Sun Records

Nel 2002 cadranno i cinquant’anni dalla nascita della leggendaria Sun Record. E’ appena uscito un ottimo disco tributo, The Legacy Of Sun Records, in cui nomi come Paul McCartney, Jimmy Page, Bob Dylan, Robert Plant, Sheryl Crow, Elton John e altri pagano tributo a quella musica che ha cambiato il volto della società occidentale, come nessun altra rivoluzione del XX secolo è stata in grado di fare. Alla base di ciò che sarebbe diventato il rock and roll, nato dall’intuizione di Sam Phillips di mettere insieme musica nera e musica bianca, c’era infatti una cosa sola: il desiderio di libertà.
In questa cover story raccontiamo a storia della Sun, dedichiamo un ritratto al suo fondatore Sam Phillips, analizziamo in modo dettagliato il disco tributo e pubblichiamo in esclusiva un’intervista con il leggendario Billy Lee Riley, uno degli eroi del rockabilly della Sun e uno dei pochi ancora in attività.
Più una guida sicura per districarvi nei marasma delle ristampe della Sun Record.
Buona lettura da parte degli autori Carmelo Genovese, Aldo Pedron, Alberto Tonti e Paolo Vites

The Sun Record history; un sogno americano
Memphis non è la tipica meta turistica. È una città tranquilla, di medie dimensioni, senza particolari attrattive. Ma chi ama il cuore della musica americana, quel cuore che qui da queste parti ha sempre battuto con un ritmo profondo e vitale, non può ignorarla. Ad un primo impatto può sembrare fin troppo anonima rispetto ad altre città che sventolano in maniera pomposa i loro vessilli paramusicali. Arrivando a Memphis, Tennessee, con l’emozione di scoprire il luogo dove è nato il rock and roll, si può rimanere delusi. Ci si aspetterebbe forse di sentire l’ululato di Howlin’ Wolf o l’eco della voce di Elvis, ancora prima di vedere la città e accarezzare il Mississippi svoltando verso Beale Street.

Senza fretta, finalmente, Memphis si rivela come il luogo nel quale l’anima musicale ha bisogno di essere pubblicizzata, tanto è parte integrante dell’aria che si respira. Il magico crocevia della musica del XX secolo mantiene tutt’oggi quell’invisibile qualità che non può essere mostrata con una fotografia o raccontata fino in fondo. Memphis è il laboratorio nel quale la musica ha trovato un sorprendente equilibrio nella fusione dei più autentici stili tradizionali americani.

-Walking In Memphis.
Quando William Christopher Handy giunse a Memphis agli inizi del Novecento, convinto di essere arrivato nel posto giusto dopo aver girovagato in tutto il Sud per inventarsi una carriera di musicista, stava cercando di mettere insieme i ricordi dei canti di lavoro degli schiavi che aveva sentito durante la sua infanzia a Florence, Alabama. Voleva mettere nero su bianco, su di un pentagramma, l’espressione della sua gente.

Una notte, passeggiando per Beale Street, fu attratto dal suono di un pianoforte che alternava gli ipnotici ritmi suonati sulle note basse con strane pause, nelle quali venivano suonati soltanto alcuni passaggi sugli alti della tastiera; incuriosito, entrò nel locale malfamato e vide un uomo di colore, stremato, quasi aggrappato ai pianoforte. L’uomo gli rivelò che doveva suonare dalle sette di sera fino all’alba, e che l’unico modo per riposarsi era quello di alternare l’uso delle due mani, per dosare al massimo la fatica. In quell’uomo, che gli raccontò della sua vita, e che nonostante tutto si riteneva fortunato, W.C. Handy vide rappresentata perfettamente la situazione della sua razza e si rafforzò in lui la convinzione dell’importanza della musica quale mezzo espressivo per costruire un’identità culturale. Pochi anni dopo, brani come St. Louis Blues, Memphis Blues e Beale Street Blues lo resero famoso in tutto il mondo, facendolo acclamare, a torto o ragione, come il padre del blues, e come colui che aveva saputo far assurgere a forma d’arte la storia musicale dei neri d’America.

