Elizabeth Cotten

You’re gonna miss the songs I play… You’re gonna miss my playin’, you’re gonna miss my singing, you’re miss me walking, you’re gonna miss my everyday talk, you’re gonna say “Well, I wish Elizabeth was here”, and you gonna look and I won’t be there…” (When I’m Gone, Elizabeth Cotten, 1979)

Elizabeth ‘Libba’ Cotten è una delle leggende musicali americane più luminose e durature: a 90 anni compiuti ancora si esibisce costantemente ovunque negli Stati Uniti, suonando ancora i brani ormai storici che hanno influenzato in vari modi una miriade di chitarristi americani più o meno famosi.
Una delle pochissime chitarriste donne (insieme a Etta Baker, Lena Hughes, Algia Mae Hinton e, in un contesto leggermente diverso, Memphis Minnie) la Cotten è sicuramente stata, insieme a John Hurt e Gary Davis, una delle ispirazioni maggiori per molti chitarristi bianchi che negli anni ’50 e ’60, all’inizio della riscoperta di varie matrici tradizionali, hanno iniziato a riascoltare chitaristi fingerpicking neri e bianchi portando poi avanti la lezione in vario modo: chi recu­perando le forme tradizionali diffondendole con passione e sforzi etnomusicologici, come Mike Seeger, chi con intenti didattici, come Harry Taussing, Happy Traum, Stefan Grossman, chi evolvendo da quella stessa tradizione un linguaggio ‘contemporaneo’ ed intriso comunque sempre di american-music, come John Fahey, Leo Kottke, Peter Lang ed altri minori.

Di Elizabeth Cotten non parlano molto di solito i manuali didattici, e se lo fanno consigliano invariabilmente Freight Train come un ‘pezzo semplice’ da cui cominciare ad imparare la tecnica del fingerpicking, un po’ come per la sfortunata ed abusata My Creole Belle di Mississippi John Hurt; ma ad un’analisi più approfondita e corretta, si realizza come la musica della Cotten sia un punto d’arrivo e non di partenza, sintesi geniale di vari linguaggi musicali che hanno prodotto uno degli stili chitarristici americani più originali.
Anche Elizabeth Cotten prova come paradossalmente le incongruenze tecniche e strumentali e un modo autonomo di avvicinare gli strumenti e produrvi musica siano stati uno dei tratti principali ed emblematici di molti grandi musicisti tradizionali: la chitarrista ricorda che da piccola aveva assorbito una miriade di influenze musicali e strumentali, e rimpiange che qualcuno non le abbia insegnato nozioni musicali e strumentali; ma è reale che probabilmente non avrebbe suonato la stessa musica.
Libba suona in un modo che ha stupito chiunque, un modo in sé scomodo e privo di senso eppure funzionale ed efficace per lei: suona cioè la chitarra tenendola al contrario come un mancino, ma senza invertire l’ordine delle corde; questo vuoi dire che, oltre qualsiasi regola ed oltre qualsiasi logica (come si fa a suonare la chitarra così?! ) la chitarrista si ritrova ad avere le corde basse in basso e quelle acute in alto, cambiando radicalmente di conseguenza l’uso della mano (per lei la sinistra) che pizzica le corde.
Il risultato è a dir poco incredibile e assurdo: al contrario di qualsiasi fingerpicker, che pur in modo particolare e personale pizzica comunque i bassi col pollice e gli acuti con l’indice e medio (e a volte altre dita), la Cotten suona i bassi alternati con l’unghia dell’indice, e ricava le note melodiche su MI, SI e SOL con il polpastrello del pollice.

