Waylon Jennings

E’ una cosa estremamente penosa per me scrivere di Waylon Jennings e dover usare il tempo passato, quindi anche se il giorno 13 Febbraio 2002 Waylon Jennings si è unito al grande Hank Williams e ad una sempre più numerosa (ahinoi) schiera di grandi della musica, voglio caparbiamente continuare ad usare il tempo presente, come presente sarà per sempre nei cuori di coloro che hanno amato – e tuttora amano – una country music fuori dagli schemi che regolano lo showbiz di Nashville, una musica fiera, indipendente, autonoma, coraggiosa, insofferente di qualsiasi restrizione artistica a favore di interessi commerciali sempre più lontani dal cuore della musica stessa.

Waylon Jennings, la carriera…

Quante volte abbiamo sentito dire che oramai la musica è in mano agli avvocati, più che ai musicisti? Waylon Jennings è un personaggio caparbio, cocciuto e tenace (da buon texano qual è) e già ai tempi dei suoi primi dischi per la RCA (metà anni ’60) impersona un musicista esordiente alla scalata del successo in un film che gli si adatta a meraviglia, The Nashville Rebel, del quale poi apparirà anche la colonna sonora omonima.

Già anni prima di esordire come solista, Waylon aveva suonato il basso nei Crickets di Buddy Holly, astro del rock’n’roll anni ’50 e suo conterraneo. Una sera, dopo un concerto in Texas, la band al completo doveva trasferirsi alla città dove avrebbe suonato la sera seguente, ma il piccolo aereo da turismo noleggiato allo scopo non aveva posto per tutti i membri del gruppo e fu l’ultimo arrivato (Waylon, appunto) ad essere scelto per coprire la distanza in macchina, in una gelida sera d’inverno e nel bel mezzo di una tormenta di neve. Quella che sembrò lì per lì una dannata sfortuna si trasformò nella differenza tra la vita e la morte, poiché il piccolo aereo precipitò al suolo per le pessime condizioni atmosferiche e nessuno dei suoi occupanti riuscì a salvarsi: evidentemente non era ancora tempo che l’imberbe Waylon entrasse a far parte della ‘band in the sky’.

Waylon Jennings resta con la RCA dalla metà degli anni ’60, fino al 1983 e riesce a conquistarsi ben presto un’ampia autonomia artistica che gli consente di fare dischi secondo i suoi stessi desideri.

Dai trascorsi country-folk culminati nel disco con i Kimberleys (Country-Folk – 1969) dove ripropone classici quali MacArthur Park di Jimmy Webb (la riprenderà poi nel 1976 in Are You Ready For The Country) e Games People Play di Joe South, al raggiungimento di una consapevolezza che riguarda i primi traguardi della sua maturità artistica di interprete, il passo non è lungo, tanto è vero che le sue versioni di classici country quali Lovin’ Her Was Easier, Casey’s Last Ride e Sunday Morning Comin’ Down (tutte tre partorite dalla penna di Kris Kristofferson e contenute nel grande The Taker/Tulsa del 1971) focalizzano su di lui l’attenzione dei personaggi giusti del giro che conta.

Nel 1972 è lo stesso Willie Nelson (all’epoca anche lui con la RCA) a scrivere le note di copertina per l’album di Waylon Good Hearted Woman, dove l’omonimo brano segnerà ufficialmente l’inizio di quel filone di musica country prettamente texana, che sarà in seguito definito come ‘outlaw’, in quanto in netta antitesi con le sdolcinature nashvilliane dell’epoca, periodo in cui la capitale della country-music era indiscutibilmente Nashville.

Dell’anno 1973 è un altro album seminale nella vastissima produzione di Waylon Jennings, quell’imperdibile gioiello intitolato Honky-Tonk Heroes, dove Waylon reinterpreta ben nove brani dell’altrettanto grande honky-tonk singer-songwriter texano Billy Joe Shaver, rendendo finalmente giustizia a capolavori senza tempo quali Old Five And Dimers (Like Me), Willy The Wandering Gypsy And Me (dedicata a Willie Nelson, pur con la grafia volutamente errata), Lowdown Freedom, You Ask Me To, Ride Me Down Easy ed il title track su tutte, Honky-Tonk Heroes, ben presto assorta al rango di brano-manifesto di un preciso messaggio artistico e sonoro.