Fu proprio la fama e la fortuna di W.C. Handy a ispirare il giovane Sam Phillips, suo concittadino, a lasciare Florence e l’Alabama per seguire i suoi sogni a Memphis nel 1945, a soli 22 anni. Avendo già lavorato presso una radio di Muscle Shoals, vicino a Florence, non gli fu difficile trovare un’occupazione quale disc jockey e ingegnere del suono presso le stazioni radiofoniche WLAY e WREC; come il suo ormai illustre concittadino, Phillips aveva portato con sé, ben custoditi, i ricordi dei canti di lavoro dei ‘field hollers’ e di quelli religiosi, sia bianchi che neri. In più Phillips, attraverso la radio, conobbe il primo country & western e imparò ad apprezzare le più sofisticate canzoni di Tin Pan Alley.

Alla WREC Phillips si ritrovò ad occuparsi delle trasmissioni di concerti dal vivo eseguiti dalle big band che si esibivano al Peabody Skyway, uno dei ristoranti più lussuosi dell’intera regione. Qui affinò la sua perizia tecnica nell’elaborazione e gestione dei suoni e maturò una considerevole esperienza che gli sarebbe tornata poi preziosa.
Contemporaneamente, però, avendo sempre monitorato con attenzione la realtà musicale dell’intera area di Memphis, Sam Phillips si rendeva inequivocabilmente conto che esisteva una vasta schiera di musicisti di colore che esprimevano nella loro musica la realtà dell’America quotidiana, più cruda e diretta, lontana dalla musica patinata che regnava nelle case degli americani ed educava a un rassicurante conformismo.

A Memphis non erano più state effettuate registrazioni fonografiche fin dai primi anni 30, quando gli anni bui della Depressione avevano ormai reso i dischi oggetti di lusso; ma la musica non si era fermata e la nuova generazione di bluesmen del Delta era ormai armata di amplificatori e suoni distorti, più per necessità che per scelta. I locali neri erano affollati da gente chiassosa che voleva finalmente divertirsi dopo le dure giornate di lavoro, e l’unico modo per far sentire la propria chitarra o armonica era quello di tirare il collo a rudimentali amplificatori e darci dentro col ritmo. Quel ritmo che Phillips, c’è da giurarci, sapeva che avrebbe presto invaso le tranquille case degli americani. Bastava soltanto che qualcuno, nell’America puritana del dopoguerra, avesse avuto il coraggio di provare a promuovere quella musica.

-L’officina del blues.
Nel gennaio 1950 Phillips decise di seguire il suo istinto: affittò per 75 dollari al mese una vecchia e piccola autofficina al 706 di Union Avenue e investì 1.000 dollari per convertirla in uno studio di registrazione. Era nato il Memphis Recording Service. Catturare su di un nastro un momento irripetibile e unico era il suo scopo: “We record anything, anywhere, anytime”. Musica, matrimoni, comizi, qualunque evento si desiderasse immortalare.
Presto molti musicisti iniziarono a frequentare lo studio. E nel Sud degli Stati Uniti, nel quale i tempi dell’integrazione erano ancora lontani a venire, dove i posti sugli autobus e nelle toilette erano ancora divisi tra bianchi e neri, il via vai di musicisti afroamericani che iniziò a crearsi nell’officina musicale del bianco Phillips era considerato quantomeno bizzarro e sospetto, quando non addirittura scandaloso.
Questo fu uno dei suoi più grandi meriti: Sam Phillips, prima di altri, aveva capito la profonda importanza del blues, quale sincera e autentica espressione della condizione umana dei neri americani.

La prima idea di creare una propria etichetta discografica, la Phillips Records (fondata insieme al dj Dewey Phillips), fu subito accantonata dopo lo scarso successo del singolo Gotta Let You Go / Boogie In The Park di Joe Hill Louis, e l’intraprendente produttore decise di concentrarsi sulla ricerca di talenti meritevoli di essere registrati per poi rivendere i prodotti alle case discografiche interessate. La prima fu la RPM dei Bihari Brothers, una sussidiaria della loro Modern, di base a Los Angeles; poi seguì un accordo con la Chess di Chicago.
Tra i primi bluesmen lanciati da Phillips ci furono Little Milton e B.B. King; quest’ultimo, oltre a perseguire una carriera di musicista, lavorava come dj radiofonico, guadagnandosi da vivere anche suonando e cantando jingle pubblicitari. Un altro bluesman poi divenuto leggendario, che diede una svolta alla sua carriera in questo periodo, fu Chester Burnett, in arte Howlin’ Wolf, che con Phillips registrò futuri classici del blues come Moanin’ At Midnight e How Many More Years e intraprese poi il suo viaggio per la consacrazione ufficiale di Chicago alla corte dei fratelli Chess.

