Cominciamo ad introdurre questo artista con qualcosa che tutti voi (spero) conoscete. Andate a prendere l’indispensabile dischetto Will The Circle Be Unbroken della Nitty Gritty Dirt Band del 1971, ascoltate il primo pezzo, Grand Ole Opry Song, e godetevi la splendida voce di Jimmy Martin accompagnato appunto dalla Nitty Gritty: questo brano è stato scritto da Hylo Brown agli inizi degli anni ’50 come tributo alla Grand Ole Opry e poi in seguito è diventato un classico di Jimmy Martin.
Questo è forse il suo pezzo più conosciuto, ma la carriera di questo artista è stata costellata di meritati riconoscimenti, ed anche purtroppo di una dose di sfortuna senz’altro eccessiva che non gli ha permesso di entrare nella leggenda. Tutti noi siamo soliti ammettere tra i grandi dell’epoca d’oro del bluegrass i nomi di Bill Monroe, degli Stanley Bros, di Flatt & Scruggs, di Reno & Smiley, e poi anche Jim & Jesse, Jimmy Martin, gli Osborne Bros e pochi altri: ebbene, a Hylo Brown è mancato veramente poco per far parte di questo gruppo…
Hylo Brown nasce il 20 aprile 1922 a Johnson County, nel profondo Kentucky, lo stesso luogo in cui anni più tardi vedrà la luce anche Loretta Lynn. Il suo vero nome è Frank Brown Jr. e cresce immerso nelle tradizioni musicali che permeano profondamente questa terra: ascolta i Monroe Brothers e i Blue Sky Boys, ma non disdegna Bradley Kincaid e persino i Sons of the Pioneers. Riesce ben presto a mettere in mostra il suo talento, tanto che a 17 anni debutta in una radio locale: per sei mesi ha uno spazio di 15 minuti ogni sabato sera.
Con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale la sua famiglia, come tante altre, si trasferisce a Springfield, Ohio, nel Midwest industrializzato. La musica però è irrinunciabile, e lui durante il giorno lavora come operaio in una fabbrica di munizioni militari e di sera e nei week-end canta accompagnandosi con la chitarra nei locali e nelle radio.
Proprio in questo periodo si guadagna il suo curioso soprannome, Hylo, grazie all’ampia estensione vocale, vale a dire la capacità di cantare entrambi le voci acuta (high) e bassa (low): mettendo insieme le lettere iniziali ‘hi’ e ‘lo’ ecco nascere Hylo.
Lui stesso racconta che in quel periodo aveva una trasmissione radiofonica alle cinque di mattina (!), ed il dj (che aveva difficoltà a rammentare i nomi, come chiunque a quell’ora), ricorda solo l’estensione della sua voce. Comincia quindi a dargli il soprannome che lo accompagnerà tutta la vita, contraddistinguendo una delle più importanti e riconoscibili voci del primo periodo bluegrass. A questo proposito è stupefacente ascoltare le registrazioni del ‘56-’57 con la sua interpretazione della canzone The Prisoner’s Song, oppure del tradizionale John Henry, con il falsetto alternato alla voce tenore per un effetto più drammatico.
Alla fine degli anni ’40 e per quasi un lustro ha un ottimo rapporto con Bradley Kincaid, uno dei più importanti pionieri del folk-country: si esibisce nella sua radio, suona come chitarrista nella sua band ed incide con lui per la Capitol Records, anche se il suo principale reddito è sempre dato dal lavoro in fabbrica.
Nel 1954 la svolta: il suo brano Lost To A Stranger convince Ken Nelson della Capitol a stipulargli un contratto. Registra alcune sessioni in studio, poi mette su un gruppo e comincia a lavorare regolarmente alle radio ed a fare concerti. Alcuni suoi singoli arrivano a piazzarsi abbastanza bene nelle classifiche.
Sembra che il successo sia arrivato, ma lui ha già 32 anni ed i suoi quasi coscritti Stanleys, Scruggs, Reno, Smiley sono già famosi e questa è la sua prima piccola sfortuna: se fosse riuscito ad iniziare la carriera con una grande casa discografica qualche anno prima, all’inizio della golden era del bluegrass, sarebbe riuscito ad affermarsi maggiormente. Inoltre quelli sono i tempi in cui esplode il rock’n’roll, gli spettacoli live in radio non vanno più e l’industria discografica della country music cerca canzoni che possano entrare nelle classifiche pop.
Si cercano nuove strade musicali, ed è curioso sentire come a fianco di registrazioni con strumenti acustici standard, Hylo incida anche sessioni in cui il banjo ed il mandolino sono sostituiti da una chitarra elettrica (no panic, anche Bill Monroe nel ’51 e nel ‘58 ha inciso con chitarra elettrica e organo).
Arriviamo al 1957 e Lester Flatt & Earl Scruggs incidono le armonie vocali in una sua registrazione, e lui restituisce il favore suonando il basso in alcune loro sessioni. Poi Hylo diventa il cantante del gruppo di Flatt & Scruggs, i Foggy Mountain Boys, e qui si presenta la sua più grande occasione.
A quei tempi Flatt & Scruggs sono sponsorizzati dalla Martha White Mills, una importante ditta di prodotti da forno, hanno un ampio giro di concerti e di trasmissioni radio e televisive e la loro popolarità è alle stelle, in un periodo durante il quale molte altre formazioni tradizionali trovano difficoltà di sopravvivenza economica.
Quando nel 1958 diventano moltissime le richieste per le loro apparizioni live negli spot televisivi, nasce l’esigenza di avere una seconda band, sempre sostenuta dalla Martha White. Questo onere ed onore va a Hylo Brown, messo a capo del nuovo gruppo che prende il nome di Timberlines.
