La Lone Star Records resta purtroppo una meteora nell’affollato panorama delle indies, ma passa solo poco più di un anno prima che Ray si ripresenti al suo pubblico discografico con un’altra prova dal titolo Something About The Night (Renegade EP 001 – 1979). Molto più maturo ed omogeneo nella sua struttura (nonostante tre songs siano registrate dal vivo) il disco privilegia la ballata cantautorale più tipica, sia essa distesa ariosamente sulle chitarre acustiche della gradevolissima Hello Early Morning o sulle note pianistiche di Dallas After Midnight. Non mancano comunque i soliti episodi atipici: la secca e roccata title-track, la latineggiante Low Life Companions e la ipnotica Volcano Love.
Un discorso a parte per i tre brani live: Texas Is A State Of Mind è una veloce ballata elettrica, autentica celebrazione del Lone Star State: eccellente.
The Nights Never Get Lonely di Bob Livingston, è una lunga esecuzione che ben si presta ad inserimenti ‘ad hoc’ fortemente influenzati dal tasso alcoolico della band in quel momento, come precisa lo stesso Ray in vena di confidenze.
In chiusura una versione rock volutamente esagerata della pluricitata Redneck Mother.
Ad onor del vero, fino ad oggi nessun album di Ray Wylie Hubbard si dimostra imperdibile, ma sono tutte tessere di un unico, interessante mosaico ed il completamento dello stesso è comunque molto coinvolgente. Il fatto che i dischi siano per lo più pubblicati da etichette indipendenti li rende pezzi oltremodo appetibili per gli appassionati (e danarosi) collezionisti.
Gli estimatori del sound del Lone Star State sentono la mancanza di Ray per altri cinque anni;
alcuni lo danno per disperso, ma è a sorpresa che nel 1984 esce un ormai introvabile live inciso per la Misery Loves Co, l’etichetta fai-da-te dello stesso Hubbard. Il disco in questione, intitolato Caught In The Act (Misery Loves Co. RHE 218 – 1984) è’ il probabile estratto delle tante registrazioni private che ogni musicista normalmente tiene chiuse nei suoi cassetti, più per ragioni affettive che commerciali.
La data è 29/6/84 ed il locale è il Soap Creek Saloon di Austin. Il sound è accettabile, il cantato (specie la signorina Mandy Mercier, che disgraziatamente rovina il classico Stand By Me esibendosi come voce solista) non lo è altrettanto ed onestamente il disco in oggetto non aggiunge grandi cose a quanto già in nostro possesso.
L’accompagnamento strumentale è invece degno di nota: c’è il caro Bugs Henderson alla chitarra – e si sente – e John (non JOE) Ely suona la steel prima di unirsi ai blasonati Asleep At The Wheel. Due parole anche sulla scelta dei brani: un’ispirata versione del brano Still Can’t Believe You’re Gone del sempreverde Willie Nelson, una grintosa cover di Hard Livin’ dell’ex-collaboratore (ora solista, con due eccellenti prove al suo attivo) David Halley ed il succitato impietoso scempio di Stand By Me. Dal suo precedente repertorio vengono ripescate Blackeyed Peas (dal primo LP) e Dallas After Midnight del 1979, dedicata all’attore Gary Busey ed a Bruce Springsteen. Jenny Lynn è un country-boogie gradevole, mentre Back To Louisiana rivede i canoni del rock-blues con Bugs Henderson sugli scudi.
Resta poco altro e l’unico motivo per cui ho inseguito questo unico disco mancante (allora) alla produzione di Ray è stato per il puro collezionismo. A voi un eventuale ulteriore giudizio, critico e non solo emotivo.
Disquisendo della produzione di Hubbard, l’ultimo vocabolo che viene in mente è ‘inflazione’: sei album in vent’anni non sono molti, anzi davvero pochi per una figura di riferimento quale il nostro è divenuto in quel di Austin e non solo. Il seguito di Caught… vede la luce solo nel 1993 in veste CD per la vecchia label di Hubbard e con le stesse facce del precedente prodotto, più una guest appearance del ‘solito’ Willie Nelson che duetta con il titolare nella ballatona acustica These Eyes.