Nel 1951 la svolta: la canzone Rocket 88 registrata al Memphis Recording Service da Jackie Brenston con la band di Ike Turner, e in seguito considerata quale uno dei dischi papabili per il titolo di primo brano rock and roll della storia, raggiunge per l’etichetta Chess la cima delle classifiche R&B e impone Sam Phillips come un credibile interlocutore attirando l’attenzione di altre case discografiche. Ma a questo punto Phillips, dopo aver intravisto nella riuscita di Rocket 88 il tenuo chiarore dell’alba, decide di continuare a scommettere su se stesso e sul sole che presto sarebbe spuntato.

– That’s all right Sam
Nel 1952 nasce la Sun Record. Il nome evoca forse proprio la visione di una luce che Phillips vide prima di molti altri. Basta guardare le foto dell’epoca per rendersi conto che dal suo sguardo apparentemente di lucida follia, vi era l’infervorata determinazione di chi ha una missione da compiere. Come dichiarò in seguito, per lui il sole, sin da quando era bambino, simboleggiava un nuovo giorno e una nuova opportunità. E il gallo che campeggia sull’etichetta gialla, tra i raggi del sole contornati dalle note su di un pentagramma, sembra star lì fiero a svegliare le orecchie intorpidite dal pop patinato che andava per la maggiore.

Nonostante la qualità dei lavori registrati dal bizzarro Harmonica Frank (un bianco che suonava musica nera, una storia destinata a ripetersi) o da Billy The Kid Emerson, con il suo sound intenso, gli inizi sono piuttosto difficoltosi. I primi tiepidi hit vengono sfornati da Little Junior Parker con Feelin’ Good e Mystery Train, quest’ultimo destinato a diventare, attraverso l’interpretazione di un ragazzo che in quel momento faceva ancora il camionista per una società di fornitura di energia elettrica, una pietra miliare dell’evoluzione del rock and roll. Un altro hit minore fu ottenuto da Rufus Thomas con Bear Cat, che però ricalcava in maniera troppo sfacciata la nota Hound Dog di Leiber-Stoller, e procurò non pochi guai a Phillips che fu citato per plagio.

Un giovanissimo James Cotton, di lì a poco destinato ad entrare nella super band di Muddy Waters, incise una convincente Cotton Crop’s Blues, ma senza esiti rilevanti.
Tra le session più originali di quel periodo vi fu certamente quella dei Prisonaires, un gruppo di detenuti del penitenziario di Nashville che si recò agli studi Sun scortato dagli agenti di polizia per incidere Just Walkin’ In The Rain. Gli affari non andavano per il verso giusto e i debiti continuavano ad aumentare. Il lavoro alla radio WREC e l’impegno profuso per avviare il suo studio gli lasciavano pochissime ore di sonno e di riposo. Phillips ebbe due esaurimenti nervosi, curati con tanto di elettroshock.

L’innegabile valore artistico della musica che Sam Philips produceva non dava i frutti sperati; fu in questo periodo che maturò l’idea che, per concretizzare finalmente i suoi progetti e “guadagnare un milione di dollari”, gli sarebbe servito “un cantante bianco che sapesse cantare con l’intensità di un nero”. A sua insaputa, il destino aveva già deciso di dargli una mano: quella che poteva sembrare soltanto un’idea astratta si stava già concretizzando.

-Good Rockin’ Tonight
Fu proprio in quel periodo, in un afoso giorno d’estate del 1953, che un ragazzo diciottenne originario di Tupelo, Mississippi, si recò presso gli studi Sun del 706 di Union Avenue per incidere un paio di brani a carattere amatoriale a pagamento. Tre dollari e 98 centesimi per ogni canzone, più le tasse. La segretaria, Marion Keisker, in un primo momento lo aveva scambiato per un vagabondo a causa dei suoi capelli lunghi e dell’aspetto poco curato. Poi gli chiese a quale artista il suo stile assomigliasse. “A nessun altro”, fu la risposta. Sam Phillips stava uscendo per andare a pranzo e la segretaria si occupò direttamente della registrazione. L’esecuzione dei due brani, My Happiness e That’s When Your Heartaches Begin, ambedue rese celebri dal gruppo mainstream nero degli Ink Spots, non fu indimenticabile, con delle variazioni di stile e di intonazione, ma c’era qualcosa nella voce di quel ragazzo che intrigò Marion Keisker. Fu così che decise di farne una copia in più per farla poi ascoltare a Sam. Sulla cassetta annotò il nome e il numero di telefono del cantante e la seguente scritta: “Elvis Presley, good ballad singer”.

