Luther Dickinson picture articolo

Lo avevamo incontrato per una intervista giusto otto anni fa, a Castel San Pietro quando, col fratello Cody e Chris Chew, vennero a suonare al festival, come testimoniato dalla copertina del nostro numero 100. Lo abbiamo ritrovato con immutato piacere negli anni seguenti. Nel maggio scorso a Besozzo, c’è stato il tempo per una chiacchierata su quel che è gli è successo in questi anni. «Molte belle cose» esordisce lui, «l’unico momento davvero triste è stato la morte di mio padre nel 2009, anche se sono del tutto convinto che lui continui a vivere nella nostra musica, lo sento. Quando suoniamo Hill Country Blues e il repertorio legato a Memphis con i Sons of Mudboy. Anche Sid Selvidge, un caro amico di mio padre e membro di Mudboy & The Neutrons, se ne è andato nel 2013, suonare il loro repertorio è bello. Fa tutto parte del ciclo della vita, ora ho anche due bambine piccole e le cose vanno bene, sono sempre immerso in moltissima musica. A pensarci bene ci sono stati molti progetti differenti, il periodo coi Black Crowes, The Wandering, South Memphis String Band, Ian Siegal, col quale ci siamo trovati benissimo, il tour Southern Soul Assembly… Ho appena prodotto e suonato nel nuovo disco di Samantha Fish, una cantante e chitarrista di Kansas City, lei ha molto talento e credo sia venuto fuori un bel lavoro.»

E poi ci sono i tuoi dischi solisti.
Sì, abbiamo fatto il disco gospel quando subito dopo la morte di papà e poi Hambone’s Meditations e Rock’n’Roll Blues. E’ una buona cosa, perché in questo modo gli Allstars possono restare quello che erano in origine. Per un certo periodo abbiamo messo tutto quello che avevamo in un’unica band, ma alla fine abbiamo capito che alcune cose non erano adatte. Ad esempio quando ho scritto Rock’n’Roll Blues, lo abbiamo inciso io e Cody in un primo momento, però non ci sembrava abbastanza ‘alla Allstars’, era qualcosa di diverso e così abbiamo registrato World Boogie Is Coming e l’altro è diventato un progetto solista. E’ stato liberatorio, come se ogni cosa avesse trovato il suo posto e di conseguenza abbia acquistato maggior forza.

Su World Boogie Is Coming avete radunato un bel numero di amici musicisti.
Questo è lo spirito degli Allstars, suonare con Kenny Brown, Alvin Hart, Chew, Malcolm, Duwayne Burnside…E poi c’è Sharde, che talento, lei suona spesso con noi e a volte anche nei miei progetti da solo. Vorrei coinvolgere sempre di più e promuovere musicisti mississippiani. Ce ne sono molti di valore, come Jarekus Singleton, che mi piace molto e tra l’altro era un grande giocatore di basket, oppure Mr. Sipp. Un altro artista che mi ha colpito è Jamell Richardson, ha interpretato Jimmy Nolen nel film su James Brown Get On Up, l’ho visto fare un pezzo in tributo a B.B. King e ragazzi, è davvero forte. Mi piacerebbe fare una compilation con tutti artisti mississippiani, un po’ come fanno certi rapper, e poi darla gratis, magari in download, sarebbe una gran cosa.

Hai registrato anche con Charlie Musselwhite.
(ride) Ah, ma quello è uscito solo su bootleg! Comunque è vero, eravamo io, Cody, Jimbo, Alvin e mio padre, il nome che ci eravamo scelti era New Moon Jelly Roll Freedom Rockers, perché ognuno aveva in mente qualcosa di diverso, Charlie voleva chiamarlo New Moon, io Freedom Rockers e mio padre disse che dovevamo mettere Jelly Roll da qualche parte. Allora abbiamo messo tutto insieme. Era la mia festa di compleanno di quando ho compiuto trentacinque anni, ci siamo divertiti molto.

