Il volume cinque (Bad Man Ballads: Songs Of Outlaws And Desperadoes, Rounder 1705, 1997) è completamente dedicato alla country music e in ogni caso contiene, per gli amanti del genere, un gran numero di gemme sonore cominciando dalla strepitosa esecuzione di Neil Morris nel brano Willie Brennan per proseguire con il grande e talentuoso Hobart Slim con la splendida Railroad Bill, fulgidi esempi di country ad altissimo livello anche e non soltanto per le notevoli doti tecniche dei due artisti qui veramente al massimo della forma mentre lievemente sottotono sono i due brani attribuiti ad Almeda Riddle (Hangman Tree e Jesse James), grande interprete di ballate supportata da musicisti importanti ma che in questo caso non sfugge a una certa ripetitività.
Considerazioni sui singoli a parte, il presente CD è certamente una vera delizia per gli appassionati e non del genere che avranno l’opportunità di ascoltare personaggi fuori completamente dai circuiti commerciali ma che per classe e tecnica non hanno nulla da invidiare ai più famosi colleghi anzi in queste registrazioni, effettuate nella maggior parte nel terribile penitenziario di Parchman, abbiamo l’occasione di coglierli in esibizioni certo informali ma sicuramente al massimo delle loro potenzialità espressive in quanto il microfono di Alan Lomax rappresentava l’unico contatto, l’unica piccola possibilità di comunicare con l’esterno, una parvenza di quella libertà che era loro negata per ovvi motivi giudiziari.
Ricordando anche la splendida versione del classico John Henry eseguita da Ed Lewis sempre all’interno di Parchman, versione totalmente inedita, non possiamo che promuovere a pieni voti un tale prodotto che va ad interessare un aspetto fondamentale della cultura musicale americana che tanti adepti annovera in giro per il mondo (ricordiamo che negli Stati Uniti è la ‘musica’ per antonomasia!).
Il sesto volume (Sheep, Sheep Don’tcha Know The Road, Rounder 1706, 1997) è anch’esso un pout-pourri di stili diversi e di influenze musicali che sono sinteticamente riassunte nel sottotitolo del CD (Southern Music, Sacred And Sinful) ovvero sacro e profano nei testi e nello spirito dei brani gospel qui proposti e che comunque rappresentano anche, più in generale, la costante dei concetti e dei soggetti proposti dai vari artisti; il signor Lomax ha sicuramente passato a tappeto, oltre alle varie chiese e centri religiosi, anche tutti i juke point del Sud, luoghi questi peccaminosi per eccellenza che costituivano l’esatta antitesi del sacro sopra descritto.
Emblematico, al proposito, è il brano del leggendario Fred McDowell (You Done Tol’ Everybody) che parla, in maniera molto ironica, dei vari conflitti umani che accadono nel matrimonio ed è proprio questa la differenza, potremmo concludere molto arditamente, tra la proposta nera e quella bianca: il nero ha sempre un approccio ironico (anche se malinconico) al problema, lo affronta raccontandolo senza falsi pudori e puntando diretto al cuore del problema mentre il bianco, forse per educazione o per ipocrisia, tende a manifestare una certa indifferenza ai guasti della vita, dando quasi la sensazione di provare fastidio nell’affrontare determinati argomenti e manifestando sempre e comunque troppa serietà nel parlare delle cose e cercando di scaricare le colpe di quello che accade sempre sulle minoranze peccatrici e gaudenti.
Antologia importante, quindi, che mette a confronto questi due modi di interpretare il gospel che, nonostante il minimo comun denominatore del contenuto dei testi, mette sul piatto della bilancia la capacità di questi due mondi di affrontare il discorso e questo succede per la prima volta, l’importanza di quest’opera è proprio nell’originalità di questo accostamento che non si era mai verificato prima.
Il settimo volume (Echoes Of The Ozarks, Rounder 1707, 1997) è un’antologia appassionante che risulta utilissima per capire la sopravvivenza e l’evoluzione, nella regione degli Ozarks (considerati per molto tempo come l’ultima frontiera dell’ovest), delle tradizioni anglo-scoto-irlandesi; è sicuramente un documento importante (non dimentichiamoci dell’importanza che hanno avuto questi immigrati e la loro musica nello sviluppo del blues e del country) che ci permette finalmente di inquadrare e di dare il giusto rilievo ai musicisti di questa regione che per molto tempo sono stati itineranti e molta influenza hanno avuto su altri musicisti e i loro stili.
