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Paul Overstreet da qualche anno ormai ha portato ad una svolta la propria carriera di musicista concentrando le proprie energie sulla casa discografica indipendente che lui stesso dirige.
Con l’etichetta della Scarlet Moon Records hanno visto la luce diversi lavori tutti di ottimo livello, e dubbi veramente non potevano esserci vista la caratura dell’artista.
Prima il tanto atteso Vol.1 di A Sogwriter’s Project una raccolta di successi del Paul Overstreet autore che negli anni ‘80 segnò le carriere di molti interpreti del calibro di Randy Travis, Tanya Tucker, The Judds, Keith Whitley.
Poi un christian album intitolato Living By The Book in cui i temi religiosi, i suoni gospel e country e la vena creativa di Overstreet si fondono dando vita a 13 canzoni in cui il sentimento della fede viene raccontato con realismo e semplicità.
Ancora un libro intitolato Forever And Ever Amen che raccoglie le storie che si nascondono dietro venti delle sue canzoni e l’impatto che le stesse hanno avuto sul pubblico raccontato attraverso le lettere ricevute da Paul in tutti questi anni, un modo originale per far rivivere canzoni memorabili.
Infine è uscito da poco il CD Christmas, My Favorite Time Of The Year, una raccolta di undici canzoni natalizie che comprende alcuni classici (White Christmas, Silent Night, Winter Wonderland) ed alcuni brani originali firmati dallo stesso Overstreet come la bella title track o le lente One Christmas Eve e Merry Christmas Mary, canzone che ripropone la collaborazione con Don Shlitz con risultato garantito.
Uno dei pezzi più belli del disco è The Greatest Christmas sorretta da un arrangiamento costruito attorno alla chitarra acustica ed al pennywhistle su cui si inseriscono in crescendo la batteria e percussioni prima, l’armonica e la chitarra elettrica nel finale. E’ in questa canzone più che nelle altre che Paul riesce a catturare in modo efficace e diretto il sentimento natalizio fatto di emozioni semplici e genuine come il solo fatto di vivere quel momento con la persona amata.
Un’altra segnalazione è dovuta per lo swing che chiude il disco, How Do I Wrap My Heart Up For Christmas che Paul firma asieme all’amico Randy Travis, un binomio che ha fatto storia nel panorama musicale country.
Molti sono i musicisti che partecipano al lavoro, anche nomi molto noti come Aubrey Haynie (violino), Mike Brignardello (mandolino e armonica), Paul Leim (batteria) e altri ancora.
Un disco natalizio con canzoni diverse tra loro, ognuna con un messaggio particolare tutte tese a riportare in primo piano il vero e originale significato della festività.
Così come vero ed originale è il credo artistico di Paul Overstreet che andiamo a conoscere meglio con questa intervista che ha avuto la gentilezza di concedermi durante uno dei miei viaggi a Nashville a giugno di quest’anno.
Sul divanetto fuori da una sala prove, qualche ora prima di uno show al Ryman Auditorium, abbiamo iniziato a parlare a ruota libera di passato, presente e futuro…

Cominciamo a parlare di uno dei tuoi ultimi lavori il disco ‘Living By The Book’. E’ il tuo primo Christian album dopo molti anni ma il tema religioso è presente anche in tuoi vecchi successi. Come nasce questo disco?
Living By The Book
è un progetto a cui tengo molto, che riflette il mio rapporto con la fede e che nasce musicalmente dai ricordi di quando da bambino andavo a messa con la famiglia e lì ascoltavo spirituals, gospel, insomma musica religiosa. Mi piace mischiare questi generi e queste tematiche con la country music tradizionale. Il mio non è propriamente un disco di musica cristiana contemporanea, anzi, non è stato bene accolto dall’ambiente Chritian proprio perché si tratta di canzoni sostanzialmente country, loro non amano questo genere di contaminazioni.
Tu comunque sei soddisfatto del risultato?
Direi di sì, questo disco ha diverse cose che mi piacciono e che mi rendono orgoglioso. La musica innanzitutto, le canzoni che ho scritto di getto in una volta. Da piccolo come ti dicevo andavo in chiesa ogni domenica, poi crescendo ho perso un po’ questo attaccamento che negli ultimi anni ho ritrovato leggendo e rileggendo la Bibbia. La cosa che mi piace di più è che Living By The Book rappresenta proprio tutto questo mio percorso di riavvicinamento alla fede.