Come è nata la collaborazione con Anders Osborne?
Ci siamo conosciuti al Jazz Fest di New Orleans quattro o cinque anni fa, il suo manager mi ha ingaggiato per suonare con lui. Noi suonavamo sulla Riverboat Creole Queen e mi ricordo che finito il nostro concerto filai dritto al Tipitina’s per raggiungere Anders. Non conoscevo la sua musica, ho scoperto che era amico di mio padre, mi impressionò subito, mentre suonavo pensavo «questo tizio è straordinario». E’ uno dei miei chitarristi rock preferiti, quando suona in elettrico diventa psichedelico, una forza della natura. Siamo diventati amici, ho suonato nella sua band, poi abbiamo fatto parte entrambi della band di Phil Lesh, un’altra grande esperienza. Ci siamo ritrovati insieme anche grazie a JJ Grey che ha messo insieme il Southern Soul Assembly Tour, con noi tre e Marc Broussad, che viene a sua volta da una famiglia con grande tradizione nella musica creola e roots della Louisiana. Proprio perché siamo un gruppo di musicisti più o meno della stessa generazione, con esperienze simili e passare del tempo insieme, confrontarsi e parlare di tutto, famiglia, carriera, scelte, dubbi…è stato molto bello. Inoltre è qualcosa che si riesce a fare di rado perché ognuno è impegnato per proprio conto, perciò occasioni del genere sono ancora più preziose.
Era interessante vedere la gente al concerto, perché a seconda delle città c’erano più fan dell’uno o dell’altro, in Mississippi molti mi conoscono, JJ Grey è piuttosto noto ovunque e in Louisiana Anders e Marc hanno molti seguaci. Sono un grande sostenitore delle collaborazioni tra musicisti, penso siano molto importanti.

Come è stata l’esperienza coi Black Crowes?
Molto divertente. I concerti al Fillmore del 2010 sono stati qualcosa di speciale. Abbiamo inciso dei bei dischi insieme e sono molto contento per quel periodo, non cambierei nulla. Loro sono una delle migliori rock band in giro e spero che prima o poi ci ripensino e si rimettano insieme. E’ già successo in passato, mi piacerebbe suonare di nuovo con loro un giorno.

Però ci sono sempre gli Allstars.
Certo, in realtà non abbiamo mai smesso, anche quando suonavo coi Crowes. Ora però ci stiamo dedicando a The Word, con Robert Randolph, Chris e John Medeski. Suonare con Robert è fantastico, come giocare a basket con Michael Jordan! Si è rotto una mano e suonava lo stesso, anche suonando con un solo dito suona più soulful di chiunque altro. Credo che fosse il momento giusto e tutti erano d’accordo nel registrare il secondo disco, nonostante siano passati quattordici anni. Per fortuna abbiamo avuto il nostro amico Bill Bentley alla Vanguard che ci ha supportato in toto e ha reso possibile il progetto. Adoro il nuovo disco, Soul Food, lo ascolto spesso, lo abbiamo inciso tra New York e Memphis. La band è formidabile.

Lo scorso anno come Norht Mississippi Allstars siete venuti in Europa aprendo i concerti di Robert Plant.
E’ stata una bella occasione, un bel pubblico che in genere non ci conosceva. Eravamo io Cody e Malcolm, che ha suonato con noi quasi tre anni, è come un fratello e anche lui ha un talento enorme. Adesso ogni tanto suona di nuovo con Cedric, quello di tutti i Burnside cui piace di più andare in tour e suonare. Penso sempre che sono stato fortunato ad aver conosciuto RL, Junior o T-Model Ford, anche se non ho avuto la possibilità di vedere i bluesmen della generazione precedente.

Stai scrivendo per un nuovo disco?
Oh si, sono al lavoro sia per un mio disco solista che per gli Allstars. Vorrei fare anche un disco folk acustico con i miei vecchi pezzi, con anche un songbook, mi piacciono molto i libri con raccolte di canzoni, li colleziono e perciò è un mio sogno realizzarne uno mio.