Nonostante ciò, non successe niente.
Sei mesi dopo, nel gennaio 1954, il giovane Elvis, che nel frattempo aveva iniziato a lavorare come camionista, tornò incontro al suo destino e questa volta incise, sotto la direzione di Phillips, Casual Love Affair e I’ll Never Stand In Your Way. Phillips fu altrettanto impressionato dal suo modo di interpretare le ballate e gli disse che, se avesse intuito buone prospettive commerciali per il suo stile, lo avrebbe senz’altro tenuto in considerazione. Presley continuò a frequentare lo studio per provare delle canzoni o chiedere consigli e, finalmente, nel mese di giugno fu chiamato da Phillips per cercare di ricatturare l’intensità emotiva di uno sconosciuto cantante nero che aveva inciso un demo intitolato Without You.

L’esperimento non funzionò. Ma Phillips aveva capito che Elvis Presley poteva essere la persona giusta. Cominciò a fargli cantare tutte le canzoni del suo repertorio e, dopo avergli affiancato il chitarrista Scotty Moore e il contrabbassista Bill Bleck, ambedue del gruppo Doug Poindexter And The Starlite Wranglers, Elvis finalmente inciampò nel suo destino.
Tra una session e l’altra, dalle quali non sembrava uscire nulla di trascendentale, Elvis si lanciò scherzosamente in una scatenata interpretazione del brano country blues That’s All Right di Arthur ‘Big Boy’ Crudup. Bill Bleck e Scotty Moore lo seguirono in quello che sembrava soltanto uno sfogo per scaricare le tossine di una session infruttuosa: Sam Phillips, invece, vide finalmente il sole splendere e sentì il gallo cantare.

That’s All Right, accoppiato a una felice versione di Blue Moon Of Kentucky (di Bill Monroe), fu il primo singolo di Elvis Presley che avrebbe rivelato a tutti, e a Presley stesso, la nascita del rockabilly. Prima di stampare i dischi, ne fu data una copia ad alcuni dj di Memphis, tra cui l’ex socio di Sam, Dewey Phillips, il quale iniziò a programmarla diverse volte al giorno. Presto arrivarono telefonate e telegrammi per chiedere chi fosse il cantante e dove poter reperire il disco. Dewey Phillips rintracciò subito Elvis per un’intervista e il 19 luglio, due settimane dopo la sua incisione, il disco iniziò a essere commercializzato. Il 30 luglio Elvis fece la sua prima apparizione dal vivo, all’Overtone Park Shell di Memphis, dove, dopo una prima parte piuttosto anonima nella quale interpretò alcune ballate, portò poi la folla ai suoi piedi con una scatenata versione di Good Rockin’ Tonight.

Elvis si rivelò un talento unico. Un’incredibile voce duttile che con una sorprendente naturalezza sapeva concentrare tutta l’essenza della musica americana, senza barriere di alcun tipo; una presenza scenica travolgente, che costringerà i responsabili della trasmissioni televisive a censurarne i movimenti dai fianchi in giù e gli farà guadagnare l’appellativo di ‘Elvis The Pelvis’ (per il suo ‘scandaloso’ ancheggiare).

Inoltre aveva tutti gli attributi per rappresentare il sogno americano. Proveniva da una famiglia povera del Mississippi e presto avrebbe acquistato una reggia a Memphis, faceva il camionista per la Crown Electric e all’improvviso si ritroverà su di una Cadillac rosa, era un ragazzo trasandato e timido e presto ebbe tutte le teenager americane ai suoi piedi. Infine, cosa non trascurabile, era bello e bianco (negli anni 50 il sogno americano non era ancora previsto per i neri…). Sam Phillips intuì tutto questo. Non aspettava altro. Si buttò a capofitto su Elvis Presley e insieme a lui, attraverso una manciata di singoli realizzati tra la fine del 1954 e il 1955, mise a punto la prima compiuta formula del rock and roll.

