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Eccomi qui di nuovo a Nashville, di nuovo a raccontarvi di un’altra settimana di fuoco all’insegna di tanta musica country. Quella che si è tenuta nella capitale del Tennessee dal 14 al 17 giugno scorsi, è stata la trentesima edizione di questo fortunato festival che gli organizzatori non esitano ad etichettare come il più grande del mondo.Mai come quest’anno poi così grande è risultata l’area delle manifestazioni, visto che dopo tanti anni di TN Fairgrounds, il Fan Fair è tornato in città con una serie di eventi organizzati in modo da coprire l’intera area del centro.

Il Convention Centre ospita gli stands dei fan club, case discografiche, TV e radio specializzate dove il pubblico ha la possibilità, come da tradizione, di incontrare gli artisti per fotografie ed autografi; in riva al fiume Cumberland che attraversa la città a due passi dalla Broadway è allestito il Riverfront Stage dove si tengono spettacoli la mattina ed il pomeriggio con la presenza di artisti per lo più provenienti da case discografiche indipendenti; nel verde del Bicentennial Capitol Mall State Park sono organizzate diverse attività per le famiglie tra cui concerti, concorsi di barbecue e giochi; il maestoso Adelphia Coliseum, casa dei Tennessee Titans locali campioni di football finalisti NFL al superbowl del 2000, invece ospita i concerti serali delle star.
Non è finita però perché molti sono i locali del centro che hanno allestito una serie di eventi prima e dopo i concerti della sera, così anche i vari Wildhorse Saloon, Tootie’s, Planet Hollywood e molti altri diventano importanti attrazioni da tenere d’occhio con un programma di Fan Fair After Hours molto interessante.

Certo come tutte le novità anche questo spostamento avrà bisogno di tempo per conquistare a pieno le simpatie del popolo del Fan Fair, anzi ad essere onesti bisogna dire che più di una sono state le lamentele per la nuova sistemazione del festival soprattutto a causa delle distanze tra un’area ed un’altra, per i problemi nel muoversi tra il traffico cittadino insomma le piccole e grandi difficoltà che sono derivate dal cambiamento.
Ho avuto l’opportunità di parlarne con fans e componenti dello staff e ciò che ho potuto cogliere è stato un certo disorientamento dovuto in gran parte all’abitudine e di più, all’affetto che un po’ tutti avevano (ed avevamo) per il luogo degli scorsi anni ed un passaggio così brusco e ricco di novità ha preso molti in contropiede.
Niente di grave comunque, gli stessi problemi, dicono i decani del festival, si presentarono quando in passato la manifestazione si trasferì dal centro alla periferia della città; come si evolverà la cosa è presto dirlo, il Fan Fair non dovrebbe ritrasferirsi almeno a breve termine e forse il problema sta solo nell’abituarsi alla nuova location, aspettare, metterla alla prova e poi…

…E poi chissà. Ora però basta con queste beghe, pur importanti perché un festival costruito per i fans deve sempre e continuamente rapportarsi agli stessi, ma che non possono offuscare quella che anche quest’anno si è rivelata un gran bella edizione del Fan Fair.Io ero lì ed ora ve la racconto per filo e per segno.

12 Giugno
La settimana è lunga e ricca di avvenimenti satellite che pur non essendo ufficialmente inseriti nel programma, ne costituiscono per tradizione un prologo, un gustoso modo per entrare nell’atmosfera della festa.
Questa sera è di scena lo storico Ryman Auditorium che ospita il consueto IFCO Concert giunto ormai alla sua 34° edizione e come ogni anno riesce ad allestire un ricco cast di artisti che si alternano sul palco per uno show di tre ore circa che non può che lasciare soddisfatti.
L’acustica e la bellezza del teatro fanno il resto. Ad aprire lo spettacolo è chiamato il giovane Blake Shelton ormai pronto al lancio del suo album d’esordio che promette bene visto, o meglio sentito il singolo di traino che ci propone, una romantica ballata intitolata Austin che il bravo ragazzone interpreta con un bel vocione profondo.
Ricky Lynn Gregg è un affezionato dell’IFCO e non manca nemmeno quest’anno con tutta la sua verve da palco, a volte un po’ esagerata ma accompagnata anche da una buona interpretazione di pezzi spesso non esaltanti.