Honky-Tonk Heroes è stato recentemente ristampato in CD e resta sicuramente uno dei migliori album di Waylon Jennings.

Con This Time (1974), Ramblin’ Man (1974) e Dreamin’ My Dreams (1975) Waylon assume il controllo diretto sui suoi dischi producendoli con il solo aiuto di amici fidati (ancora Willie e Jack Clement) e pasturando la sogghignante RCA (che fa buon viso a cattivo gioco, visto che le teorie autonomiste di Waylon ‘vendono’) con chicche a firma dello stesso Willie (Pick Up The Tempo, Heaven And Hell, Walkin’ e It’s Not Supposed To Be That Way, le prime due delle quali troveranno posto in quell’icona dell’outlaw country che risponde al titolo Wanted – The Outlaws, registrato nel 1976 da Waylon Jennings, Willie Nelson, Tompall Glaser e la moglie di Waylon Jessi Colter, poi ristampato in CD nel 1996 con l’aggiunta di ben dieci brani fra outtakes e novità), a firma Lee Clayton (If You Could Touch Her At All), ancora Billy Joe Shaver (Slow Rollin’ Low) e J.J.Cale (Louisiana Woman), tutte tratte da This Time, mentre Ramblin’ Man ci regala I’m A Ramblin’ Man (diventerà poi uno dei biglietti da visita del Waylon dal vivo), la sua stessa Rainy Day Woman, il bluesaccio sudista di Midnight Rider (Greg Allman) ed il rifacimento del classico country di Bob McDill Amanda.

Di Dreaming My Dreams ci piace ancora ricordare un altro intramontabile brano sull’evoluzione della country music, Are You Sure Hank Done It This Way?, l’autobiografica Waymore’s Blues ed un’altra song, dedicata al padre del western swing, Bob Wills, che resterà ad imperitura memoria del nome del nostro, Bob Wills Is Still The King. Il disco viene registrato dal vivo ad Austin, TX nel 1974, ma vede la luce con gli inizi del 1975, segnando così un triennio irripetibile per la creatività di Waylon.

Nello stesso 1975 viene stampato il disco singolo Waylon Live, con eccellenti performances di brani quali T For Texas (Jimmie Rodgers), Me And Paul e Pick Up The Tempo (Willie Nelson), Good Hearted Woman (Waylon & Willie), Me & Bobby McGee (Kris Kristofferson), il traditional The House Of The Risin’ Sun e la recente ed applauditissima Bob Wills Is Still The King.

A distanza di ben ventiquattro anni, la Buddah Records ristampa il concerto nella sua veste originale contenente ben 20 brani (il vinile avrebbe dunque dovuto essere doppio), dove rivedono la luce altrettanto interessanti versioni di pezzi quali Lovin’ Her Was Easier (Kris Kristofferson), Lonesome On’ry And Mean e Never Been To Spain. La voce di Waylon Jennings è in perfetta forma e la sua verve appare inarrestabile: un altro documento assolutamente imperdibile!

Dello stesso 1976 è anche una colonna sonora di un film che vede protagonista l’ormai anziano singing cowboy Roy Rogers, intitolato McKintosh & T.J., dove la traccia musicale della pellicola è affidata a Waylon stesso (All Around Cowboy, Ride Me Down Easy e Bob Wills Is Still The King), a Willie Nelson (Stay All Night è un vecchio pezzo del repertorio dei Texas Playboys di Bob Wills) ed alla band di Waylon, gli Waylors (Back In The Saddle Again, Gardenia Waltz, Shopping e Crazy Arms). Disco non imperdibile, ma piuttosto raro.

E’ ancora del 1976 Are You Ready For The Country?, con Waylon a reinterpretare il canadese Neil Young in chiave decisamente texana, a riproporre il classico di Jimmy Webb MacArthur Park (Revisited) ed a regalarci un altro classico della tradizione sudista (leggi Marshall Tucker Band), Can’t You See.

