra le perle della corona di questa novella honky-tonk queen, viene confezionata secondo i canoni più tipici dello stile: introduzione autoritaria di steel, pianoforte frizzante, batteria che viaggia a tempo di shuffle, violino intrigante (in mano a Scott Joss), il tutto agli ordini di una voce ben determinata a… dire la sua.
Rock At The End Of My Rainbow raccoglie il testimone che fu dei Flying Burrito Brothers di californiana memoria, ma il Bakersfìeld sound è ancora ben presente in questa potenziale ‘entry’ in un’altrettanto ipotetica Heather Myles’ Top Ten.
Diversa ispirazione invece per la mexican-oriented Who Did You Call Darlin’, brano condito di accordion.
Dal precedente live viene invece recuperata Love Me A Little Bit Longer con un pregevole lavoro chitarristico e contrappunti di mandolino.

Alla luce di tutta la discografia di Heather Myles, questo quarto lavoro si rivela il disco più completo e maturo in assoluto, con almeno quattro brani ottimi, due autentici gioielli ed un corredo di songs originali e non, da fare invidia a qualunque country-star di prima grandezza. A parte il fatto che nessuno ha detto, in fin dei conti, che Heather Myles non lo sia, o almeno non lo sia finalmente diventata.

Dino Della Casa, fonte Country Store n. 47, 1999

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