Prima mi hai parlato della musica religiosa che ascoltavi da piccolo, quali altre influenze musicali ti hanno guidato nella tua carriera?
Come prime influenze senza dubbio la musica di gruppi come i Doobie Brothers e i Credence Clearwater Revival.Credo che le loro canzoni, il loro sound ed in particolare i testi fossero molto country anche se il loro era considerato rock, tuttavia pezzi come Green River o Born On The Bajou ad esempio parlavano di storie e di luoghi assolutamente country, oltretutto venivano citati i posti in cui sono nato e cresciuto nello stato del Missisipi a poco più di dieci miglia dal Golfo del Messico. Poi ho iniziato ad ascoltare la musica di Hank Williams, Merle Haggard e Charlie Pride tutti artisti molto apprezzati e seguiti dai miei familiari.
Ho letto che fu un film a convincerti di voler diventare un musicista.
Verissimo, il film era Yor Cheatin’ Heart con Gorge Hamilton nella parte di Hank Williams. Credo che quel film mi colpì per lo stile di vita incredibile che mostrava tutto fatto di chitarra, emozioni e creatività. Fu di certo grazie a quel messaggio che decisi un giorno di intraprendere questa carriera e trasferirmi a Nashville.
A proposito di creatività, poco prima di Living By The Book, hai pubblicato il bellissimo Songwriter’s Project che raccoglie alcune tue canzoni portate al successo da altri artisti. Come hai affrontato questo lavoro, voglio dire sei stato influenzato dalle incisioni degli interpreti precedenti?
E’ stato davvero duro perché la gente ha ascoltato e conosciuto quei pezzi nelle versioni degli interpreti per cui li scrissi. Ad esempio la canzone On The Other Hand fu incisa su demo da me e Don Shlitz con chitarra, voce e harmonies. Quando Randy Travis la sentì, decise che andava bene così com’era e registrò il pezzo con gli stessi arrangiamenti del demo.
Quando è toccato a me registrare la mia versione, temevo e non volevo che il pubblico pensasse che avessi semplicemente copiato la versione di Travis, anche se in realtà era accaduto il contrario. Per questo motivo ho cercato di cambiarla in qualche punto e lo stesso ho cercato di fare per altre canzoni. Ogni pezzo ha rappresentato una vera sfida ed è per questo che mi ci è voluto molto per finire il disco. Ogni volta che ci trovavamo di fronte ad una canzone, dovevamo capire come registrarla.

Sei contento di quello che avete raggiunto?
Complessivamente sì, anche se forse avrei voluto arrangiare diversamente qualche pezzo o cambiarlo, inserirne altri ma credo che nel volume 2 potrò fare meglio ed includere canzoni che credo di aver trascurato.
In ‘Songwriter’s Project’ c’è una canzone intitolata ‘Be Mine’ che amo particolarmente, come è nata?
Ah la canzone di S.Valentino…il mio amico Paul Davis mi telefonò un giorno e mi parlò di una idea per una nuova canzone. Andai a casa sua ed incominciò a spiegarmi; in pratica era già fatta ma ci mancava una strofa che caratterizzasse il pezzo. Un giorno, proprio la mattina di S.Valentino, mi sono svegliato e mentre ero in letto pensai…ho l’ultima strofa della canzone. E così è nata Be Mine, è stupefacente la storia ed i tanti passi che portano alla nascita di una canzone.
Tu al proposito hai anche scritto un libro intitolato Forever And Ever Amen.Di che si tratta?
Proprio delle storie che riguardano le mie canzoni ed in particolare delle reazioni ed emozioni del pubblico.
Quando i miei singoli venivano trasmessi con regolarità dalle radio del paese, ricevevo migliaia di lettere di persone che mi raccontavano una loro storia legata ad una mia canzone. Allora ero troppo impegnato e non avevo il tempo materiale per leggerle con attenzione. Oggi anche grazie al mio sito web questo tipo di storie continuano ad arrivare, io ho cominciato a leggerle, ad appassionarmi e a conservarle. Quando ne ho raccolte così tante, ho pensato che sarebbe stato bello se tutti avessero potuto conoscerle. Abbiamo selezionato le migliori e così è nato il libro.