Finalmente riuscì completamente nel suo intento dichiarato di “permettere a qualcuno di esprimere completamente se stesso; di scovare quell’intima e unica qualità e trovare il modo di manifestarla e concretizzarla con naturalezza”. Attraverso le registrazioni di brani quali Good Rockin’ Tonight, I Don’t Care If The Sun Don’t Shine, Milkcow Blues Boogie, Baby Let’s Play House, Mystery Train e Trying To Get To You, Elvis svelò a tutti, oltre che a se stesso, la potenza di una nuova musica.

Phillips, dal canto suo, lo aiutò in questo processo di meravigliosa rivelazione e, contemporaneamente, migliorò ulteriormente la sua capacità dì produttore che rompeva io schema pop del cantante in primo piano con l’educata orchestra in secondo piano, quasi per non disturbare. In una sorta di democrazia sonora, nella musica di Phillips le chitarre, l’armonica, il sax avevano abbastanza spazio e voce per esprimersi, e la voce, nell’invenzione del rockabilly, fu drogata con un sapiente e creativo utilizzo dell’eco che divenne un marchio di fabbrica di casa Sun.

-I dollari di Elvis
Può sembrare incredibile, ma nonostante avesse Presley sotto contratto e i dischi di Elvis vendessero abbastanza bene, la Sun non riusciva a mettersi in pari, poiché i distributori spesso saldavano i conti restituendole dischi blues del catalogo Sun che erano rimasti invenduti. Questa paradossale situazione portò nuovamente l’etichetta sull’orlo della bancarotta e le grosse case discografiche, fiutando l’affare, cominciarono a far squillare il telefono al 706 di Union Avenue.

Con una decisione sofferta quanto obbligata (il contratto di Elvis sarebbe scaduto alla metà del 1957), Phillips decise che, se proprio doveva sacrificare Elvis, avrebbe tentato all’inizio di sparare una grossa cifra, disposto poi eventualmente a ridimensionare le sue richieste. I 35mila dollari richiesti per il contratto di Presley (oltre a 5mila dollari da dare all’artista) furono pagati senza batter ciglio dalla RCA e il 16 novembre del 1955 Elvis Presley era pronto a essere incoronato re del rock and roll. A Phillips non parve vero. Ecco che arrivavano 35mila bigliettoni sonanti per ristabilire le finanze e rinvigorire la Sun Record; non era il milione di dollari sperato ma, in fondo, le premesse non erano delle peggiori: alla porta della Sun arrivava una miriade di ragazzi bianchi e ambiziosi, che sognavano di essere toccati dalla magia dell’uomo che aveva inventato Elvis Presiey.

I primi furono Carl Perkins e Johnny Cash. Perkins, appena arrivato alla Sun, incise subito la sua Blue Suede Shoes, che entrò subito in classifica rivaleggiando con il primo successo di Elvis alla RCA.
Fu una soddisfazione immensa per Phillips. Era la dimostrazione che non era semplicemente inciampato sulla fortuna con Elvis, ma aveva invece fatto fiorire una nuova formula musicale. Blue Suede Shoes possedeva tutte le qualità del miglior rockabilly e divenne uno dei classici assoluti di ogni tempo. A causa di un incidente automobilistico che lo costrinse a un ricovero in ospedale, Carl Perkins non fu in grado di promuovere ulteriormente il disco e la sua immagine e, ironia della sorte, dal suo luogo di convalescenza vide Elvis Presley trionfare allo spettacolo televisivo Ed Sullivan Show, proprio con una versione della sua canzone.

Perkins, valido cantante e ottimo chitarrista, non riuscì a bissare un successo di tali proporzioni ma, in casa Sun, scrisse alcune delle pagine più influenti della musica rock alle quali, pochi anni più tardi, i Beatles e molti altri attinsero a piene mani per realizzare i loro sogni di gloria. Boppin’ The Blues, Dixie Fried, Honey Don’t, Matchbox e molte altre sue canzoni definirono il rockabilly e il suo stile chitarristico può essere considerato il più importante contributo dato da un singolo artista a questo genere.