Molto meglio la performance dell’esordiente Billy Hoffman che si conquista lunghi applausi con I’ll Go Crazy e All I Wanted Was You due bei brani dal suo album d’esordio che esaltano la voce potente e a tratti un po’ roca di Hoffman che mostra anche buone doti comunicative.
I pezzi forti di questa prima parte sono le prestazioni di Sherrie Austin e di Paul Overstreet.
L’australiana che da poco è passata su etichetta indipendente, si conquista subito la platea con la sua cover della celebre Jolene, una versione che se perde un po’ in perfezione vocale rispetto a quella della Parton, eguaglia se non supera l’originale in quanto ad interpretazione e trasporto emotivi. A seguire la giovane propone una divertente e coreografata Something Missing In The Kissing, un bel swing lento che conferma la versatilità di Sherrie.
Il cantautore invece gioca in casa nel senso che non ha bisogno di conquistarsi il pubblico in sala bastandogli accennare con la sua chitarra acustica ai primi arpeggi della toccante Seein’ My Father In Me o attaccare l’immancabile Forever And Ever Amen che i presenti scandiscono parola per parola e che Paul stravolge nelle ultime strofe con una accelerazione in chiave bluegrass.
C’è anche tempo per Steady Workin un pezzo tratto dal suo ultimo christian album che movimenta i ritmi della bella prova dell’artista.
Avevo visto Victoria Shaw al Ryman nel giugno del ’99 ed era incinta, la ritrovo quest’anno ancora in dolce attesa, evidentemente l’aria dell’auditorium fa bene. Scherzi a parte la Shaw propone materiale nuovo e lo fa con la vivacità e naturalezza di sempre.
Molto acclamata la performance del veterano T.Graham Brown che interpreta due pezzi dal sound marcatamente blues sottolineato dalla sua voce vissuta ma ancora in gran forma.

Dopo una breve pausa il concerto riprende con i nomi di punta chiamati alle esibizioni più lunghe. Si comincia con la chitarra elettrica e le atmosfere rockabilly di Eric Heatherly che si scatena sulla sua bianca telecaster in una sequenza di canzoni vecchie e nuove che infiammano la sala. Riecco la fortunata Flowers On The Wall o la divertente Wrong 5 O’Clock ancora pezzi forti del repertorio del giovane cantante e autore di Chattanooga.
La gemma della serata è la performance chitarra e voce di un altro nome della nuova generazione ovvero Keith Urban che partendo da brani del suo repertorio come But For The Grace Of God o A Little Luck Of Our Own si lascia trascinare da divagazioni musicali gustosissime grazie al bel suono della sua chitarra acustica che Urban tocca con insospettabile virtù. Artisticamente credo si possa considerare sua la migliore prestazione dello spettacolo.
Chiudono lo show i sempreverdi Bellamy Brothers giunti al 25° anniversario della loro carriera musicale, una ricorrenza che merita un premio speciale preparato dagli organizzatori per celebrare i due fratelli che simpaticamente sul palco ricordano come in tanti anni di successi quello di questa sera sia l’unico premio che abbiano mai ricevuto.
Ma la soddisfazione più grande resta quella di avere ancora il grande affetto del pubblico che li segue anche in questo concerto con grande trasporto. La scaletta è quella che ti immagini con i successi storici del duo da Redneck Girl a Dancin Cowboy a Let Your Love Flow; la loro è una esibizione senza fronzoli, semplice e diretta, i due hanno mestiere e duettano efficacemente.
Ancora complimenti all’IFCO che anche questa volta ci ha fatto divertire inaugurando una settimana che è solo all’inizio e che aspetta solo di sparare i suoi colpi grossi.

13 Giugno
I concerti del Fan Fair cominceranno domani ma nella settimana del festival non c’è modo di restare senza eventi musicali nemmeno per mezza giornata.
Numerosi sono i negozi o ristoranti che ospitano musica dal vivo di artisti locali ma anche di alcuni protagonisti del mercato discografico. Nei locali del famoso Ernest Tubb Record Shop sono in programma delle esibizioni acustiche di diversi cantanti che presentano i propri CD e colgono l’occasione per firmare autografi e distribuire materiale promozionale.
Una di questi è Tammy Cochran che si presenta sul palchetto accompagnata da due chitarre acustiche con cui esegue tre canzoni dal suo disco d’esordio accompagnandole da qualche parola sulla storia dei pezzi stessi. Il tutto dura circa mezzora e poi via ad autografi e foto ricordo.
La sera prevede il gran gala per la consegna dei TNN Country Weekly Music Awards in scena al Gaylord Entertainment Centre, che vede la partecipazione di Lee Ann Womack nelle insolite vesti di presentatrice e di una impressionante lista di star che si esibiscono dal vivo o che semplicemente siedono in platea nella attesa e nella speranza di salire sul palco a ritirare qualche premio.

Solo per fare alcuni nomi: Chris LeDoux, Alan Jackson (trionfatore della serata con sei awards tra cui quelli più ambiti di male artist ed album of the year nonché canzone e singolo dell’anno), Gorge Strait (entertainer of the year), Jo Dee Messina, Faith Hill female artist.
Gran bella serata anche al Wildhorse Saloon, gigantesco locale, ristorante, discoteca dove è in programma un concerto del giovane Mat King che incide per la Atlantic con due album di buona qualità al suo attivo. Si inizia con un primo set acustico con King chitarra e voce accompagnato da una violinista ed un basso acustico.
Nell’intervallo i dj si scatenano coinvolgendo in pista i presenti, distribuendo CD promozionali ed organizzando spassosi siparietti comici. Il pubblico presente, composto veramente da persone di ogni età, si fa trascinare senza opporre resistenza rendendo ancora più evidente il clima di festa della serata.
Riprende ancora King, che tra una pausa e l’altra suonerà alla fine per più di due ore, stavolta con una formazione diversa con l’entrata in scena di chitarra elettrica, batteria e steel guitar con cui passa in rassegna i suoi cavalli di battaglia Five O’Clock Hero, Destiny, The Book Of Love, Hard Country ecc…ed anche qualche cover ben riuscita come la famosa Act Naturally di Johnny Russell. Non sarà un artista da classifica ma il concerto di Mat King risulta veramente una buona prestazione di un cantante maturo che ama principalmente i suoni tradizionali, soprattutto honky tonk che interpreta con una bella voce colorata, nasale quanto basta per risultare molto country.
La serata si conclude a notte fonda con il locale affollato anche dai ‘reduci’ degli Awards evidentemente non paghi di musica. Da domani finalmente il festival entrerà nel vivo del suo programma ed io d’altronde non chiedo altro.