Il tuo nome è legato a canzoni portate al successo da altri interpreti. In Italia per esempio la versione di ‘When You Say Nothing At All’ di Ronan Keatin ha avuto un buon riscontro di pubblico che la identificava con l’interprete senza sapere chi l’avesse scritta. Come si sente un cantautore quando succede questo?
Non è un problema, dico davvero, non fa alcuna differenza. A me sta bene così. Anche artisti del calibro di Mac Davis o Willie Nelson hanno firmato canzoni per altri che il pubblico identifica con questo o qell’interprete. Per me l’importante è che la canzone resti e venga conosciuta ed apprezzata. In futuro magari sarà nuovamente registrata da un nuovo artista che magari le darà nuova vita ed in tutto questo l’autore si sente sempre in qualche modo coinvolto. Se la mia musica piace io sono contento a prescindere dal fatto che il pubblico creda che sia di altri.
C’è un segreto per far sì che una canzone duri a lungo?
Mi piacerebbe conoscerlo ma purtroppo non te lo so dire. Si tratta ogni volta di una sfida in cui cerchi di scrivere cose che credi ma non puoi mai sapere potranno piacere. Anzi quando lavori su un pezzo non ti accorgi delle sue potenzialità e del possibile impatto sul pubblico. E’ stato così per When You Say Nothing At All, non potevamo immaginare che sarebbe piaciuta a Keith Whitley prima e poi ad Allison Kraus e Ronan Keatin e naturalmente a così tanta gente.
Ne hai appena nominato qualcuno ma tu hai veramente scritto canzoni per molti artisti. C’è qualcuno dell’attuale panorama musicale con cui ti piacerebbe collaborare?
Difficile rispondere perché me ne vengono in mente molti con cui lavorerei volentieri. Mi piace molto lo stile di Tim McGraw per esempio, il sound dei suoi dischi…Forse è più giusto dire che mi piace molto il lavoro del suo produttore. Anche Faith Hill mi piace molto, soprattutto nelle esibizioni live. Ma ce ne sarebbero sicuramente molti altri.

Consideri davvero ‘Forever And Ever Amen’ il tuo capolavoro o comunque la canzone che più ti rappresenta come artista?
Direi di no anche se devo dire che spesso capita di essere identificati con ciò che ha ottenuto il successo più grande. Quando scrivi un pezzo con qualcuno è difficile dire quanto di quel lavoro sia effettivamente tuo e quanto invece sia stato influenzato dal coautore. Francamente credo che Forever And Ever Amen sia una canzone in gran parte attribuibile a Don Shlitz. Mi piace ma sinceramente non sono mai riuscito a capire i motivi della grande popolarità che ha avuto, scalò così in fretta le classifiche ed io mi sono sempre chiesto cosa ci fosse nella canzone che la gente amasse così tanto.
Una volta andammo in Australia e la cantai chitarra e voce durante una serata organizzata per dei diplomatici, non l’avevano mai ascoltata e quando arrivai alla fine del ritornello partì un lungo applauso accompagnato da risate di gioia, era una canzone che piaceva e piace al primo ascolto e non ho ancora capito perché.
Nella versione incisa da Randy Travis, che la portò al grande successo, io cantai il backvocals e ancora oggi amo molto quella registrazione, forse una delle migliori che si sia fatta di quel pezzo, ma ancora non capisco cosa abbia questa canzone di così straordinario.
Allora qual è, se c’è, la canzone che ami di più e che senti più rappresentativa del tuo modo di scrivere?
Prima abbiamo parlato di When You Say Nothing At All, ecco mi piace molto ciò che dice quella canzone e lo stesso discorso lo farei per Seein’ My Father In Me un pezzo che amo eseguire in ogni serata live per l’atmosfera che sa creare. Direi che queste due sono le canzoni che costituiscono un modello ideale del mio lavoro di autore.