Oltre a Perkins anche Johnny Cash iniziò un fortunato sodalizio artistico con Phillips. Come Cash ebbe in seguito ad affermare, uno dei motivi che lo spinse alla Sun fu proprio la libertà che Phillips dava ai suoi artisti, intesa come possibilità di esprimere realmente se stessi. Se fosse andato a Nashville, Cash sapeva che gli avrebbero messo i soliti bravissimi session men a suonare l’identica musica perfetta che si sentiva sulla maggior parte dei dischi prodotti nella Music City. Soltanto la sua voce avrebbe fatto la differenza, ma sarebbe stato un prodotto troppo ‘industriale’ e standardizzato. Phillips invece gli diede la libertà di essere se stesso e, con una base scarna ed efficace, uscì anche la vera anima di Johnny Cash e del suo trio: un treno musicale che viaggiava attraverso storie epiche raccontate da una voce profonda che accarezzava le parti più basse del pentagramma.

In tre anni di contratto con la Sun, Cash, con successi come Get Rhythm, I Walk The Line e Ballad Of A Teenage Queen, realizzò vendite che facevano rima con il suo cognome e quando abbandonò la piccola casa discografica per approdare alla Columbia per Phillips fu un duro colpo.
D’altra parte una delle critiche che furono spesso mosse a Sam Phillips, come a molti altri discografici, era una scarsa chiarezza per quanto riguardava la divisione della torta e la destinazione delle royalties. Forse Phillips era particolarmente avido, oppure, semplicemente, pensava che in ogni caso, se avessero avuto successo, i suoi artisti gli sarebbero stati ugualmente soffiati dalle grandi case discografiche con cui non poteva competere. Il suo era un semplice scambio: forniva il suo intuito e il suo talento cercando di ottenere il massimo risultato anche in termini economici. E poi c’era sempre la fila fuori dalla Sun. Non c’era più bisogno di andare a scovare i talenti: arrivavano da soli.

Tra i nomi dei ‘minori’ che in quegli bussarono alla porta della Sun bisogna necessariamente menzionarne alcuni. Hasil Adslins, o Charlie Feathers, la cui I Forgot To Remember To Forget fu una delle canzoni incise da Elvis nel periodo Sun, era un pacato e strano rockabilly che sosteneva di aver insegnato ad Elvis diverse cose ancora prima che egli si presentasse alla Sun; Feathers ricorda che Presley lo andava a trovare con la sua chitarra per farsi insegnare brani country e cantare insieme a lui Blue Moon Of Kentucky sulle panchine del parco di Memphis.

Il cantante e polistrumentista Billy Lee Riley fu invece in assoluto uno degli artisti più sottovalutati e più puramente rock and roll della Sun Records. Riley nel 1955 aveva appena registrato Trouble Sound per un’altra etichetta di Memphis; Sam Phillips acquistò i diritti per pubblicarlo per la Sun e lo ingaggiò con la sua band, battezzata The Green Man, che in breve diventò la house band della Sun, suonando in diversi 45 giri. Flying Saucers Rock And Roll e Red Hot furono i più importanti successi di Billy Lee Riley e nel corso della sua carriera, seppur non raggiungendo mai un successo di vaste proporzioni, collaborò in seguito con i Beach Boys, Johnny Rivers, Dean Martin e Sammy Davis Jr. Riley, che ha pubblicato alcuni dischi validi anche negli anni 90, è ancora oggi, a quasi settant’anni, sempre in giro e molto attivo (leggi intervista più avanti).

Warren Smith lasciò invece il segno con la fantastica Red Cadillac And A Black Moustache e la scatenata Ubangi Stomp, ambedue divenute gemme degli appassionati e revivalisti del rockabilly.
Altri personaggi minori, come Malcom Yelvington, Sonny Burgess, Carl Mann e Bill Justis diedero il loro onesto contributo, rimanendo tuttavia ai margini di quello che fu il fenomeno Sun.

-Visionari e peccatori alla corte di Sam
Ci furono invece un altro paio di grandi artisti, divenuti autentici monumenti della musica rock, con i quali Sam Phillips ottenne risultati diametralmente opposti. Roy Orbison era giunto dal Texas con un demo registrato negli studi di Norman Petty a Clovis, New Mexico. Ooby Dooby era un rock and roll ancora acerbo che, dopo il trattamento di Phillips, entrò nelle classifiche lasciando presagire un fortunato connubio. Ma Orbison era un talento un po’ troppo complicato per Phillips, il quale gli chiedeva soltanto di cercare di imitare Elvis.