14 Giugno
L’inizio ufficiale è previsto per la sera così la mattina sono libero di seguire una suggestiva manifestazione organizzata a bordo della General Jackson Showboat che percorre il tratto del fiume Cumberland da Opryland fino al centro città e ritorno.
Durante il tragitto si ha l’oppportunità di fare colazione con gli stessi artisti che poi parteciperanno al Golden Voice Awards nel piccolo auditorium del battello. Lo spettacolo è una celebrazione degli eroi del mainstream country di 30,40 anche 50 anni fa che si esibiscono o sono premiati nelle diverse categorie.
Tra i nomi più prestigiosi oltre al presentatore, il simpatico Little Jimmy Dickens, cantano Bobby Bare, Gail Davies, Hank Locklin, Jim Ed Brown, Connie Smith, Bill Anderson, Charlie Pride, Melba Montgomery che commuove ancora con la sua ispirata No Charge.
C’è spazio anche per il bluegrass di Larry Stephenson invitato ad introdurre con un medley le musiche di J.D.Crowe, Jim & Jesse, Del McCoury, Ricky Skaggs e Ralph Stanley, candidati al premio nella sezione dedicata al genere.
C’è anche un ospite che viene dal new country come John Anderson che chiude lo spettacolo con Taking The Country Back, un omaggio alle leggende del genere molte delle quali presenti in sala.
Il pomeriggio è dedicato ad un classico del Fan Fair, vale a dire il City Of Hope Celebrity Softball, una partita di baseball benefica che vede sfidarsi in campo numerosi artisti nelle insolite vesti di battitore, lanciatore, catcher.

Detto questo veniamo finalmente al tanto atteso momento dei primi concerti all’Adelphia Coliseum e non si scherza più. E’ il momento dei nomi grossi, di quelli che fanno scatenare il festoso pubblico del festival giunto come al solito da ogni angolo degli USA ma anche dall’Europa, Australia, insomma un po’ da tutto il mondo.
La cerimonia d’apertura è molto ricca ed all’insegna del patriottismo, dopo il saluto di sindaco e presidente della CMA tocca al coro dei bambini della W.O. Smith School intonare l’inevitabile America Is Beautiful, seguiti da una banda folcloristica in stile scozzese e dal Nashville Superchoir, una piacevole parentesi di musica nera dedicata ad alcuni spirituals.
Il momento più suggestivo della cerimonia è quello dedicato all’esecuzione dell’inno nazionale americano, quest’anno affidato interamente alla splendida voce della texana Lee Ann Womack che come si usa in questi eventi lo esegue a cappella liberando nell’acuto che prelude al finale tutta la sua potenza vocale, davvero un gran bel modo per iniziare la serata.
C’è spazio ancora per il saluto del grande Marty Stuart che tra le altre cose ricorda come sia forte e particolare il legame che unisce il popolo della country music e gli artisti stessi, e poi via alllo show preparato dalla Sony Music.
Cominciano le Kinleys, il duo composto dalle gemelle Heather e Jennifer che riescono a fondere in modo efficace le due voci fornendo una buona esibizione soprattutto nei pezzi migliori come la fortunata Please o Somebody’s Out There Watching.

Tammy Cochran l’anno scorso aveva fatto solo una breve apparizione, quest’anno ha più esperienza e soprattutto il suo primo album nei negozi da promuovere e lo fa bene, voce che convince così come l’interpretazione e la scelta dei pezzi, prima So What una sostenuta ballata con un ritornello molto accattivante, quindi If You Can un bel lento dal sapore e dalla ritmica un po’ retrò ma proprio per questo di grande atmosfera anche grazie alle doti vocali della Cochran che qui sono messe particolarmente alla prova.
Chiude la sua esibizione una dolce Angels In Waiting lento ispirato e dedicato alla memoria dei suoi due fratellini morti per un male incurabile e ricordati in modo commovente dalla sorella in questa canzone scritta assieme a Jim McBride e Stewart Harris.
Una ovazione accoglie il giovanissimo Billy Gillman che negli ultimi due anni ha già provato il brivido del primo posto nelle classifiche. Il piccolo ha senz’altro una bella voce bianca, da bambino ma potente, non si può dire poi che non sappia tenere il palco visto che a poco più di tredici anni si muove già come le star adulte. Alcune sue canzoni sono ben costruite e piacevoli ma, sarà un mio limite, mi sembra un po’ una forzatura del mercato e non riesce a piacermi.
Meglio allora l’esibizione di un altro Billy, quel Ray Cyrus che l’anno scorso mi aveva tutt’altro che entusiasmato. Intendiamoci, non che quest’anno mi sia piaciuto da impazzire, tuttavia la sua è stata una performance a tratti più che piacevole, con qualche pezzo da ricordare come Southern Rain o la pluridecorata Achy Breaky Heart che il divo acclamato dal pubblico femminile esegue con buon trasporto e carica interpretativa.