Il tuo stile si ispira alla country music classica; oggi si fa un gran parlare della situazione attuale di questo genere musicale, tu che ne pensi?
Penso che la country music di oggi sia troppo influenzata dalle idee delle case discografiche. Manca un po’ della genuinità del passato. So che non è possibile tornare indietro e riproporre i suoni alla Conway Twitty o Gorge Jones, neanche io forse vorrei ascoltare ancora oggi le stesse cose ma credo che in passato, in quel passato, gli addetti ai lavori coinvolti abbiano cercato di creare un sound fresco ed interessante per il grande pubblico restando però nei canoni della country music.
Oggi molte case discografiche si allontanano dal country e cercano di spostarsi verso il pop. Non sono contrario ad una evoluzione ma credo che sarebbe meglio se questa avvenisse all’interno della musica e tradizione country senza cercare di voler essere qualcosa di diverso.
Torniamo alla tua carriera, c’è un momento che ricordi con maggiore orgoglio o di cui sei maggiormente fiero?
Forse adesso. Ho una mia casa discografica e collaboro con questa associazione chiamata Family Life che organizza eventi chiamati I Still Do per coppie sposate che rafforzano il proprio sentimento. Ogni volta si radunano 10/14.000 persone ed io suono alcune delle mie canzoni, è un’emozione bellissima. C’è un altro momento che ricordo con orgoglio: quando collaboravo con Randy Travis seguii come spettatore un suo concerto a Biloxi nel Missisipi ed il palazzetto era gremito, l’acustica ed il sound system erano perfetti. Quando Randy cantò le mie canzoni la gente urlava con entusiasmo, è stata una sensazione fantastica una emozione molto forte. So che impazzivano per lui più che per la mia canzone ma fu comunque bellissimo.

Ho avuto la fortuna di vederti due volte dal vivo al Ryman Auditorium, com’è esibirsi su quel palco, in quel teatro?
Mi piace molto il Ryman, per diverse ragioni. Per la sua storia innanzitutto, è stato un centro cristiano importante, poi è diventato casa della Grand Ole Opry ed anche ora che è divenuto una attrazione turistica, conserva sempre qualcosa di speciale. E poi è un gran bel posto per suonare ed uno splendido teatro. Ci suono in occasione dell’IFCO Concert ed è sempre molto divertente.
Dove sei adesso dunque è dove avresti voluto arrivare agli inizi del tuo percorso artistico?
Questo è troppo difficile da dirsi. Non lo so, amo molto la musica ma a volte mi chiedo quanto realmente sia apprezzata. Ho scritto molte canzoni che credevo sarebbero state importanti ma non hanno trovato spazio perché non erano abbastanza pop. Sarei contento se la country music tornasse a produrre e incidere grandi canzoni senza preoccuparsi di essere più pop.
Una delle cose che amo di più fare è andare alle partite di baseball dei miei figli, è molto divertente vedere come si muovono e giocano, finchè il mio lavoro mi consente di farlo io sono contento. Se poi non dovesse più funzionare con la musica, beh io sono un redneck del Missisipi e posso sempre tornare laggiù ad occuparmi della fattoria.
Sembra invece che le cose funzionino ancora. Che progetti hai per l’immediato futuro?
Molto lavoro! Ho in mente un po’ di canzoni su cui lavorare per il Vol 2 di Songwriter’s Project ma non credo saranno pronte prima dell’anno prossimo. Poi c’è questo disco di Natale. Sai per me è dura fare un disco visto che dirigendo la casa discografica ho una serie di impegni che mi tengono occupato a lungo come produttore, discografico, per i concerti dal vivo, insomma rimane veramente poco tempo per registrare e per questo ogni album diventa un lungo processo lavorativo.

Roberto Galbiati, fonte Country Store n. 60, 2001

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