La conferma ci viene puntuale dall’ascolto dei vari brani qui presenti che ci permettono di conoscere fior fiore di artisti che al loro stile sempre molto rilassato abbinano doti tecniche di prim’ordine; ascoltare per credere il raffinato banjoista Ollie Gilbert che nei cinque brani eseguiti dà un saggio delle sue immense capacità, doti da autentico virtuoso dello strumento così come pure il violinista Absie Morrison (che ha anche inciso alcuni brani commerciali negli anni ’30) e l’altrettanto pregevole suonatore di banjo Bookmiller Shannon, autentici sconosciuti che anche all’epoca della prima uscita di queste incisioni passarono assolutamente inosservati e che ora, grazie al formato CD e all’allargamento del bacino di utenza, hanno una nuova e irripetibile occasione per farsi ascoltare e apprezzare.
Il volume otto (Velvet Voices, Rounder 1708, 1997) è interamente dedicato al gospel e ai gruppi vocali a cappella ed è certamente una delle vette assolute (qualitativamente parlando) della serie; forse il velvet (tappeto o soffice) del titolo può risultare un controsenso ascoltando ad esempio la voce solista dei Brigh Light Quartet (veramente eccelsi!!) che sembra più quella di un barbiere tanto è roca, ma lo spirito che aleggia su questa antologia è quello dei vari Sam Cooke e Claude Jeter tanto per fare qualche esempio, vere leggende del genere e inesauribili fonti di ispirazione per tutti coloro che hanno avuto (o che hanno) a che fare con i virtuosismi vocali e dunque questo CD, registrato nel sud della Virginia nel 1960 (tranne qualche brano registrato nelle isole di fronte alla Georgia) ne è una dimostrazione evidente.
Le perfette armonie vocali dei solisti o dei gruppi qui rappresentati sono una vera delizia per i timpani di tutti, appassionati e non, perché trattasi di musica universale, di un linguaggio che tutti devono essere in grado di recepire tanto elementare è il fraseggio e tanto coinvolgenti sono i riff proposti senza però mai scadere nel banale o nel ripetitivo perché, di fondo, ognuno poggia le proprie performances su delle fondamenta di classe purissima, classe A per intenderci, con il bollo dell’autenticità assoluta.
Il solo brano d’apertura (Run To Jesus For Refuge Run Right Along) eseguito dall’84enne Charles Barnett, che si accompagna da solo percuotendo un contenitore metallico, vale da solo l’acquisto del compact tanto pura e cristallina è la qualità tecnica dell’esecuzione e (scusate ma lo devo dire…) mi viene quasi da ridere al solo pensiero di tanti gruppi odierni che hanno bisogno di computer e campionatori per proporre della musica!!!… suvvia, un bel bagno di umiltà, ragazzi e soprattutto riconoscere (o perlomeno cercare…) la buona musica, quella genuina e fatta col cuore da quella cialtronesca e priva completamente di un’anima, cosa che invece troviamo abbondantemente in questo prodotto: 5 stelle.
Già detto precedentemente dei volumi 9 e 10, il volume 11 (Honor The Lamb -The Belleville A Capella Choir, Rounder 1711, 1998) è interamente ascritto ai Belleville A Capella Choir, gruppo vocale che nel 1996 ha festeggiato il secolo di vita unitamente alla chiesa (The Church of God and Saints of Christ) che li ha visti nascere proprio agli albori del genere gospel e del movimento religioso che ha avuto gli schiavi neri assoluti protagonisti; registrati da Mr.Lomax il 28/4/1960 subito dopo il 59° Passover Festival organizzato appunto a Belleville in Virginia il gruppo in questione è stato inizialmente etichettato come un coro folk per alcune sue caratteristiche musicali in taluni arrangiamenti ma con il passare del tempo, assimilata la lezione del grande gruppo dei Fisk Jubilee Singers (loro vera musa ispiratrice), il coro si adatta a quelli che sono i dettami classici del genere facendo tesoro degli stili e delle tendenze delle varie epoche che hanno attraversato risultando comunque sempre originali e depositari di uno stile proprio sorretto da una classe assolutamente fuori discussione.
Tutti i testi delle canzoni si richiamano a fatti e parole della Sacra Bibbia e sono riletti fedelmente tanto per far capire la serietà religiosa (quasi integralista!!) e professionale di questo ensemble che forse non avrà la potenza di taluni gruppi leggendari (Mitchell Christian Singers, Silver Leaf Quartet, Golden Gate Quartet) ma certamente possiede una sua ben definita personalità e ascoltando questo CD ne abbiamo la conferma: impasti vocali ai limiti della perfezione, esecuzioni sempre brillanti anche e soprattutto nelle performances soliste dei vari membri del gruppo e a conferma di questo vi consiglio l’ascolto del brano d’apertura The Gospel Train proposto dall’ottimo Caleb Garris in veste di leader, una vera chicca che non mancherà di entusiasmare anche i palati più fini.