Molto meglio comunque lo stile più classico ma impeccabile di Joe Diffide che non sgarra mai e, forte di un bel vocione pieno e molto pulito conquista la platea con un repertorio che comprende le classiche Third Rock From The Sun, Pick Up Man e Ship That Don’t Come In, ma che tocca anche gli ultimi successi di It’s Always Something e A Night To Remember. E’ il terzo anno che assisto ad una esibizione di Diffie ed è il terzo anno che mi diverto come un matto.
Più di me sono matti Montgomery Gentry il duo di nuova generazione formato da Troy Gentry e da Eddie Montgomery che ha spopolato recentemente grazie appunto ad una carica da palcoscenico assolutamente coinvolgente oltre ad una manciata di ottime canzoni.
Tra queste i pezzi scelti per la scaletta della serata che prevede Hillbilly Shoes, Lonely And Gone, Daddy Won’t Sell The Farm e l’ultimo singolo She Couldn’t Change Me per chiudere con i ritmi rock‘n roll di All Night Long.
Ben diverse le sonorità di Patty Loveless che presenta le canzoni del suo primo bluegrass album oltre a qualche rivisitazione in chiave acustica di qualche suo successo del passato e qualche classico del genere come l’immancabile Rollin’ In My Sweet Baby’s Arms. Il risultato è strepitoso con la voce di Patty che diventa vera protagonista e si rivela in tutta la sua pulizia.
Collin Raye riporta in scena i suoni elettrici con l’intro di chitarra di I Can Still Feel You e She’s All That, è sui lenti come Love Me che le tonalità acute di Raye rendono al meglio mentre Harder Cards tratta dall’ultimo Tracks chiude la sua performance.
Si cambia ancora genere con l’alternative country del texano Charlie Robison che tra le altre propone due nuovi lavori, la ballata veloce e dai tratti rock I Want You Bad ed un motivo di ispirazione irlandese John O’Reilly con tanto di ballerini che lo accompagnano con passi di danza celtica.

Per il gran finale è stato scelto uno che non ha bisogno di presentazioni: si tratta di Travis Tritt tutto grinta e capelli che si scatena passando in rassegna una serie di successi nuovi e meno recenti. Si comincia con i ritmi incalzanti di Down The Road I Go per poi passare a qualche classico come Country Club o Here’s A Quarter.
I suoni si fanno più dolci nella ballata romantica Best Of Intention ma è solo una parentesi perché si torna subito ai pezzi più pompati che meglio si adattano alla voce roca e vissuta di Tritt. Spazio allora a Put Some Drive In Your Country dedicata dall’artista al mito delle corse Nascar Dale Earnhardt scomparso poco tempo fa, e alla rockeggiante T-R-O-U-B-L-E che sembra chiudere la serata. Sembra, perché Travis ritorna in scena mentre la band ha già iniziato ad eseguire i primi accordi della trascinante Great Day To Be Alive, ed è davvero bello esserci mentre i ventimila dello stadio ululano verso il cielo così come previsto dalle ultime note del pezzo. Grande atmosfera di festa e momento migliore per chiudere questoo primo show serale con i bei fuochi artificiali che scoppiano nel cielo nashvilliano.

15 Giugno
Oggi si entra veramente nel vivo del festival. Aprono infatti i cancelli sia la Exhibit Hall sia il Riverfront Stage.
Sul secondo dalle 10 di mattina fino alle 5 del pomeriggio compariranno nomi più o meno noti come John Berry, Don Sepulveda che con la sua voce vagamente tenorile esegue tra le altre la classica American Trilogy, il texano Elbert West e le sue storie raccontate con la sua chitarra, Irene Kelly donna dalla voce dolcissima (da ascoltare la sua Bluer Than That), Lila McCann e molti altri tutti di ottimo livello e godibili nonostante il caldo soffocante poco mitigato dal fiume che scorre lì vicino.