Questo è quello che è stato poi definito ‘two-fingerpicking’ o ‘Cotten-picking’, lo stile fingerpicking chitarristico americano per eccellenza, a mio avviso, insieme a quello di John Hurt e di John Fahey, la definizione e la prova di come e perché la chitarra americana si suoni in un modo unico e particolare, rispetto a tradizioni e musiche di altri luoghi.
La differenza primaria si chiama ritmo, sincopazione: anche se la tecnica della Cotten non porta ad una sincopazione così accentuata come per altri chitarristi tradizionali (pensate a Etta Baker, John Hurt, Blind Blake, Blind Boy Fuller), la concezione sonora basata sui bassi alternati (più o meno sincopati, con vari tempi e ritmi, ma comunque sempre con un ritmo) è essenzialmente americana ed in antitesi ad esempio con la tradizione strumentale della chitarra classica: un brano di chitarra classica ha sempre un tempo, ma un brano tradizionale fingerpicking ha in più un ritmo, una cadenza su cui si può spontaneamente battere a tempo un piede.
E mentre la chitarra classica si basa quasi sempre su percorsi melodici lineari, cioè su una linea melodica compiuta sulle corde acute ed un accompagnamanto di accordi e di note più o meno melodiche sui bassi, e il pezzo viene fuori dalla sovrapposizione di entrambe le cose, nella chitarra fingerpicking esiste un intreccio particolare: le note si incastrano, e spesso gli acuti acquistano senso proprio perché in relazione alla funzione dei bassi, che provvedono al ritmo, all’accompagnamento nelle tonalità degli accordi e costituiscono l’elemento portante dell’intera tecnica fingerpicking; spesso la melodia sugli acuti non è realmente completa ma sottintende note che non vengono realmente suonate ma che comunque escono fuori dal contrappunto con i bassi, producendo un tutto unico e non scindibile in parti compiute sovrapponibili come, ad esempio, nell’arrangiamento chitarristico di una partitura di Bach.

Tutto questo è meravigliosamente presente nella musica di Elizabeth Cotten, che ovviamente non ha ‘inventato’ il fingerpicking (nessuno lo ha fatto da solo) ma sicuramente ne ha dato una delle esposizioni più geniali, sintetizzando generi ed elementi musicali e ricavandone uno stile originale e personale.
Il repertorio della Cotten è curiosamente in bilico tra elementi musicali della cultura negra e di quella bianca: il suo stile tradisce il ricordo del ‘parlor-style’ della fine dell’800, elementi di country-blues, tematiche e brani tipici della old-time country music, stralci ragtime e inni religiosi di varia provenienza, definendosi come un piccolo compendio di american-music.
E proprio a seconda della scelta tematica dei brani essa tende a suonare in uno stile più bluesistico e ragtime, alternando indice e pollice, come in Wilson Rag o Washington Blues, o in uno stile quasi ‘parlor’, come in Spanish Flang Dang o nei brani religiosi, dove note acute e basse sono pizzicate prevalentemente insieme anziché alternate.

Nata presso Chapel Hill in North Carolina, Elizabeth Cotten iniziò la propria carriera quasi casualmente, quando andò a lavorare per la famiglia di Charles e Ruth Seeger, i cui figli Peggy e Mike sarebbero poi diventati due istituzioni della folk-music degli ultimi vent’anni.
Qui Elizabeth, che da giovane aveva imparato a suonare il banjo e la chitarra nel suo stile curioso e non ortodosso, ricominciò a suonare gradualmente, riportando a galla molti ricordi e brani ascoltati o imparati parecchi anni prima.
Il risultato, nel 1958, fu uno dei più bei dischi di chitarra tradizionale, Folksongs & In-strumentals With Guitar.
Prodotto da Mike Seeger per la Folkways, il disco è la realizzazione musicale di quanto dicevo prima, con uno stile da essa definito come ‘country ragtime’; ed in effetti Wilson Rag, Freight Train (il capolavoro per cui è famosa e che afferma di aver composto essa stessa), Oh, Babe It Ain’t No Lie, Going Down The Road Feeling Bad, Vastopol vedono un prevalere di frasi ragtime e country-blues, mentre altri brani ricordano più insistentemente lo stile ‘parlor’ (Spanish Flang Dang, Sweet Bye And Bye, When I Get Home, What A Friend We Have in Jesus).