E’ solo il preludio all’uscita di un ulteriore album imprescindibile della discografia del nostro texano, quel Ol’ Waylon targato 1977, che contiene un altro dei suoi immarcescibili hits: Luckenbach, Texas (Back To The Basics Of Love) con la voce di Willie a duettare.

Proprio a proposito di questo duetto credo sia simpatico sottolineare, al di là della profonda e solidissima amicizia che li lega, la continua rivalità ‘artistica’ fra i due pards, nessuno dei quali sembra disposto a passare in secondo piano rispetto all’altro, tanto è vero che il ritornello cantato da Waylon recita: “Let’s go to Luckenbach, Texas/ WAYLON and Willie and the boys…”, mentre l’esecuzione dello stesso ritornello a cura di Willie propone un ordine di personaggi diverso: “Let’s go to Luckenbach, Texas/WILLIE and Waylon and the boys…”. Il brano è di per sé talmente mastodontico nel suo impatto, che altre performances non certo da meno, quali Lucille (portata al successo da Kenny Rogers), Sweet Caroline (classico del passato a nome Neil Diamond), Till I Gain Control Again (classico del presente a firma Rodney Crowell) ed il medley Presleyano That’s Alright/My Baby Left Me passano quasi in secondo piano: da avere a tutti i costi.

Il 1978 ci porta un altro grande disco di Waylon, I’ve Always Been Crazy, ma coincide purtroppo con l’inizio di un periodo di inaridimento della vena creativa del leone outlaw. Troviamo ancora ‘zampate’ importanti quali il title-track, il medley dei successi di Buddy Holly eseguito con i Crickets originali ed un paio di covers eccellenti quali Tonight The Bottle Let Me Down (Merle Haggard) e I Walk The Line (Johnny Cash), ma per il resto non c’è molto altro.

Inizia dunque una serie di dischi poco ispirati, pur punteggiati da qualche brano di successo, come il tema della serie TV The Dukes Of Hazzard (da Music Man del 1980), dove Waylon prestava la sua voce quale ‘narratore’.

Nel 1985 l’etichetta tedesca indipendente Bear Family pubblica una serie di ben quindici volumi dedicati alla ristampa di tutto il materiale che Waylon aveva registrato con la RCA, ma lo stesso Waylon si imporrà fino alla fine, osteggiando eventuali ristampe dello stesso in formato CD.

L’anno 1986 coincide con la dipartita di Waylon dalla RCA ed il conseguente domicilio presso un’altra major, la MCA. Mai cambio di una semplice consonante (da R ad M) portò tanta differenza e Waylon stesso è il primo ad esternare le sue perplessità sul futuro, a cominciare dal titolo del disco, Will The Wolf Survive?, preso a prestito da un brano dei Los Lobos, che Waylon reinterpreta per l’occasione.

Il livello qualitativo non si discosta dai precedenti lavori dell’ultimo periodo. Bella la voce di sempre, con un paio di occasioni da ricordare: la cover di The Devil’s Right Hand (Steve Earle) ed appunto il title-track, ma Waylon non compone più, anche se poco aveva composto anche in passato.

Poco aggiunge, di lì ad un anno, Sweet Mother Texas, contenente un’ipnotica versione di I’m On Fire (Bruce Springsteen), Living Legend (Kris Kristofferson) e Hanging On (Tony Joe White). Be Careful Who You Love, eseguita in coppia con Johnny Cash, non riesce a far decollare il disco, che rimane così, senza lode e senza infamia, ad ingrossare la già pingue discografia del nostro outlaw.

Se il seguente Hanging Tough scivola via fra covers d’autore, nel 1987 esce A Man Called Hoss, una sorta di autobiografia (composta a quattro mani con l’aiuto del fido Roger Murrah) diligentemente suddivisa in capitoli, come fosse un libro vero e proprio. A proposito della richiesta di un giornalista circa lo scrivere la propria autobiografia, Waylon una volta rispose: “Non potrò scrivere la mia autobiografia, citando nomi e cognomi, fino a quando non avrò più di novant’anni, perché sarebbero troppi i mariti cornuti che scoprirebbero i tradimenti delle loro mogli”. Il disco è più interessante e gradevole dei precedenti, ma ben lontano dai fasti ai quali ci avevano abituato gemme tipo Honky Tonk Heroes.

