Il proggetto You Don’t Mess Around With Jim prende il via nell’autunno del 1971. Poco prima della fine di quello stesso anno le sessioni di studio sono concluse. Il disco uscirà sei mesi più tardi per la ABC, ma la strada che ha condotto Jim Croce all’Hit Factory di New York è fra le più complicate ed appassionanti, di quelle che difficilmente si dimenticano.
Nato a Philadelphia nel 1942, James Joseph Croce studia presso il college di Villanova, dove conduceva un programma di folk e blues nella locale stazione radiofonica. Al college stringe amicizia con Tommy West, al tempo leader degli Spires, un gruppo folk studentesco che si esibiva nelle coffee-houses della zona e di cui Jim entrerà a far parte. Nei fine settimana i due amici suonano in una rock band e girano i clubs intorno a Philadelphia ascoltando Doc Watson, Ramblin’ Jack Elliot, Sonny Terry & Brownie McGee.
Gli Spires raggiungono una certa popolarità in ambito locale, pur non rappresentando completamente lo spirito del giovane folksinger che ama i Mills Brothers, Bessie Smith e Jimmy Rogers ma si identifica nello stile fortemente connotato di Cisco Houston e Woody Guthrie. Jim inizia quindi a costruirsi una discreta reputazione come solista mettendo in mostra buone doti da entertainer.
La seconda metà degli anni ’60 è appena iniziata ed il periodo è musicalmente ricco e fecondo. Siamo in piena British Invasion ed anche la scena folk è in fase di ridefinizione. Le nuove generazioni avevano raccolto l’eredità dei ‘padri’ e attraverso i nuovi stilemi stavano orientando il movimento verso l’era del singer-songwriter.
Jim Croce si diploma e viene scelto dalla National Student Association per una tournée che ha lo scopo di presentare la canzone folk americana in Africa e Medio Oriente. Al suo ritorno cerca sostentamento economico attraverso una serie di mestieri: pittore edile, inserviente in un ospedale, carpentiere, pur conservando il lavoro in radio. Proprio negli studi radiofonici – durante le audizioni per la scelta della band che avrebbe aperto un concerto di Pete Seeger & The Weavers a Philadelphia – aveva conosciuto colei che sarebbe divenuta sua moglie, Ingrid Jacobson. La band di Ingrid viene prescelta, e i due danno il via ad una profonda partnership, anche musicale.
Come regalo di nozze Jim riceverà 500 dollari, da utilizzare per incidere un disco. E’ il riconoscimento da parte dei familiari verso lo sconfinato amore che Jim nutre per la musica anche se le loro aspettative troverebbero certo maggiore soddisfazione in un lavoro stabile, normale, appropriato ad un giovane italo-americano della middle-class.
Jim registra alcune composizioni originali e una manciata delle sue cover favorite. Di Facets, questo il titolo dell’album, vengono stampate 500 copie vendute per 5 dollari ciascuna ad amici e conoscenti.
Nel frattempo Tommy West ha trovato lavoro a New York presso la Abc Records dove incontra altri due elementi di quello che diverrà un team di successo: Terry Cashman e Gene Pistilli.
Nell’autunno del 1968 convince Jim a raggiungerlo a N.Y., Jim & Ingrid registrano alcuni demos e si esibiscono al Bitter End di Bleecker Street. Cashman, Pistilli & West propongono i nastri a Nick Venet che procura ai Croce una scrittura per la Capitol. L’album, realizzato nel settembre del 1969, pur avvalendosi della collaborazione di ottimi musicisti non otterrà che tiepidi consensi. La sezione ritmica, in particolare, formata da Gary Chester alla batteria e John Stockfish al basso era veramente di primordine. John Stockfish eveva suonato con Gordon Lightfoot, uno degli idoli di Jim ed insieme i due elaborano un nuovo proggetto: proporre Jim come il Lightfoot degli States.
Nei primi mesi del 1970 registrano alcune ottime composizioni originali ma il momento non è quello giusto. Sono infatti gli anni in cui i principi legati alla tradizione e alle radici, che da sempre avevano animato gli Stati Uniti, vengono messi in discussione ed è facile intuire come, per le canzoni genere ‘Americana’ proposte da Jim, fosse problematico trovare uno sbocco commerciale. Depresso e abbattuto Jim decide di tornare, insieme ad Ingrid, nella casa di Lyndell in Pennsylvania.
Non è possibile attraversare il periodo che porterà Jim Croce al successo, senza considerare l’importanza della figura di Maury Muehleisen e l’influenza di questi sul Croce compositore.
I due si erano conosciuti tramite Joseph Salviuolo vecchio amico di Villanova, già supervisore alla produzione di Facets. Salviuolo non è altri che Sal Joseph, l’autore di Thursday, inclusa in I Got A Name. Insegnante di Maury al Glassboro State College percepì le potenzialità e il talento del suo allievo e abbandonò il lavoro per dedicarsi a tempo pieno al management di Maury. Nel 1970 Muehleisen aveva firmato un contratto con la Capitol per il suo album di debutto: Gingerbreadd. Jim partecipa alle sessions come chitarrista e rimane affascinato dalla poetica intimista, quasi naive, di quelle canzoni, costruite su strutture musicali personali ed efficaci. Fra i due si sviluppa una forte amicizia ed un’importante collaborazione.
