Jack Bruce

Non è sempre detto che crescere in una famiglia di musicisti debba necessariamente stimolare a diventarlo a propria volta. Ci sono però, naturalmente, delle buone possibilità che succeda e la straordinaria carriera di Jack Bruce ne fornisce la classica dimostrazione.
Nato a Glasgow nel 1943, il giovane Jack si appassiona al violoncello, che ben presto approfondisce iscrivendosi alla Royal Scottish Academy Of Music.
Il carattere indipendente e la sua personale filosofia musicale, ben lontana da quella ortodossa, lo portano a litigare sempre più spesso con i suoi insegnanti, fino a che nei primissimi anni Sessanta decide di abbandonare gli studi per recarsi a Londra, già in profumo di grandi fermenti e novità.

Il jazz, fattogli conoscere e apprezzare del padre e dal fratello, diventa l’ossessione del momento che lo indirizza verso gli ambienti cult della città, quelli dove suonano Alexis Korner e la sua Blues Incorporated, la Graham Bond Organization e John Mayall con i Blues Breakers. Bruce si unisce a tutti in lunghe jam session affinando lo stile e irrobustendo il background, fino a quando, alla fine del ’65, arriva l’occasione del grande salto di celebrità. I Manfred Mann, che vantano già hit da Top 10 come Sha La La, Come Tomorrow e Not My Baby, alla vigilia dell’incisione del nuovo 45 giri, Pretty Flamingo, devono sostituire il chitarrista Mike Vickers che se ne va per altri lidi. La scelta di Mann è quella di passare Tom McGuinnes alla chitarra e ingaggiare Bruce al basso.

Il grande successo, però, per Jack dura solo pochi mesi, infatti nell’estate del ’66, annoiato dalla leggerezza del repertorio, abbandona la band e ritorna da John Mayall, dove incontra Clapton, pure lui reduce dalla delusione con gli Yardbirds.
È il prologo alla formazione dei Cream, a cui i due, insieme a Ginger Baker, daranno vita a pochi mesi di distanza, un supergruppo che farà storia e collocherà Bruce e compagni nel mito. Il nome di Jack Bruce rimarrà per sempre legato a questa formazione, al punto da diventare uno scomodo imbarazzo nel futuro. I Cream durano un paio d’anni, poi i continui litigi tra Bruce e Baker logorano i rapporti e ciascuno intraprende la propria strada.

È l’inizio di altre collaborazioni prestigiose che però si esauriscono nello spazio di un disco o di una stagione e che si protraggono per tutti gli anni Settanta. I suoi primi dischi solisti si avvalgono della partecipazione di gente come John McLaughlin, Jon Hiseman, Larry Corryell, Mitch Mitchell e altri, ma non ottengono il consenso del largo pubblico, così come le altrettanto illustri partecipazioni jazziste insieme a Tony Williams, Carla Bley e la Jazz Composers’ Orchestra.
Negli anni Ottanta Jack Bruce continua a lavorare su più fronti cimentandosi sempre al confine tra rock, fusion e jazz e ottenendo ancora una volta più consensi di critica che di pubblico.

Frequenta assiduamente la scena d’avanguardia newyorkese che culmina con la registrazione di due album con i Golden Palominos, ma la gente che va ai suoi concerti si aspetta sempre di poter ascoltare i mitici fraseggi di Train Time o White Room, che invece sono ormai sepolti nei recessi più reconditi della sua memoria. Bruce vuole essere apprezzato soprattutto per il suo presente e così la sua musica rimane patrimonio per una pattuglia irriducibile di aficionados che lo apprezza per quel che è.

Le cose non cambiano un gran che nella decade di fine millennio, se non per un improbabile tentativo di far risorgere il mito dei Cream insieme al vecchio nemico Ginger Baker e al bravo Gary Moore che, nelle intenzioni, dovrebbe sostituire Clapton. L’album che ne deriva, Around The Next Dream, nonostante la perizia tecnica del trio (battezzato BBM), rivela tutti i limiti di una proposta poco originale. La carriera solista di Jack Bruce continua puntuale ed eclettica: l’ultimo suo lavoro, Shadows In The Air, risale a pochi mesi fa.

Roberto Caselli, fonte JAM n. 77, 2001

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