Si può allora tuffarsi nel Convention Centre dove oltre al refrigerio dell’aria condizionata si possono incontrare alcuni dei nostri beniamini come i canadesi Wilkinsons, molto simpatici i due ragazzi che si fermano volentieri per raccogliere le impressioni dei fans mentre il padre Steve si stupisce nel sentire un italiano che conosce i loro due dischi.
Tra gli stand si possono anche acquistare CD scontati anche di cinque dollari l’uno per l’occasione, comprare i prodotti ufficiali dei vari artisti nonché iscriversi ai fan club o sottoscrivere abbonamenti alle riviste specializzate presenti.
Curioso anche incontrare per strada un pullman di una emittente radiofonica che intervista per le vie di Nashville il cantante David Lee Murphi che si esibisce anche chitarra e voce nella sua Dust On The Bottle prima di essere assalito dalle richieste di autografi da parte della folla radunatasi.
Nemmeno te ne accorgi e son già le sei, ora di far rotta verso lo stadio per l’inizio dell’atteso spettacolo serale presentato dai colossi WEA ed EMI.
Il dj Bill Cody presenta la serata ed introduce subito la prima artista, è la bomba rossa Jo Dee Messina che appena innescata esplode sul palco in tutto il suo fragore. Ormai pronta per il primo tour a suo nome la bella Jo Dee più in forma che mai attacca subito con le ritmate Downtime e That’s The Way che chiamano on stage anche i ballerini che la cantante si porta con sé da qualche tempo. Poi la simpatica italo americana ironizza sulla querelle tra tradizionalisti ed amanti del country pop con un monologo sulle sue influenze musicali di cui la stessa interpreta brevi estratti.
Tra tutte merita una citazione il ritornello di Stand By Your Man. Si torna ai successi del suo repertorio con le amatissime Bye Bye ed I’m Alright prima della più recente Nothing I Can Do. C’è spazio anche per la festosa Get Up And Dance un pezzo che la Messina esegue sempre nelle sue esibizioni dal vivo e poi i saluti con Heads Carolina Tails California la canzone che ha aperto la strada del successo alla bella redhead.

Tocca poi ad un gruppo esordiente, il trio dei Trick Pony, piacevole sorpresa della serata che si scatena subito in una serie di honky tonks ben eseguiti come Pour Me, quasi un rockabilly; Party On One o On A Night Like This tutti e tre interpretati dalla voce solista della cantante Heidi Newfield che aggredisce ogni pezzo con grinta da vendere.
Da tenere d’occhio questi tre ragazzi che hanno gusto nella scelta dei pezzi, sanno trasmettere buona energia sul palco e godono già di un buon seguito di pubblico.
Arriva il mio momento clou quando sale sul palco, dopo qualche anno alla ricerca di casa discografica, la bionda e bellissima Mindy McCready ora finalmente con la Capitol Records. Ammetto di aver cominciato a comprare i suoi dischi attratto dalle foto di copertina, lo so non è molto professionale ma almeno sono onesto ad ammetterlo.
Scherzi a parte oltre alla innegabile bellezza la giovane Mindy ha dalla sua una bella voce ed un buon repertorio di tre album con buone canzoni che si sono anche ben comportate nelle charts.
E’ il caso di Ten Thousand Angels dolce ballata che lascia il posto ai più scatenati ritmi di A Girl’s Gotta Do What A Girl’s Gotta Do e Guys Do It All The Time pezzi dai tratti vagamente femministi che fanno esultare la folla di donne, ragazze e ragazzine presenti allo stadio.
Dopo una cover di Walkin On Sunshine, Mindy racconta delle vicende recenti della sua carriera con la fine del suo contratto e la paura di non poter continuare fino alla recente firma con la Emi grazie anche alle numerose richieste dei suoi fans, commossa la giovane ci introduce il suo prossimo futuro con il nuovo singolo Scream. Sono contento.

Dopo la solita scatenata esibizione dei Sawyer Brown guidati dal folle Mark Miller, tocca ai due pezzi forti della serata.
Il primo è lo statuario Trace Adkins, voce inconfondibile splendida soprattutto nei bassi a cui arriva ed adatta a qualunque tipo di canzone: si inizia con la recente More, ma anche noi vogliamo di più ed allora sotto con la romantica Every Light In The House e la più ritmata I Left Something Turned On At Home.
Suoni più classici per The Rest Of Mine che il pubblico canta insieme a Trace che chiude con un altro pezzo forte dei suoi, una No Thinkin Thing di grande impatto con la vociona di Adkins ancora in primo piano.
Finale in mani sicure, vale a dire quelle di Tracy Lawrence con le sue ritmiche sempre bilanciate ed arrangiamenti dal sapore decisamente classico. Molte sono le ballate lente d’amore come Long Wet Kiss, I See It Now o Alibis ma trova uno spazio di riguardo la bellissima Time Marches On e la più veloce If The World Had A Frontporch. Concerto di grande atmosfera questo di Lawrence che ottiene lunghi applausi tutti più che meritati.