Nel febbraio del 1971 Tommy West riceve una cassetta contenente i frutti di quel lavoro, quattro canzoni: Operator, Time In A Bottle, A Long Time Ago, Walkin’ Back To Georgia. Una musicalità davvero nuova, progressioni armoniche originalissime ed una poetica sincera e appassionata. La combinazione dei due talenti ha prodotto una sintesi unica. West e Cashman intuiscono che niente dovrà interferire sulle parti studiate da Jim e Maury e che ogni altro strumento o sezione aggiunta sarà solo ingrediente di contorno di quel sound così faticosamente conquistato.
Per la registrazione dell’album vengono convocati Gary Chester alla batteria, i bassisti Joe Macho e Jim Ryan, H.J. Boyle per le parti di chitarra elettrica (nel disco apparirà poi solamente in Hey Tomorrow), Ellie Greenwich e Tasha Thomas come background vocalists. L’arrangiamento degli archi è affidato a Pete Dino; Tommy West suona le tastere e, in tre tracce, il basso.
Il disco si compone di dodici tracks, tutte firmate da Jim Croce. Queste possono essere suddivise in brani intimisti, ‘love songs’ e ‘character songs’. Le ultime, come da tradizione, si basano fondamentalmente sulla descrizione ironica e divertente di personaggi sui-generis realmente incontrati da Croce. Un esempio illuminante è la bella Rapid Roy (The Stock Car Boy):
“You know he always got an extra pack of cigarettes
Rolled up in his T-shirt sleeve
He got a tattoo on his arm that say ‘Baby’
He got another one that just say ‘Hey'”
Jim Croce possiede il grande dono di evocare semplicemente lo spirito e le problematiche della working-class media americana e lo fa riferendosi agli stilemi tipici della musica anni ’50, senza trattare quindi ‘messaggi universali’ ma dirigendosi, nei suoi brani più tenui, verso un’introspezione sincera e condivisibile, come ad esempio in New York’s Not My Home, dove torna indietro al periodo fra il 1968 e il 1969 quando insieme alla moglie Ingrid si esibiva nelle coffeehouse e nei campus intorno a N.Y.:
“Though all the streets are crowded
There’s something strange about it
Lived there ‘bout a year and I never once felt at home”
Il tessuto musicale su cui poggiano le liriche merita un discorso a parte. Jim Croce era un cultore dello strumento. Dai tempi del college aveva collezionato un gran numero di chitarre, Gibson, Martin e National, poi vendute, una dopo l’altra, nel periodo economicamente più disagiato, quello successivo alla nascita di Adrian J. La sua preferita una Martin D-35, sulla quale aveva riadattato il finger-picking appreso dai dischi di Chet Atkins, Christopher Parkening, Merle Travis e Jerry Reed dopo l’incidente di lavoro che aveva limitato l’uso del suo indice destro. Generalmente Jim suonava le figure ritmiche lasciando le parti di lead a Maury Muehleisen. Lo stile è preciso ed avvolgente, grazie anche alle modifiche apportate sullo strumento da Phil Petillo per aumentarne la profondità del suono. Petillo anche le corde utilizzate.
Maury suonava invece le sue parti su una Martin D-18 con una attenzione particolare alla linea dei ‘bassi’. La sua ‘liricità’ deriva anche dagli studi sul pianoforte che per più di dieci anni aveva attratto il suo interesse. L’originalità e la fluidità delle sue frasi hanno reso inconfondibile il sound dei dischi di Jim Croce.
Commercialmente i favori del pubblico premiano Operator (That’s Not The Way It Feels) e la title track ma il disco include pure Photographs and Memories e Time In A Bottle, due brani che diverranno classici, dove appare evidente il contributo di Maury Muehleisen. Si ascolti ad esempio l’inusuale soluzione armonica nella coda di Photographs and Memories confrontandola con l’atmosfera di Salon And Saloon, da I Got A Name, o di Wintry Morning, da Gingerbreadd.
You Don’t Mess Around With Jim è da considerare come uno degli album simbolo del panorama cantautorale americano dei primi ’70.
Un ‘instant success’ che premia la costanza e la serietà di Jim Croce ripagandolo delle innumerevoli difficoltà che il destino gli aveva fino ad allora riservato. Lo stesso destino che, tuttavia, tornerà crudamente tragico il 20 settembre del 1973 nei cieli di Natchitoches in Louisiana.
Fonti:
Note di copertina di The Faces I’ve Been (Lifesong Records LS 900), 1975 e Facets (Shout| Factory 516258) 2004.
Un ringraziamento particolare a Mary Muehleisen
Francesco Fusilli, fonte TLJ, 2006