Austin

Vivere ad Austin è pericoloso, soprattutto se sei un musicista. Certo, con tutte quelle chitarre a spasso per il downtown, tutti i live music club attivi sin dal pomeriggio, tutte le librerie, negozi di dischi, di strumenti, di oggetti d’arte con i loro bravi palchetti, tutte le radio che aprono i loro microfoni a chiunque viva o passi in città, con tutto questo, Austin sembra quasi un paradiso: in realtà è più simile alla città dei balocchi cara a Lucignolo. Per decine (centinaia) di artisti, Austin infatti finisce per diventare una confortevole culla dalle sponde però d’acciaio, entro la quale è facile autoconfinarsi, blanditi da una popolarità sommessa e alimentati dai frequenti ingaggi con i club cittadini.
Facile allora che una carriera, apparentemente destinata a puntare al mondo, rimanga per sempre entro i confini comunali: chiedetelo a John Dee Graham, scappato da Los Angeles a cantare le sue rauche e dolenti ballate blues per gli avventori del Continental Club, a Toni Price, tra le più belle voci blues d’America, ospite fissa della happy hour sempre al Continental, a Malford Milligan, soul singer e songwriter dalle decine di occasioni sprecate, a Jimmy LaFave, a Monte Montgomery, a George Devore…
Pochi nomi a caso da un lungo elenco, poco noti dalle nostre parti, ma le cui vite artistiche testimoniano di potenzialità mai compiutamente emerse al di fuori di Austin.
Emergere qui pare insomma, complice anche una stagnante presenza di case discografiche numerose ma povere, impresa difficile e assolutamente casuale.

Ci sta provando Bob Schneider, che definire emergente è comunque un simpatico eufemismo con il quale si cancellano tre album di garage punk con Joe Rockhead, due (per la Capricorn) con Ugly Americans e l’ancora viva esperienza con The Scabs, che ha già fruttato quattro lavori indie. La stessa carriera solista di Schneider non è cominciata oggi: tre sono i dischi che il boyfriend di Sandra Bullock ha realizzato in proprio, il secondo dei quali, Lonelyland, ripreso e pubblicato con grandi sforzi promozionali dalla Universal, gli ha valso il ticket per la serie A del rock and roll. Un lavoretto pulito, di educata scrittura pop cantautorale, appena percorsa da fremiti errebi, Lonelyland ha tutte le carte in regola per proiettare Schneider ben al di fuori dei confini di Austin.

Stessa sorte potrebbe capitare a Slaid Cleaves, bel giovanotto arrivato dalla costa est qualche anno fa, con una chitarra e le idee molto chiare: ora è artista del gruppo Rounder, gira regolarmente gli States in tour lunghi e capillari, e nel tempo libero posa come modello per collezioni di abiti country. Se Schneider incarna il prototipo del rocker timido e rassicurante, dolcemente macho, capace di scaldare il cuore alle mamme come alle figlie, Cleaves coniuga le stesse caratteristiche sul versante country, evitando accuratamente di indossare Stetson e cinturoni mentre intona gentili e correttissime melodie neo-tradizionaliste di stampo texan folk, buone insomma per tutte le stagioni. Difficile che arrivi a VH1, ma i canali di Country Music Television sono già alla sua portata.

Chi possa invece mandare in onda i videoclip degli 8 1/2 Souvenirs, francamente non sappiamo. Qualche idea forse l’aveva la RCA, quando li ha messi sotto contratto, pubblicando tutti i loro lavori, a partire da Happy Feet, dapprima live registrato (indovinate) al Continental, poi reinciso per la RCA. Guidati da Olivier Giraud, chitarrista francese espatriato ad Austin alla fine degli anni ’80, gli 8 1/2 Souvenirs mettono assieme jazz swing, errebi e pop, con citazioni esplicite da Django Reinhardt a Nino Rota, e sono riusciti ad affascinare anche Paolo Conte, che ha collaborato alla stesura di un brano, Dancin’, del loro terzo lavoro, Twisted Desire. Ci piacerebbe se tra gli emergenti di Austin, Tx, la capitale mondiale della musica dal vivo, ci fossero anche loro.

Mauro Eufrosini, fonte JAM n. 77, 2001

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