16 Giugno
Il sabato comincia molto bene sul prato del Riverfront Stage dove primeggiano nello show del mattino gli Hayseed Dixie, un gruppo di quattro hillbillies che propone uno spassoso repertorio di successi degli AC\DC, formazione storica heavy metal, riletti o meglio completamente reinterpretati in chiave bluegrass, old time e country.
Ecco allora dei classici come TNT, Back In Black o Highway To Hell rivivere con i suoni di fiddle, chitarra e basso acustici e dobro.
Il pomeriggio è decisamente più elettrico fatta eccezione per il mandolino della giovane Sonya Isaacs che propone però un repertorio decisamente in linea con il new country nashvilliano.
Il rockabilly di Eric Heatherly e le ballate dal sapore west coast del gruppo dei Sons Of The Desert sono tra le cose migliori della calda giornata.
Tra gli stand del Convention Centre fanno la loro apparizione gli attesissimi Brad Paisley, Chely Wright e Vince Gill solo per citarne alcuni. Tuttavia le mie attenzioni sono rivolte a Tyler England ex compagno di scuola e chitarrista della band di Garth Brooks che ha lasciato qualche anno fa per intraprendere una carriera da solista.
Un piacere personale anche il consueto incontro con la simpatica Susan Ashton che come l’anno scorso mi riconosce e compiaciuta di avere un sostenitore da così lontano mi concede qualche minuto in più per una breve chiacchierata.

Il programma della serata è fitto di impegni a cominciare dai concerti allo stadio che si aprono nel migliore dei modi con la canadese Terri Clark ormai affermata artista, molto amata dal pubblico del Fan Fair del quale è affezionata e consolidata presenza.
La sua esibizione parte con qualche pezzo dell’ultimo CD Fearless, canzoni molto diverse rispetto allo stile che le conoscevamo, basti ascoltare No Fear, Getting There o la frizzante A Little Gasoline per accorgersi di sonorità diverse quasi cantautorali, non presenti nei ‘vecchi’ successi; non è un caso che all’ultimo disco abbiano collaborato nomi del calibro di Beth Nielsen Chapman o Mary Chapin Carpenter. Poor Poor Pitiful Me o Better Things To Do che chiudono l’intervento della Clark sempre bella, nonostante e forse proprio per quel fare da maschiaccio, quel modo di muoversi sul palco e di dialogare con il pubblico che fanno di lei un bel personaggio dai tratti, anche musicali, inconfondibili.
Un nome relativamente nuovo è quello di Jamie O’Neal già nell’industria musicale con compiti di autrice, ora con un album d’esordio uscito da qualche mese e già dei buoni riscontri sulle charts con il singolo There’s No Arizona con cui ottiene gli applausi più calorosi. Ha talento la ragazza e lo dimostrano le belle melodie degli altri pezzi in scaletta a cominciare da When I Think About Angels l’altro singolo tratto dall’album, per continuare con la sfrenata Frantic sottolineata da una bella intro di violino di vago sapore irlandese o la title track del CD Shiver.

Il primo artista maschile della serata è il californiano Gary Allan con la sua strepitosa band guidata dl chitarrista Jake Kelly. Il concerto si svolge all’insegna del sound honky tonk un po’ fuori dallo stereotipo dell’artista new country anni 90 prodotto a Nashville. Le canzoni, prese dalle produzioni discografiche vecchie (Living In A House Full Of Love, I’ve Got A Quarter In My Pocket, It Would Be You) e nuove (Runaway, Lovin You Against My Will ed un anticipo del prossimo nuovo singolo Alright Guy), scorrono via scandite dai virtuosismi dei musicisti che accompagnano il bravo Gary che si esibisce anche in buoni assoli di chitarra elettrica.
Purtroppo durante la settimana del Fan Fair gli eventi spesso si accavallano e si è costretti a fare delle scelte dolorose rinunciando a concerti interessanti per seguirne altri che si svolgono in contemporanea.
Così è questa sera che mi vede lasciare lo spettacolo dell’Adelphia per far rotta ad Opryland dove alla Opry House va in scena il consueto spettacolo serale della Grand Ole Opry.
Come al solito il fascino che deriva dalla storia di questo show radiofonico è tenuto alto e continuato grazie ad un cast che propone come di consueto diverse sezioni ognuna presentata da un membro storico della Grand Ole Opry.
Tra gli ospiti sono presenti un po’ tutte le diverse componenti della musica country, si va da un cantautore di razza come Hal Ketchum ai suoni bluegrass di Ricky Skaggs, dal cajun di Jimmy C. Newman al new country del giovane Chris Cagle.

Tra i più applauditi vi sono uno straordinario Charlie Pride che propone due classici He’ll Have To Go e Heartaches By The Number che strappano ancora applausi su applausi.
Pam Tillis è ormai una consolidata realtà nel panorama musicale americano, un piacere è invece scoprire la musica di Elizabeth Cook che ricorda nello stile Kelly Willis e che prossima al contratto con una major propone un pezzo scritto da lei che rapisce al primo ascolto.
Altro pezzo forte della serata è la presenza di Steve Wariner che propone la sua toccante Holes In The Floor Of Heaven, commovendo inevitabilmente il pubblico in sala, e la swingata Burning The Roadhouse Down nella quale le grandi doti di chitarrista di Wariner possono scatenarsi in lunghi assoli.
Cosa sarebbe uno show della Grand Ole Opry senza un intervento di ‘whispering’ Bill Anderson storico membro della famiglia country? Non c’è nemmeno il tempo di chiederselo che il sorridente Bill si presenta sul palco per chiudere la serata con Too Country un altro dei tanti pezzi manifesto di rivendicazione delle proprie radici culturali.
Un ultimo sguardo alla bella Opry House e al parco che circonda la struttura e poi rotta di nuovo verso il centro per concludere la serata in qualche locale della Broadway.