Nel 1988 il vinile va in pensione per Waylon ed il commiato da questo storico supporto coincide con l’uscita di Full Circle, quasi la conferma del compimento di un ciclo, siglato da un bellissimo brano autobiografico, Hey Willie (evidentemente dedicato a Willie Nelson), nel quale Waylon si rivolge all’amico invitandolo a ripercorrere i bei momenti passati insieme ed a riprendere le vecchie abitudini: una specie di invito a… darsi una mossa!

Nel 1990 Waylon si trasferisce alla EPIC, dove resta per un paio di albums, The Eagle e Too Dumb For New York City…, senza peraltro lasciare traccia evidente di sé.

Il 1994 lo vede riaccostarsi alla RCA per un nostalgico come-back intitolato Waymore’s Blues (Part I), dove Waylon torna a comporre tutti brani, con l’eccezione di Up In Arkansas, di Tony Joe White, che collabora anche alla stesura di Endangered Species. Da segnalare una suggestiva ballata acustica, in pura vena Wayloniana, dal titolo Old Timer.

Il 1996 lo vede associato alla neonata Justice Records e compagno di scuderia dei vecchi amici Willie Nelson e Kris Kristofferson. Anche in questo caso il titolo del disco potrebbe essere interpretato: Right For The Times potrebbe stare a significare che il contratto con una minuscola indie è ‘adatto ai tempi’, realizzato con pochi amici fidati, fra i quali la moglie Jessi Colter e Jesse Dayton. Niente male la grinta di Hittin’ The Bottle Again, la cover deliziosa della famosissima The Boxer (Paul Simon) è sempre grande ed altrettanto stimolante risulta Cactus Texas nella sua acusticità tipica delle sonorità wayloniane.

A distanza di un altro paio d’anni Waylon pubblica Closing In On Fire per l’etichetta Ark 21, ma più che un disco DI Waylon Jennings, sembra quasi un disco CON Waylon Jennings. Ben flebili sono i riferimenti al passato che ha reso famoso il nostro outlaw: la presenza di ospiti di riguardo quali Sheryl Crow suona più fuorviante che altro. La voce è ancora quella, profonda ed inconfondibile, ma del resto è rimasto ben poco.

Il nostro Waylon, per un ironico scherzo del destino, ci lascia come testamento un disco dal VIVO, intitolato, neanche a farlo apposta, Never Say Die – Live. E’ un lascito possente, grintoso, elettrico e volutamente personale, come personale era stato l’approccio di Waylon a qualsiasi cosa egli si fosse avvicinato. Lo aiuta in questa sua ultima fatica la moglie Jessi (che sta a Waylon esattamente come June Carter sta a Johnny Cash, in termini di saldo legame con la realtà quotidiana ed i sani principi, dettagli questi che spesso sfuggivano ai due grandi durante i precedenti anni di giovinezza), alla quale Waylon aveva dedicato il personaggio femminile virtuoso di Good Hearted Woman.

Ancora della partita risultano John Anderson, Travis Tritt ed il duo di new-country texano Montgomery Gentry. Il sound pesca in maniera importante fra sonorità fiatistiche che fanno storcere un poco il naso ai puristi del ‘vecchio’ repertorio, ma quando Waylon attacca Amanda, la succitata Good Hearted Woman (con tanto di pubblico cha batte le mani a tempo), la classicissima (I’m A) Ramblin’ Man o l’autobiografica I’ve Always Been Crazy (eseguita con Travis Tritt), allora tutti sono dalla sua e sono disposti a perdonare a Waylon (qualora ce ne fosse bisogno) eventuali deviazioni artistiche.

SIDE PROJECTS:

Anche se non necessariamente in ordine cronologico, perché spesso la data di registrazione non coincide con quella di pubblicazione, andiamo a frugare un poco fra le curiosità della produzione di Waylon.