L’artista texano invece, nella sua mente, immaginava la sua musica incentrata su epiche ballate che celebrassero in maniera drammatica e sincera l’amore più puro, con arrangiamenti di orchestra e archi. Un po’ troppo per essere realizzato nelle poche decine di metri quadrati dello studio di Union Avenue. Fu così che Roy Orbison lasciò la Sun, dopo aver tentato di realizzare i desideri di Phillips lasciando una manciata di ottimi rock and roll nei catalogo Sun, e trovò musica e fortuna a Nashville per la Monument Records. Orbison aveva una delle voci più incredibili ed emozionanti dell’intera storia del rock e le registrazioni della Monument, da Only The Lonely a In Dreams, attraverso hit come Pretty Woman, lo testimoniarono inequivocabilmente.

Jerry Lee Lewis, invece, aveva effettuato il percorso inverso. Originario di Ferriday, Louisiana, aveva bussato alla porta di diverse case discografiche di Nashville senza suscitare alcun interesse. Convinto del proprio talento e frustrato per una carriera che stentava a decollare, Lewis dopo aver assistito con emozione all’improvvisa ascesa di Elvis Presley, intuì che Sam Phillips era l’unico che avrebbe potuto valorizzare il suo stile poco ortodosso, caratterizzato da un pianismo selvaggio e virtuoso che mescolava gospel, country e blues con una massiccia dose di boogie.

Recatosi a Memphis presso gli studi Sun, nonostante l’assenza del boss Sam Phillips, incontrò il suo assistente Jack Clement il quale dopo averlo ascoltato lo invitò a tornare. Sam Phillips, sorpreso dal suo vasto repertorio di country, blues e gospel, e dallo stile decisamente rock and roll, decise di investire su di lui convinto di aver trovato l’uomo giusto per sostituire Eivis Presiey. Crazy Arms fu il primo singolo di Lewis per la Sun ma, poco dopo, con Whole Lotta Shakin’ Goin’ On incontrò un successo milionario che riportò nuova linfa alla Sun e lanciò in orbita la sua carriera.

Durante un concerto Jerry Lee Lewis, come testimoniò Carl Perkins, stanco di stare seduto al piano, tirò un calcio allo sgabello iniziando a suonare come un forsennato facendo ogni genere di acrobazia possibile inclusa quella di salire sul pianoforte in segno di conquista. Se lo stile musicale era ormai già formato, in questo momento iniziò la storia di una presenza scenica aggressiva che gli procurò il soprannome di ‘Killer’. Il momento di gloria continuò con altre perle del suo repertorio quali Great Balls Of Fire e Breathless e con l’inizio di un tour in Inghilterra. Ma qui la stampa più tradizionalista, preoccupata per la carica trasgressiva del personaggio, rese noto che l’artista si era appena sposato con la cugina Myra Gale Brown, per di più tredicenne, e che una sua esibizione sarebbe stata poco raccomandabile.

Dopo pochi concerti Lewis fu costretto a interrompere il tour e rientrare negli Stati Uniti dove, nel frattempo lo scandalo era rimbalzato ed era stato ampliato dalle prese di posizione dell’establishment contrario a questo nuovo tipo di musica rivoluzionaria. Un piccolo particolare di cui molti si dimenticarono era che questo genere di matrimoni nel Sud rappresentava una pratica molto diffusa.

All’improvviso la carriera di Jerry Lee Lewis andò a pezzi e con essa anche la speranza di Phillips di riuscire ad aver un artista dalle vendite milionarie per un ragionevole periodo di tempo. Poche settimane prima Jerry Lee Lewis suonava per 10mila dollari ed all’improvviso faceva fatica a trovare date per 250 dollari a serata. Per riuscire a vivere di musica si imbarcò in infiniti tour in giro per gli Stati Uniti, suonando spesso in locali della peggior specie, dove a volte la musica veniva disturbata anche da colpi di pistola. Nel 1963 lasciò la Sun nonostante tutti i tentativi di Sam Phillips che per cercare di tenerlo con sé mise sotto contratto anche la sorella Linda Gail e addirittura il padre Elmo.

