Un grande festival dedicato alla chitarra in Italia ancora non esiste, anche se è bello sperare nel futuro, ma c’è un appuntamento che ogni anno ormai mette a contatto migliaia di persone con una parata di chitarristi non indifferente. Considerate il posto fondamentale che ha la chitarra nella storia del blues e non vi stupirete se ciò di cui parlo è il festival di Pistoia.
Bluesin 88, nona edizione della manifestazione, ha avuto quest’anno uno svolgimento particolarmente felice in termini di programma e partecipazione di pubblico presentando nei primi tre giorni di luglio un panorama assai vasto della musica nera, andando a toccare soul e rhythm’n’blues, Chicago, il rock-blues bianco ed altro, nella solita felice coreografia fornita dalla cittadina toscana.
Efficace e talvolta stoico nel ruolo di presentatore Andy Forest che a colpi di dialettica e armonica ha ricucito i vuoti obbligati di una rassegna di grandi proporzioni. Neanche la pioggia ha avuto la meglio sul folto pubblico accorso a festeggiare alcuni tra i nomi più illustri mai apparsi su questo palco, circondato quest’anno dalle telecamere di DOC, sponsor del festival. Dopo tre giorni di musica, una valanga di note senza fine, cosa resta più impresso, un ritmo magico e pulsante o anche solo un carosello di strumenti (e strumentisti) da perdere la testa?
Lo storico Telecaster di Steve Cropper, ‘The Colonel’, la Strato ‘consumata’ di Stevie Ray, John Lee Hooker e la sua fedele compagna, l’inconfondibile cassa rettangolare dello strumento di Bo Diddley. Ma c’è qualcosa di più. Ron Wood, in giacchetta a righe, che viene letteralmente assalito dai fans appena uscito dalla macchina; la suspence creata dal diabolico Johnny Winter, sigillato nel suo pulman a lato del palco fino al momento di iniziare la sua esibizione. Diddley che, da vero tutore dell’ordine (è stato anche vice-sceriffo del suo paese nel New Mexico), ammonisce il pubblico a divertirsi ma ‘ordinatamente’ e a non tirare oggetti sul palco: poi si lascia andare e ancheggia con Wood. La commozione di Louisiana Red, discepolo irruento di Muddy Waters, dopo aver ricevuto in regalo da Winter uno slide ‘firmato’. E ancora la grande esibizione della Blues Brothers Band con la storia del soul scritta a chiare lettere e ripercorsa sul palco da personaggi del calibro di Cropper, ‘Duck’ Dunn, Sam Moore (la metà di Sam & Dave), Rufus Thomas, Booker T. Rufus che si aggira per il festival con la disinvoltura di chi porta i suoi settant’anni passati come fossero venti.
Ricordi sparsi (e simulacri viventi) di Belushi. Peccato che le raffinatezze di Curtis Mayfield non si adattino ad un pubblico già nervoso, eccitato, che abbraccia invece con calore il grande vecchio John Lee Hooker, in completo scuro e cappello di feltro. ‘The Hook’ (il soprannome è appuntato sulla giacca in forma di spilla dorata) mostra tutti i suoi anni ma la sua voce riscalda e anche due sole note della sua chitarra la dicono lunga: la platea è ipnotizzata. Magic Slim è per molti una bella scoperta, Fabio Treves una conferma per tutti coloro che amano questo sanguigno bluesman nostrano, che ospita anche qui nel suo gruppo la slide del bravo Dave Kelly, ascoltato il giorno prima con la britannica Blues Band.
Che cosa rimane ancora? Forse le due ali di polizia che ‘proteggono’ (da chi?) Stevie Ray Vaughan fino al palco, prima di aprire le valvole della sua musica ad alto potenziale, o l’incerta attesa della novità Melvin Taylor e del maestro Otis Rush. E l’ultima, più suggestiva immagine è proprio quella dell’anziano chitarrista di quest’ultimo che, senza una parola, attacca il cavo del suo strumento e ci regala una lunga, stupenda, improvvisazione solitaria su un vecchio tema hendrixiano. Il resto…è solo musica.
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Stefano Tavernese , fonte Chitarre n. 33, 1988