Nel 1985 Waylon si trova di passaggio a Nashville ed incide dodici covers di brani di Hank Williams. I nastri non troveranno mai la strada della commercializzazione fino alla realizzazione di Ol’ Waylon Sings Ol’ Hank (WJ-1001CD), stampato in proprio dallo stesso Waylon in anni non troppo lontani. La grafica eufemisticamente definita spartana e la veste quasi ‘da bootleg’ ci pregiudicano di conoscere i nomi dei session-men, ma il prodotto merita di essere cercato.

Un altro documento interessante, questa volta dal vivo, risulta la ristampa in CD – ad opera della benemerita Bear Family (BCD-16385 AH) – del mitico Live At Jd’s, registrato verso la metà degli anni ’60 all’omonimo locale di Scottsdale, AZ e dato alle stampe digitali solo nel 2000. Il sound è molto lineare e quasi infantile, ma già si sentono i presupposti di quello che ci si potrà aspettare per il futuro. Solo due pezzi, Down Came The World (a firma di Waylon e Bozo Darnell) e Just To Satisfy You (Waylon e Don Bowman) vedono il nostro in veste di compositore, mentre il resto dei ben venticinque brani restanti riguarda covers più o meno eccellenti. Buck Owens, Bob Dylan, Charlie Williams, Johnny Cash, Harlan Howard, Hank Cochran e lo stesso Willie Nelson vengono abbondantemente saccheggiati per un risultato globale di sicuro interesse e non solo strettamente collezionistico.

Episodio completamente a parte e tipicamente frutto della cultura statunitense è l’album intitolato Cowboys, Sisters, Rascals And Dirt (RCE 74041 70602-2) del 1985, che Waylon non solo interpreta (in compagnia del figlio Shooter), ma anche compone, rivelando un senso dell’umorismo non comune. Documento puramente collezionistico, anche per il gradevole libretto allegato al CD.

Di ben altro spessore artistico risultano i dischi della trilogia che vede Waylon insieme ai vecchi amici Willie Nelson, Johnny Cash e Kris Kristofferson nella compagine degli Highwayman (dal titolo dell’omonimo brano di Jimmy Webb che apre il loro album di esordio).

Dal 1985 al 1995 i quattro hanno prodotto solo tre dischi con questa denominazione, ma si tratta di veri e propri capolavori. Dal primo ed omonimo album non sono davvero in grado di escludere un solo brano dalle fatidiche cinque stellette. Se proprio vogliamo spaccare il capello in quattro, potrei avanzare la candidatura della conclusiva The 20th Century Is Almost Over, ma il resto è tutto di primissima qualità.

Si tratta di covers davvero eccellenti, da The Last Cowboy Song a Jim, I Wore A Tie Today, da Big River a Against The Wind, da Deportees alla superlativa Desperados Waiting For The Train.

Album assolutamente imperdibile, da portare con sé nella classica isola deserta.

A cinque anni di distanza dal primo, anche per motivi di concomitanti impegni solistici dei quattro, esce il seguito di Highwayman, intitolato – senza molta fantasia – Highwayman 2. Il prodotto è leggermente inferiore al suo predecessore, il che significa che rimane comunque un ottimo disco, con covers e brani originali equamente distribuiti, dove i quattro titolari si alternano e si mescolano nel ruolo di lead vocalist.

Waylon firma Angels Love Bad Men (Jessi Colter è sempre nella sua mente) insieme a Roger Murrah, ma altrettanto degna di nota è la cover di Silver Stallion (Lee Clayton), la ripresa di Anthem 84 (Kris Kristofferson), la grande We’re All In Your Corner Tonight, dedicata al sentimento dell’amicizia in generale, ma che assume un significato particolarmente toccante in questo contesto. Non dimentichiamo poi American Remains, popolata delle figure che rappresentano gli stereotipi dell’Americano-tipo; i due brani a firma Willie Nelson, Two Stories Wide e Texas, vitalizzati dalla inconfondibile gut-string guitar del vecchio texano.

Dopo i soliti cinque anni e per i soliti motivi di impegni professionali, esce The Road Goes On Forever ed è un altro gioiello. Waylon firma da par suo la ballata acustica ed introspettiva I Do Believe, inconfondibilmente wayloniana fino al midollo ed è l’unico episodio che lo vede compositore, ma le esecuzioni sono al massimo livello. Infatti è dal suo repertorio che deriva il ripescaggio di The Devil’s Right Hand (Steve Earle) con le voci in gran spolvero.