Jerry Lee Lewis riuscì a rilanciare la sua carriera, prima mettendo il suo immenso talento al servizio della musica country per ricostruirsi un’immagine rassicurante, e poi con diversi ritorni di fiamma nel rock and roll dettati dal revival e dal sacro fuoco che non ha mai smesso di bruciare dentro uno degli artisti più complicati e travolgenti della storia della musica americana. Il suo rapporto con Sam Phillips fu combattuto tra l’eterna riconoscenza di avergli fatto spiccare il volo nel mondo della musica e le solite recriminazioni e incomprensioni legate a controversie legate a problemi economici e caratteriali. Jerry Lee Lewis conduce oggi una vita piuttosto agiata anche se non può definirsi ricco, ma se all’epoca della Sun avesse accettato l’offerta di Phillips che gli proponeva di pagargli una fetta delle sue royalties con un pacchetto di azioni dell’ancora sconosciuta catena di alberghi Holiday Inn, anziché con denaro contante (speso presto in automobili lussuose e casse di whisky), forse avrebbe potuto affrontare più comodamente i momenti meno fortunati.

-Lonely Weekend
Nel mese di ottobre 1957 la Sun Record fu affiancata dalla Phillips International e fu aperto un nuovo studio a Memphis, più grande e organizzato, al 639 di Madison Avenue, che sostituì quello di Union Avenue. Alla fine degli anni 50 intanto, un dotato musicista proveniente da Colt, Arkansas, era arrivato in città e, dopo aver suonato una sera nella band di Bill Justis, fu invitato presso il nuovo studio di Sam Phillips per lavorare come session man.
Charlie Rich era un pianista e cantante con un solido background musicale basato su jazz e blues.

Dopo aver suonato a varie sedute di registrazione di Warren Storm, Ray Smith e Billy Lee Riley, Rich non tardò a mettere a frutto il proprio talento di autore e interprete. Lonely Weekend fu uno degli ultimi successi della Sun Record e raggiunse i piani alti delle classifiche pop di Billboard. Autore prolifico, scrisse alcuni brani che furono interpretati da Jerry Lee Lewis (Break Up), Johnny Cash (The Ways Of A Woman In Love e Thanks A Lot) ed Elvis Presley (l’m Comin’ Home). Ma canzoni come Who Will The Next Fool Be? rivelavano che la Sun non era il vestito ideale per lo stile raffinato e riflessivo di Charlie Rich, nonostante la stima di Sam Phillips che ebbe occasione di menzionarlo quale il più bravo musicista con cui avesse lavorato. Rich proseguì per la sua strada, approdando regolarmente in cima alle classifiche nazionali tra la fine degli anni 60 e l’inizio dei 70.

Intanto Phillips, nel febbraio ’61, aveva aperto uno studio anche a Nashville e aveva ripreso a registrare materiale per altre etichette oltre che per le proprie Sun e Phillips International. I nuovi studi di registrazione permettevano la realizzazione di prodotti tecnicamente più avanzati; le nuove incisioni erano in stereo mentre il materiale realizzato nello studio originario era tutto registrato in mono. Ma, si sa, la tecnica non è tutto, e dopo oltre dieci anni di intensa attività e la defezione dei migliori talenti, Phillips aveva ormai perso l’entusiasmo degli inizi. I tempi erano cambiati, e con essi la musica. Fino al 1968 la Sun si trascinò pubblicando soltanto pochi singoli. Phillips aveva realizzato parecchi soldi con la sua attività nel music business e ancor di più con il suo fortunato investimento nella catena degli Holiday lnn.

Il primo luglio 1969, quindici anni dopo che Elvis Presley aveva registrato That’s All Right, Phillips accettò l’offerta di Shelby Singleton Jr., un produttore di successo della Mercury Records. Singleton era interessato essenzialmente al catalogo Sun e, da quel momento, fiorirono le ristampe e le raccolte per un’infinità di diverse case discografiche, generando non poca confusione. Singleton ha dato fondo al catalogo e probabilmente tutti gli inediti esistenti sono stati pubblicati.

Il sole della Sun Record continua a brillare nella storia musicale del XX secolo. Un esemplare storia di un uomo, armato di intuito, passione, di un’idea e della determinazione a realizzarla, riuscito nel suo intento. Dove la fortuna sia arrivata a soccorrere il genio in fondo non ha importanza. Così come non ha importanza se le motivazioni che stavano alla base di tutto erano più o meno nobili. Ciò che conta è che un uomo che credeva in qualcosa, con a disposizione soltanto pochi mezzi, sia riuscito a contribuire in maniera determinante allo sviluppo della musica e della cultura di svariate generazioni. Anche questo è il sogno americano.

Carmelo Genovese, fonte JAM n. 77, 2001

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