Verrà pubblicato il ‘memoir di tuo padre?
Papà ci aveva lavorato molto e noi abbiamo proseguito a lavorarci su da quando se ne è andato. Di recente abbiamo concluso l’accordo per la pubblicazione con la Univeristy of Mississippi Press, sono molto contento di questo. Il libro si intitolerà The Search For Blind Lemon.

Ti piace tornare in Europa?
Molto, mi ritengo fortunato a potere venire qui. E’ bello ritrovare volti amici e incontrarne di nuovi, specialmente qui in Italia mi sembra che la scena sia cresciuta in questi anni e c’è qualcuno come Angelo (Rossi n.d.t.) ieri sera, i Dead Shrimp, Gold Foil… Questa volta non ho nemmeno usato il mio agente e la cosa mi fa ancora più piacere, devo ringraziare anche Mojo Station di Roma. Non capisco la lingua ma qui da voi la gente ha grande calore e lo si percepisce, ti trattano con grande considerazione, in più, come dicevo, ci sono ottimi musicisti.

Che musica ascolti di solito?
Ora con le bambine ascoltiamo molta più musica classica, mi piace molto e crea una bella atmosfera in casa. A mia figlia maggiore faccio ascoltare cantanti donne, ma anche Uptown Funk che è stato un grosso hit, a volte dopo cena ci mettiamo a ballare. Senza dimenticare i dischi di miei amici come Jason Isbell, Justin Townes Earle, Amos Lee, Ray Lamontagne, l’ultimo di Beck non era male, e poi un tizio canadese che vi consiglio di ascoltare se non lo conoscete, Reignwolf, è davvero forte. Ascolto anche jazz, soprattutto pianisti e poi Mingus e Charlie Christian. L’ultimo degli Alabama Shakes è un grande disco, li ho visti una volta dal vivo e Brittany (Howard la cantante e chitarrista del gruppo n.d.t.) è straordinaria, è una versione moderna di Sister Rosetta Tharpe. Un’altra chitarrista che mi piace è St. Vincent. E poi Valerie June, sono molto orgoglioso di lei, l’ho chiamata per The Wandering, poi è letteralmente esplosa. Potrei citare anche Ruthie Foster, lei è grande e anche Jack White, lui è molto creativo, ha anche un’etichetta e un negozio di dischi, con Seasick Steve abbiamo suonato lì una volta e inciso un disco direttamente dal vivo, secondo Steve è il suo disco che suona meglio tra tutti i suoi. Ovviamente adoro Steve. A volte mi chiedo se mi piace la musica dei miei amici solo perché sono appunto amici o perché abbiamo molto in comune, come esperienza, età, interessi, forse entrambe le cose.

Farete un terzo disco come South Memphis String Band?
Noo, ma scherzi? (ride) Il secondo disco mi piace molto.

E Ian Siegal?
E’ un po’ che non ci vediamo ma è sempre un piacere suonare con lui. Non sembra inglese, sembra uno di Memphis o del Mississippi, forse perché ha assorbito talmente la musica americana che è come se lo fosse. E le sue canzoni sono splendide. So che Jimbo ha suonato con lui in Europa lo scorso anno. Jimbo è un fenomeno, basti ascoltare quel che ha fatto sui dischi di Buddy Guy, ora è su Fat Possum, a volte mi chiedo come mai lui o Malcolm non siano delle superstar. Malcolm ha un sacco di grandi canzoni che non ha nemmeno registrato.

Dovreste mettere insieme un caravan come faceva la Fat Possum anni fa con gli artisti mississippiani.
Bella idea. Bisognerebbe convincere tutti a collaborare!
(Intervista realizzata a Besozzo, Varese, il 29 maggio 2015)

Matteo Bossi, Davide e Marino Grandi, fonte Il Blues n. 133, 2015

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