17 Giugno
Siamo così giunti all’ultimo giorno di festeggiamenti e se non fosse che l’agenda è più che mai fitta, già un senso di tristezza comincerebbe a vagare nell’aria.
Comunque c’è il tempo per incontrare ancora qualche artista tra gli stand della fiera, su tutti il trio composto da Pat Alger, Kent Blazy e Tony Arata che promuovono il CD tributo alla musica di Garth Brooks da parte dei suoi fedeli autori.
Inutile sottolineare quanto sia stato emozionante per me questo incontro con così stretti collaboratori del personaggio che più ammiro e seguo con passione.
Tra gli altri che si presentano per autografi e foto anche i BR5-49, Pam Tillis, Sons Of The Desert e il grande Marty Stuart che si intrattiene per più di tre ore con i suoi fedeli fans.

Anche al Riverfront Stage la festa continua alla grande con della buona musica tradizionale.
Stella Parton propone uno show di impostazione acustica con canzoni di buon impatto e con una band di ottimi musicisti oltre ad una voce che se non è potente come quella della sorella, a tratti la ricorda da vicino e comunque ottiene un buon risultato d’insieme.
Un altro fratello d’arte prende in mano le redini dello spettacolo. Si tratta di David Frizzel che propone un repertorio di country elettrico ma decisamente classico con qualche honky tonk ben eseguito.
C’è spazio anche per la musica gospel con il Blackwood Quartet e Vern Gosdin mentre un altro nome storico, Charlie Louvin, chiude lo show della giornata e il sipario del palco in riva al fiume.
Terminano le attività anche al Bicentennial Capitol Park dove oltre al solito campionato di barbecue ed ai giochi per bambini, si esibiscono dal vivo alcuni artisti minori come Ken Mellons, Craig Morgan e South 65.
Tutte le attenzioni sono però già rivolte alla gran serata finale organizzata all’ Adelphia Coliseum con un cast da pelle d’oca, probabilmente il migliore della settimana, impreziosito da un fuori programma che manderà in visibilio la folla.

Si inizia subito fortissimo con la consueta, impeccabile performance del georgiano Alan Jackson che come al solito arriva, saluta imperturbabile ed attacca con Pop A Top per immettere nella giusta atmosfera.
Poche parole, nessun gesto fuori posto ma tanta buona musica con i pezzi in scaletta che prevedono i classici Tall Tall Trees, Don’t Rock The Jukebox, la velocissima I Don’t Even Know Your Name e Chattahoochee. Spazio alle celebri cover del repertorio di Jackson It Must Be Love e Bluesman dedicata alla figura di Hank Williams Jr. per concludere con la controversa Murder On Music Row.
Difficile per Andy Griggs salire sul palco appena lasciato libero dal georgiano ed in effetti il confronto proprio non regge. Tuttavia il biondo interprete ha in repertorio qualche bella canzone come il lento She’s More e quando meno te lo aspetti piazza una mossa vincente con una versione di Move It On Over che scatena la platea.

C’è spazio anche per l’esordio della giovane cantautrice Carolyn Dawn Johnson e poi è la volta della bella voce di Sara Evans che interpreta molti dei pezzi del più recente Born To Fly per poi passare a qualche successo dei primi dischi come No Place That Far che Sara interpreta dando dimostrazione di gran forma.
Una delle cose migliori risulterà quest’anno come l’anno scorso il concerto di Brad Paisley, giovane cantautore già maturo e consumato intrattenitore oltre che ottimo chitarrista e cantante. Il pubblico è nelle sue mani dalle prime pennate di chitarra elettrica di Me Neither, spiritosa come I’m Gonna Miss Her un honky tonk tratto dal nuovo album di Paisley, Part II, in uscita quasi in contemporanea alla settimana del festival.
Anche i lenti fanno presa sul pubblico ed in particolare la pluridecorata He Didn’t Have To Be dimostra di aver mantenuto intatta la sua forza e carica emozionale. A chiudere Two People Fell In Love, il singolo di lancio dell’ultimo CD, altro pezzo ispirato e fedele al credo tradizionalista di Paisley che a ritmo incalzante sta costruendo una carriera dagli orizzonti più che mai sereni.
Phil Vassar si presenta seduto al suo pianoforte per la breve intro della sua hit Carlene pezzo di buon successo lo scorso anno e che si presta bene ad iniziare un concerto live. Cantautore dal carattere gioviale, solare e positivo come i testi e le ritmiche delle sue canzoni, oltre alla già citata, c’è spazio per Just Another Day In Paradise e Six Pack Summer.