Live Forever porta la firma di Billy Joe Shaver, altro nostro beniamino che ultimamente ha dovuto sopportare colpi incredibili dall’avverso destino (la morte del figlio, della madre e della moglie nell’arco di poco più di un anno). La versione è naturalmente acustica, con il dobro di Robbie Turner, steeler ufficiale di Waylon, che fa faville.

Waylon canta la bella ballata di Kevin Welch Everyone Gets Crazy come solo lui sa fare, mentre il blues di It Is What It Is si discosta non poco dal tracciato noto. Tutti i brani sono eccellenti, ma una menzione particolare la merita il title-track, opera di Robert Earl Keen Jr., dove ancora una volta le voci dei quattro cavalieri si intrecciano, si allontanano, si scambiano i ruoli, per creare un amalgama irripetibile: The Road Goes On Forever

Nel 1999 esce un album che stazionava nei classici cassetti pieni di inediti degli studi Pedernales (di proprietà di Willie) da quasi dieci anni. Si dà il caso che in quel periodo Billy Joe Shaver ed il figlio Eddy stessero registrando materiale per un prossimo album. Durante un weekend Willie capitò per caso, seppe del progetto ed immediatamente vi prese parte, con voce e chitarra. Dopo poco tempo lo stesso capitò con Waylon, di passaggio da quelle parti ed il gioco fu fatto. Quando Kris Kristofferson passò da Austin e seppe del progetto in cantiere, non seppe resistere al desiderio di cantare alcune delle sue canzoni preferite scritte da Billy Joe e così fu completato Honky-Tonk Heroes (Pedernales Records FFE 7008-2), degno side-project degli Highwayman all’insegna della qualità sempre di altissimo livello.

Il duetto è sempre stato una forma di esibizione molto popolare nel panorama della country-music: George Jones e Tammy Wynette, Porter Wagoner e Dolly Parton, Merle Haggard e Leona Williams solo per citare alcune coppie di grande rinomanza artistica.

Nel 1978 Waylon Jennings e Willie Nelson giocano la carta dell’album in duetto con l’album Waylon & Willie, dove i due intrecciano e si scambiano il ruolo di lead-vocalist con risultati eccellenti. Da questo disco, originariamente edito in vinile e poi ristampato in CD, è tratto il mega hit Mammas, Don’t Let Your Babies Grow Up To Be Cowboys, uno dei singoli più venduti della musica country, con i due outlaws che si alternano alla voce, in un brano scritto da Ed Bruce, dalla moglie Patsi e da Ron Peterson.

Di Waylon compaiono l’accattivante Looking For A Feeling ed un curioso parto a quattro mani con Willie, dal titolo I Can Get Off On You. Da segnalare anche Don’t Cuss The Fiddle, a firma Kris Kristofferson, che utilizza la melodia di Good Hearted Woman per un nuovo testo, che si conclude con l’ammissione di aver rubato la canzone di qualcun altro da parte dello stesso Kris. Il disco si conclude poi con The Wurlitzer Prize, eseguita magistralmente dallo stesso Waylon. L’album è molto più che decoroso, un buon prodotto anzi, che diventa però imperdibile per la presenza di Mammas, Don’t Let…

Per il 1982 i due amici trovano il tempo di far uscire il seguito di questo progetto a due e vede la luce W.W.II, che si riferisce evidentemente alle iniziali dei due, ma che rappresenta anche l’abbreviazione in lingua Inglese delle parole World War II (Seconda Guerra Mondiale). Waylon appare alla voce solista in ben sei brani, fra i quali si elevano May I Borrow Some Sugar From You e la remake della The Last Cowboy Song di Ed Bruce. In coppia i due eseguono invece la celeberrima Sittin’ On The Dock Of The Bay (Otis Redding) in una versione da brividi – soprattutto ad opera di Waylon – The Year Clayton Delaney Died (Tom T.Hall), Heroes e Write Your Own Songs, scritta da Willie ed incisa anche dagli Asleep At The Wheel. Il disco è bello, ma inferiore al precedente.