Per Lost Train Of Thought (Misery Loves Co. 0002 CD – 1993) l’approccio è decisamente country, pur nelle sue ampie sfumature: dalle ritmate Here Comes The Night (no, non è ‘quella’) e Sweet Lips Goodbye alle più meditative Basics Of Love e la già citata These Eyes. Parimenti gradevoli le rievocazioni del passato: remoto per la seducente Portales, prossimo per Rockabilly Rock che non potrebbe portare titolo diverso.
Un anticipo del futuro ce lo fornisce Wanna Rock’n’roll, con un incedere deciso e rock ed una chitarra elettrica un filino deja vu. Il resto è onesto mestiere con lodevoli spunti di valido cantautorato. Considerando il fatto che il disco non ha goduto di alcuna distribuzione a livello nazionale, le vendite sono risultate decisamente buone, grazie soprattutto all’intensa attività concertistica di Ray.
Fine 1994: le prime avvisaglie dell’incombente freddo rallegrano gli animi invernali (come il mio) ed ecco una gradita quanto inattesa sorpresa. Grazie alla lungimiranza di Steve Wilkison, boss dell’attenta indie Dejadisc sita in quel di San Marcos, Texas (ovviamente), vede la luce il sesto capitolo della saga di Ray Wylie Hubbard: Loco Gringo’s Lament (Dejadisc DJD 3213 – 1994). Questo è il suo primo lavoro pubblicato a livello nazionale in molti anni e ne rappresenta l’evoluzione di attento cronista dei ritratti di vita e di amore incredibilmente onesti, calibrando accuratamente saghe profonde e personali con lo studio dei personaggi di coloro che ne animano la trama.
Con il suo sound folk-oriented, pieno di chitarre acustiche, dobro, mandolino, accordion, ecc. il nuovo CD è un ritorno alle radici del nostro più che un allontanamento dagli honky-tonks che consacrarono il suo periodo country-rock.
Oggi Ray si inserisce di diritto nel novero dei vari Kevin Welch, Guy Clark, Michael Fracasso, Robert Earl Keen, Joe Ely, ecc. in pratica il ‘Ghota’ del più recente cantautorato texano.
Il periodico Music City, Texas nel suo numero di Ottobre, recensisce questo CD in toni entusiastici e superlativi e non saremo certo noi a dissentire.
L’iniziale Dust Of The Chase, acustica ed arpeggiata è altissima a livello lirico, strumentale ed evocativo: siamo già di fronte ad un capolavoro?
Love Never Dies ha una caratterizzazione country a-la Waylon Jennings, ma l’apporto vocale della dolce Mary Raynolds la ingentilisce non poco.
Little Angel Comes A-walkin’ ha un approccio più rock, mentre After The Fall è uno sfogo ottimistico di rinascita dopo la caduta, la ricerca dell’amore quale ultimo obiettivo.
Di Wanna Rock’n’roll lo stesso Hubbard parla come di un incrocio tra Tom Dooley e Gloria (stavolta è proprio ‘quella’) ed il motivo è ben palese fin dal primo ascolto.
I’ve Seen That Old Highway e siamo ancora in zona mito. Una ballata da brivido, dinamica ed acustica, che ben si accoppia con il title track e le sue altissime promesse, poi mantenute: ben tre chitarre acustiche che ricamano sul cantato di Ray e sull’accordion di Lisa Mednick, compagna di scuderia: “…un ultimo valzer per i giovani cowboy selvaggi/che non hanno mai fatto ritorno dalla lost highway…”.
I musicisti coinvolti rappresentano la crema delle indies texane, con Lloyd Maines in studio ed alla produzione. Decisamente il migliore risultato della produzione di Ray a tutt’oggi. In un’epoca in cui il termine ‘country‘ sta diventando sempre più generico e ciò che viene definito ‘folk’ è meramente pop-acustico, Loco Gringo’s Lament si erge in netto contrasto – onesto ed incorruttibile, ma soprattutto Ray-Wylie-Hubbard da capo a piedi. Se è necessario descrivere il suo sound, chiamiamolo semplicemente ‘american music’, nato dalle radicate tradizioni del folk, del country, del roots-rock. Oppure, come disse una volta Woody Guthrie, “It’s all folk music, ‘cause it’s played by folks”.
Dino Della Casa, fonte Country Store n. 27, 1995