I Timberlines sono formati da alcuni dei più noti sideman della storia bluegrass: Red Rector al mandolino, Jim Smoak al banjo, Clarence ‘Tater’ Tate al fiddle e Joe ‘Flapjack’ Phillips al basso. Comincia quindi un fittissimo giro di concerti (merita ricordare il loro intervento al Festival Folk di Newport), di spettacoli televisivi alternandosi con la band di Flatt & Scruggs, ed anche di registrazioni in studio.
Ma la sfortuna era di nuovo in agguato: nel 1959, la Martha White comincia ad utilizzare i nastri registrati con gli originali Flatt & Scruggs per gli spot in televisione, e questo significa l’interruzione del rapporto con la seconda band, quella di Hylo appunto, diventata oramai superflua. Se solo l’invenzione dei nastri registrati fosse stata ritardata per due o tre anni ancora, lui sarebbe riuscito davvero ad imporsi in pieno.
Hylo continua lo stesso a lavorare per un breve periodo come cantante di Flatt & Scrugg e ad esibirsi con i Timberlines. Nel 1960 con un’altra band, della quale fa parte anche un certo Norman Blake al dobro, registra ancora alcune sessioni per la Capitol, brani che rimarranno nel cassetto fino al 1991, quando la casa discografica tedesca Bear Family li metterà in due dischetti insieme a tutte le altre incisioni della sua carriera fatte per la Capitol.
Questi pezzi adesso noi possiamo ascoltarli sia originali e sia con la sovraincisione delle armonie vocali dei Jordanaires, un gruppo esclusivamente canoro specializzato in coretti di contrappunto.
Questi arrangiamenti risultano poco appropriati e addirittura stucchevoli, anche se coerenti con il periodo storico, e Hylo probabilmente li sopportava a malapena, dovendo in ogni caso scendere a dei compromessi con le esigenze commerciali di Nashville.
Siamo agli inizi degli anni ’60, ed in questa decade Hylo vede il suo successo scemare: la Capitol non gli rinnova in contratto e lui lavora ancora in piccoli teatri, nei club, nelle scuole ed occasionalmente in qualche festival.
Incide alcuni modesti album bluegrass per delle etichette minori, tra cui uno nel 1963 con i Lonesome Pine Fiddler ed altri verso la fine della decade per la Rural Rhythm, ma non è nulla in confronto alla popolarità di prima. Inoltre, il tempo che passa riduce progressivamente la sua ampia estensione vocale, particolarmente nei toni alti, ed a metà degli anni ’70 si ritira definitivamente.
E questa è l’altra sua sfortuna, il ritrovarsi a neanche cinquant’anni con una voce che non è più quella che gli aveva procurato il glorioso soprannome di Hylo.
Dopo alterni periodi di malattia, è tornato a vivere a River, nel Kentucky, vicino al luogo dove era nato, e può guardare indietro con nostalgia al tempo in cui era uno dei migliori artisti bluegrass in circolazione.
Hylo Brown in ogni modo è stato uno dei primi che ha cercato di sviluppare una propria strada nel terreno seminato e mirabilmente coltivato da Bill Monroe, privilegiando la parte più ‘country’, (anche per l’esperienza fatta con Bradley Kincaid): la stessa sua voce, così versatile e dallo stile morbido, gli permetteva di cantare egualmente bene sia l’high lonesome del bluegrass e sia il normale country.
Per poterlo conoscere ed apprezzare non sono molti i lavori che si possono oggi trovare su CD, più facilmente via Internet presso qualche grande store americano. Partiamo da Hylo Brown & The Timberlines 1954-60 della sempre meritoria Bear Family Records, che ci propone in due CD la sua discografia completa per la Capitol. L’ascolto è vario, dal bluegrass tradizionale ad alcuni pezzi più country-oriented fino ai compromessi commerciali degli ultimi tempi. Come il solito completa e ben fatta la documentazione contenuta nel libretto.
Molto interessante è Hylo Brown – In Concert, edito dalla Copper Creek, che riporta appunto il concerto tenuto al New River Ranch di Rising Sun, nel Maryland il 9 agosto 1959, con i Timberlines in forma smagliante: Tater Tate al fiddle, Jim Smoack al banjo e Jay Bailey al basso. Nonostante la copertina poco incoraggiante, è senz’altro il dischetto più piacevole, con le atmosfere live che maggiormente mettono in risalto la potenza di Hylo come vocalist e la carica emotiva che questi artisti sapevano suscitare nell’ascoltatore sia di allora sia di oggi.
Abbiamo poi la ristampa delle sue incisioni fine anni ‘60 per la Rural Rhythm: Hylo Brown – 20 Gospel Favorites ed anche Hylo Brown – 20 Old-Time Favorites, brani standard che danno vivida testimonianza di quel periodo. Poi ancora Hylo Brown – Thirty Pieces Of Silver, una collezione di gospel tradizionali, e non è da dimenticare la registrazione della sua esibizione al Festival Folk di Newport, contenuta in: Newport Folk Festival: Best of Bluegrass 1959-66.
Oltre a Hylo Brown ed Earl Scruggs nei tre CD troviamo anche tutti i grandi nomi del bluegrass di quel periodo: una vera prelibatezza!
Sono tutti dischi da ascoltare con attenzione, per non dimenticare un uomo che ha speso la vita per la musica, non solo straordinario cantante, ma anche ottimo chitarrista e prolifico compositore, con il quale la sorte non è stata molto propizia: in ogni modo uno di quelli che ha scritto, seppur in piccola parte, la storia della musica che noi amiamo.
Claudio Pella, fonte Country Store n. 61, 2002