L’anno seguente vede la luce un altro disco a nome dei due, ma mentre i primi due erano accreditati a Waylon Jennings & Willie Nelson (ed erano registrati per la RCA, che aveva Waylon sotto contratto), questo è attribuito a Willie Nelson With Waylon Jennings e viene realizzato dalla Columbia, che annoverava Willie nella sua scuderia all’epoca. Take It To The Limit comprende ‘solo’ covers, ma che covers! Già il titolo è quello del classico di Eaglesiana memoria, con i due che si alternano alla voce solista, per riunirsi poi nel ritornello.

Willie ricama con la sua fida Trigger, la sconquassata gut-string guitar (chitarra con le corde di budello) che lo segue fedelmente da oltre quarant’anni, Mickey Raphael si fa sentire con la sua armonica e Waylon canta con una voce squisita. Mancano i falsetti originali di Randy Meisner, ma la versione è eccellente, nonostante i coretti femminili, dei quali mi sentirei di fare a meno.

In Why Baby Why i due amici non ci fanno rimpiangere la versione originale di George Jones ed altrettanto si può dire per un classico quale Old Friends di Roger Miller, che prende nuovo vigore e significato dall’interpretazione dei due, alla luce della consapevolezza del legame che li unisce. Fino al 1991 i due non registrano più un album intero insieme, ma Clean Shirt (inciso per l’EPIC) li riporta insieme.

Il disco è molto piacevole e ben strutturato: Waylon compone di nuovo in compagnia dei vari Willie, di Troy Seals e di Max D. Barnes. Nascono così dei piccoli gioiellini quali If I Can Find A Clean Shirt (song autobiografica a proposito delle frequenti scappatelle galanti dei due across the border), I Could Write A Book About You, ancora autobiografica per l’amicizia di Waylon e Willie, Tryin’ To Outrun The Wind, già incisa in un oscuro album dei Glaser Brothers e qui riportata a rinnovato splendore dalla performance vocale dello stesso Waylon.

Non manca poi una nota che acquista nel tempo il sapore della tragedia: Put Me On A Train Back To Texas porta la firma di Billy Nelson, il figlio di Willie, suicidatosi la sera della vigilia di Natale di pochi anni dopo.

Nel 1976, quando ancora Waylon era sotto l’ala protettrice della RCA, vede la luce un album storico per la country music texana: Wanted! – The Outlaws; il disco segna la nascita ufficiale del movimento del cosiddetto ‘outlaw-country’. Attribuito a Waylon Jennings, Willie Nelson, Jessi Colter (moglie di Waylon) ed a Tompall Glaser, l’album è un manifesto concettualmente irripetibile, vuoi per l’altissimo valore delle performances – soprattutto quelle di Waylon e di Willie – vuoi per il seguito di proseliti che trascinerà in direzione di Austin, novella capitale di questa corrente stilistica così alternativa e dissacratrice nei confronti dei dogmi nashvilliani che avevano, fino ad allora, governato il business della musica country.

Troviamo qui raccolti alcuni momenti magici della carriera di Waylon Jennings: l’introduttiva ed acustica My Heroes Have Always Been Cowboys brilla di luce propria e Waylon la canta in completa solitudine, fatta eccezione per il ritornello, con una steel guitar che si perde in sottofondo ed una presenza più che discreta del basso, relegato al mero ruolo di tenere il tempo.

Prosegue ancora Waylon con la ripresa della sua ‘poster-song’, quella Honky-tonk Heroes che gli è rimasta appiccicata addosso come una seconda pelle. La chitarra acustica, il fiddle che salta fuori dal nulla, il basso che si improvvisa prima donna ed il dobro che fa faville dapprima fanno pensare ad una rilassata ballata acustica e sognante, ma l’improvvisa ed imprevedibile entrata della chitarra elettrica e della batteria ne fanno una monster-song, abbinate alla grintosissima voce del nostro. La ciliegina sulla torta la mette Mickey Raphael, armonicista di Willie, che fa davvero faville: versione epica!

Waylon si ripresenta alla voce solista, in duetto con Jessi, per la rilettura di un classico che fu a suo tempo registrato anche dal grande Elvis Presley. Suspicious Minds è una grande song e la coppia di cantanti in questione ne rende i contenuti in modo esemplare, con arrangiamenti vocali sontuosi.