Passiamo quindi ai due volumi conclusivi, il n. 12 (Georgia Sea Islands – Biblical Songs And Spirituals, Rounder 1712, 1998) e il n. 13 (Earliest Times – Georgia Sea Islands Song For Everyday Living, Rounder 1713, 1998) che, trattando lo stesso argomento (in origine erano un volume 1 e 2), analizzeremo congiuntamente; si tratta di materiale riguardante le tradizioni musicali di quella gente che abita le isole poste immediatamente di fronte allo stato della Georgia e che senza l’interessamento del signor Lomax sarebbero finite per sempre nell’oblio musicale più profondo. Pubblicato originariamente in vinile negli anni ’60 per le etichette New World e Prestige, già all’epoca vennero considerate come registrazioni arcaiche e passarono praticamente inosservate andando rapidamente fuori catalogo e rimanendovi per tantissimo tempo; adesso, visto il crescente interesse per la musica etnica e, come detto sopra, grazie alla Rounder (oltre che a Mr. Lomax!) abbiamo finalmente l’opportunità di riascoltare (completamente remasterizzate come tutto il resto della serie) quelle rare oltre che formidabili performances di musicisti del calibro di John Davis (niente a che vedere con il pianista di Chicago), Bessie Jones, Willis Proctor, Henry Morrison, Nat Rahmings, Hobart Smith, tutti in grande forma e ciascuno accompagnato, nei brani eseguiti, dagli altri sopraccitati nelle vesti di sessionman.
Si tratta di brani derivati sempre dalla tradizione biblica oppure da fatti di vita quotidiana come poteva essere la raccolta del cotone o dei prodotti dei campi oppure la pesca, altra importante fonte di sostentamento degli abitanti di queste isole che appunto avevano l’abitudine di organizzare feste danzanti per celebrare e festeggiare il buon esito di un raccolto o di una battuta di pesca; canti di ringraziamento, dunque, contraddistinti da una vena di allegria che traspare in ogni brano, anche in quelle ballate magari un po’ malinconiche dove troviamo sempre un velato ottimismo e una grande speranza per il futuro.
Questa coppia di CD va anche ascoltata con un orecchio di riguardo per quello che concerne le qualità strumentali degli artisti in quanto dobbiamo sempre ricordare il notevole contributo dato alla musica blues (e alla musica in generale) degli artisti provenienti dalle Bahamas e dalle isole Hawaii, terre di grandi virtuosi della chitarra (basti ricordare l’introduzione della sonorità slide che tanti allievi ha avuto e ha tuttora e che proviene direttamente dalle isole del surf) e ora abbiamo anche l’occasione di sentire questi sconosciuti strumentisti che ci fanno conoscere oltre alle loro grandi doti tecniche anche la tradizione vocale e musicale di queste terre altrimenti dimenticate da tutti. Miscela perfetta, quindi, di sonorità americane e africane nelle esecuzioni di questi artisti, fatte con lo stile che gli abitanti si tramandano da generazioni, quando ancora i loro padri e nonni facevano lo stesso lavoro di agricoltori e pescatori ed è abbastanza sorprendente sentire e scoprire che tecnicamente ci troviamo di fronte ad artisti di grande levatura e sarebbe stato realmente un peccato che fossero rimasti segregati in una realtà così circoscritta, quasi ghettizzante.
Detto questo siamo arrivati alla conclusione di questa magnifica cavalcata attraverso gli stati del Sud in compagnia di Alan Lomax e debbo dire che è stata davvero entusiasmante se il buongiorno si vede al mattino. Questa prima sfornata di compact tratti dalle registrazioni effettuate dal suddetto etnomusicologo pone le basi per un futuro radioso anche a livello commerciale per questo programma colossale di ristampe, radioso anche per gli acquirenti che potranno trovare autentici tesori musicali in quanto, possiamo proprio dirlo, ne abbiamo per tutti i gusti, ognuno dovrà per forza trovare qualche cosa di suo gradimento altrimenti può pure passare alla compilation del Festival di Sanremo.
Non mollate, quindi, dovete solo fare il piccolo sforzo di cercare questa serie (in attesa del resto del programma!) nei negozi specializzati e lasciarvi guidare dal vostro giudizio critico e dal vostro criterio di scelta.
Come detto tutta la serie è remasterizzata e i libretti allegati sono quelli tipici della confezione di lusso. Che dire ancora, io da parte mia posso solo consigliarvi caldamente l’acquisto di questa serie di Southern Journey anche se non tutta come me: almeno qualche volume che si avvicini ai vostri gusti musicali e, una volta fatto l’acquisto, caricate il gira CD ed entrate nel magico universo sonoro di Alan Lomax, un viaggio che soddisferà completamente tutti coloro che avranno avuto il coraggio di osare questa scelta. Buon ascolto!!
Moreno Matteoni, fonte Out Of Time n. 27, 1998