Un fitto lancio dagli anelli superiori di palloni gonfiabili pubblicizzanti l’uscita imminente del loro nuovo album, precede l’arrivo sul palco dei Lonestar. Ormai arrivati ad un livello da superstar con il disco Lonely Grill, i quattro ragazzoni vengono accolti con calore dal pubblico che riserva un applauso particolare a Richie McDonald e alla sua calda voce.
Dal passato riaffiora No News, pezzo decisamente ballabile, mentre il resto del concerto si incentra sul materiale nuovo della band a cominciare dai singoli What About Now e la fortunata Amazed, crossover country pop che sconvolse le classifiche lo scorso anno.
E’ nei lenti che la voce di McDonald rende al meglio, la dolce amara Smile ne è una bella dimostrazione. Poi è la volta del nuovissimo singolo e title track I’m Already There che porta sul palco il figlioletto di Richie McDonald per un tenerissmo duetto che risulterà il momento più dolce e carino del festival.
Le sorprese non sono finite perchè Kenny Chesney ne ha in serbo una davvero entusiasmante.
La sua performance procede regolare con il repertorio che ha portato al successo questo artista: si comincia con Don’t Happen Twice, poi una dietro l’altra How Forever Feels, She’s Got It All e la divertente She Thinks My Tractor’s Sexy.

Arrivati a questo punto Chesney fa per congedarsi dando appuntamento a tutti in giro per gli USA con la sua prossima tournee al fianco di Tim McGraw, e per rendergli omaggio chiude con Turn Me On canzone rockeggiante del repertorio del collega. Ma ecco che alla fine del primo ritornello, invece di attaccare con la seconda strofa Kenny si ferma e con tono solenne annuncia …signore e signori Mr. Tim McGraw.
Il pubblico si infiamma, i flash delle macchine fotografiche impazziscono, tutti si alzano e cominciano a sbracciarsi lanciando saluti, baci o applausi alla star inaspettata. Tim riesce a mala pena a fare sentire il suo saluto alla gente del Fan Fair e poi attacca un altro duetto con Chesney nella classica I Like It I Love It che scatena ancora di più la folla festante.
Siamo al gran finale che questa sera è veramente grande visto che è nelle mani o meglio nelle corde vocali della bella Martina McBride una delle primedonne della attuale scena country.
Sono un ammiratore della McBride, colleziono i suoi dischi, amo il suo modo di cantare ma non avevo mai avuto l’occasione di ascoltarla dal vivo e devo dire che è stata una sorpresa anche per me che la conosco abbastanza bene.
Martina è una donna dall’aspetto gracilino, non è molto alta in compenso è molto magra, eppure sul palco sprigiona una energia vocale e scenica dirompente ed estremamente coinvolgente che su disco si riesce solo ad intuire.
Attacca con la recente I Love You e poi via via a ritroso negli anni fino alle prime hits di successo. Riascoltiamo allora pezzi come Broken Wing e Wild Angels o Whatever You Say tutte canzoni che Martina interpreta spingendo la sua voce al limite delle sue possibilità senza mai sgarrare.
A chiudere non poteva esserci pezzo più azzeccato di Indipendence Day storico successo della cantante qui riarrangiato nella prima parte, che va in crescendo fino al ritornello cantato a voce piena anche dal pubblico presente che omaggia la McBride con una meritata e lunga standing ovation prima che i soliti fuochi d’artificio calino definitivamente il sipario sulla edizione 2001 del Fan Fair.

Cosa dire delle tante novità di questo festival e di questa nuova vita del Fan Fair?
Lo spostamento in città, nel centro città, era inevitabile, per quanto godesse di buona salute il festival subiva un calo di presenze crescente da qualche anno. La possibilità di utilizzare al pieno le attrattive e le risorse di Nashville non poteva essere persa né dagli organizzatori né dai governanti della città.
Tutto ciò ha comportato come minimo disorientamento e, come già ho detto all’inizio, delusione.
Ma la scelta credo dovesse essere presa per forza anche per cercare di riportare sul palco del festival i nomi grossi che da qualche anno lo disertano per motivi diversi, solo riportando al Fan Fair regolarmente più di venticinque/trentamila persone, si potrà sperare di rivedere Shania Twain, Gorge Strait, Reba, Faith Hill o Dixie Chicks nomi di punta che da troppo tempo mancano all’appuntamento.
Solo si tratta ora di migliorare le cose cercando di coordinare al meglio i vari eventi, coinvolgendo meglio i locali e negozi della città offrendo agli appassionati la possibilità di muoversi al meglio tra le diverse attività
La strada giusta, insomma, è stata presa e le stime lo confermano parlando di 124,000 presenze ai vari eventi organizzati nella settimana, un numero impressionante che, inutile dirlo, costituisce un record storico per la manifestazione che a tutto farebbe pensare meno che ad una crisi della country music made in Nashville.
Io personalmente mi sono divertito da morire quest’anno come gli altri anni, poter assistere a così tanti concerti, vedere di persona come viene vissuta la musica country dai fans americani confrontando i propri gusti, riuscire ad incontrare gli artisti, familiarizzare con loro ed accorgersi di quanto grande sia il loro entusiasmo nell’approccio con i propri ammiratori, beh queste sono emozioni che mi resteranno a lungo e che ricorderò sempre con gioia al di là del fatto che la cornice fosse quella di un campo fiere fuori città o il centro cittadino.
Alla prossima…

Roberto Galbiati, fonte Country Store n. 59, 2001

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