Waylon Jennings si ripresenta poi con Willie in un altro duetto, che potrebbe sembrare registrato dal vivo, se non fosse che il missaggio dei tre momenti in cui entrano gli applausi ne rivela tutta l’artificialità. Poco importa a noi ascoltatori, in quanto la song risulta corposa e possente ed i due pards hanno due voci eccellenti.

Ancora i due in duetto (Willie compare solo in chiusura) per un pezzo a firma di Willie, Heaven And Hell, che gode di un arrangiamento ben scandito dal basso e dall’armonica del solito Mickey Raphael. Me And Paul e Yesterday’s Wine sono classici di Willie senza tempo ed hanno tanto bisogno di presentazione quanto il Papa a Roma.

Per quanto riguarda il 1976 e le performances di Waylon (e Willie) il discorso si dovrebbe chiudere qui, ma a distanza di ben venti anni la RCA ristampa l’album in versione CD rimasterizzata e con l’aggiunta di ben nove tracce che non avevano trovato posto sul vinile originale, aggiungendo poi, per buona misura, la registrazione (nuova di zecca) di Nowhere Road di Steve Earle, che vede l’autore affiancare i due outlaws con risultati stellari. Fra le outtakes recuperate dalla polvere di due decadi, tornano a brillare la languida e cadenzata Slow Movin’ Outlaw (Waylon canta da solista), triste ed amara ballata dedicata alla consapevolezza dell’inesorabile passare del tempo, la rilettura di un altro brano-chiave della discografia di Waylon, (I’m A) Ramblin’ Man, i duetti gradevolissimi di Under Your Spell Again e I Ain’t The One fra Waylon e Jessi ed altri due gioiellini di Willie, You Left A Long, Long Time Ago e Healing Hands Of Time.

Nowhere Road, che chiude il CD, è una forza della natura: Richard Bennett e lo stesso Steve Earle lavorano alla chitarra , Mickey Raphael soffia nella sua armonica basso, Robbie Turner ci dà dentro alla pedal steel, Gary Tallent (sì, proprio lui) pompa il suo basso a mille mentre Greg Morrow e Ray Kennedy si occupano della batteria e delle percussioni. Su tutto ciò si elevano le voci di Waylon e Willie in un ennesimo duetto da brivido. Trovo poi molto tenera la foto in bianco e nero sull’interno della confezione del CD (in corrispondenza dell’alloggiamento del dischetto stesso), che ritrae Willie con tanto di occhialini (eh, gli anni passano…) e Waylon che risulta quasi eccessivo, con il berretto con la visiera rivoltata, versione ‘early Jovannotti’, quasi volesse aggrapparsi con tutte le forze ad una gioventù oramai piuttosto passata.

Le partecipazioni di Waylon Jennings a registrazioni di suoi colleghi sono innumerevoli, ma può essere interessante citarne una in particolare, datata 1976, dove Waylon appare in un singolo accreditato a Duane Eddy. Waylon canta in You Are My Sunshine (ELEKTRA E-45359) insieme a Duane ed a sua moglie, Jessi Colter. Il disco è attribuito a “Duane and some very good friends”, affermazione quanto mai azzeccata, in quanto la signora Jessi Colter ha scelto questo nome come nome d’arte, visto che fino al suo precedente divorzio, l’anagrafe la conosceva come Mirriam Eddy, moglie di Duane Eddy, appunto.

Non mi sembra rispettoso concludere con una citazione ‘piccante’ questo modestissimo tributo ad un personaggio della levatura di Waylon Jennings. Mi piace invece riproporre il testo di un brano scritto da George Jones e dedicato a quella elite artistica che ha fatto la storia della musica country. George si domanda, non senza un’ombra di tristezza, “…who’s gonna fill their shoes?…”:

“You know this ol’ world is full of singers
But just a few are chosen
To tear your heart out when they sing
Imagine life without ‘em
All your radio heroes
Like the outlaw that walks through Jessi’s dreams…”

Dino Della Casa, fonte Country Store n. 62, 2002

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