Lo stile è relativamente semplice, ma tradisce un percorso lungo e multiforme, con innovazioni e particolarità tecniche che poi sono state riprese e sviluppate da altri.
Libba usa in senso esclusivamente strumentale le accordature aperte, la Open D (DADFAD) e la Open G (DGDGBD), con almeno due brani che ne sono sinonimo, rispettivamente Vastopol e Spanish Flang Dang; e oltre alla tecnica, è proprio la concezione di fondo che si ritrova in altri.
Il Fahey che attinge a mille forme musicali americane mischiandole ed elaborandole viene proprio da questa stessa concezione ed ha un debito enorme nei confronti della Cotten, nella cui musica si ritrovano influenze incrociate e la capacità di adattarle alla chitarra, cosa evidente proprio nella varietà tematica di un repertorio che contiene marce strumentali (Graduation March), inni religiosi (What A Friend We Have in Jesus, When I Get Home), retaggi ‘parlor’ (Spanish Flang Dang), progressioni ragtime (Wilson Rag) e country-blues (Going Down The Road Feeling Bad) ed addirittura brani old time (Ruben).
I dischi successivi, registrati dopo grossi in tervalli di tempo, confermano questa concezione: Shake Sugaree, uscito nove anni dopo, contiene eccellenti composizioni proprie come Washington Blues (un brano diviso in tre parti proprio come un ragtime) e Ontano Blues , ancora brani religiosi (Look And Live My Brother, Jesus Lifted Me, Til We Meet Again, Jesus Is Tenderly Calling) e brani più tipicamente bianchi: ad esempio Buckdance, ma soprattutto Boatman Dance e Ruben, il primo al banjo (come tre brani del primo disco) ed il secondo suonato con uno stile propriamente banjoistico adattato alla chitarra, in cui il basso suona le note melodiche accompagnato da un’alternanza costante delle prime due corde.

II terzo ed ultimo disco, uscito nel 1979, è la conferma di questo stile, con l’eterna Freight Train cantata con una voce stanca che commuove, Wilson Rag ampliata ed evoluta, ed una perla come Boddie’s Song, un arrangiamento delizioso in Open G di un brano tradizionale.
Elizabeth Cotten ha 90 anni, dicevo, ed ancora si esibisce in pubblico. Due anni fa, nel mio primo viaggio in America, in un agosto newyorkese con un caldo senza tregua, tre o quattro ore dopo essere arrivato a Manhattan, ho comperato una copia del Village Voice, il celebre giornale del Greenwich Village, e credo di aver rischiato l’infarto nel leggere che la sera successiva, a soli 9 ‘block’ da dove ero in quel momento, Elizabeth Cotten e Mike Seeger avrebbero suonato al famoso Folk City.
Assolutamente sconvolto da tanta fortuna, sono ovviamente andato ed ho assistito ad uno dei più bei concerti che io ricordi, con la Cotten che ha praticamente raccontato la storia della sua vita tra Freight Train e Washington Blues (senza che io riuscissi, ovviamente, a capire niente) e Mike Seeger che la accudiva con rispetto e con una punta evidente di dolcezza, nell’aiutarla a salire sul palco ed accordandole di volta in volta la chitarra tra un brano e l’altro mentre lei parlava al pubblico.
Il suo stile si è rivelato incredibilmente lucido e vivo malgrado l’età, ancora preciso tecnicamente e ricco di quella miriade di variazioni e di abbellimenti occasionali che caratterizzano un buon fingerpicker.

La voce è inevitabilmente stanca, e sembra che le mani accusino problemi nello schiacciare le corde; pure, in questi anni Ottanta in cui anche nel campo enorme della folk-music sono stati mischiati generi di ogni tipo, più o meno ‘progressivi’, la musica di Libba Cotten resta una delle poche testimonianze di una musica bellissima consumatasi in meno di un secolo e che ha solcato il cuore di migliaia di persone in tutto il mondo.

Discografia:

Album Solisti:
Folksongs & Instrumentals With Guitar (1958) – (Folkways FG-3526)
Shake Sugaree (1967) – (Folkways FTS-31003)
When l’m Gone (1979) – (Folkways FA-3597)

Patecipazioni:
VV.AA. – The Blues At Newport, 1964, Part 2 (1964) – (Vanguard VDS-79181)
Mike Seeger – The 2nd Annual Farewell Reunion (1973) – (Mercury SRM-1-685)
VV.AA. – At The New Morning Blues Festival (1979) – (Cat Music 81002/3)

Maurizio Angeletti, fonte Hi, Folks! n. 3, 1983

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