Pistoia Blues Festival

C’era una volta una rossa spumeggiante che regalava a tutti lunghi momenti di piacere…No, non è una birra, e neanche una compiacente fanciulla, bensì una Strato del ’63, la chitarra che quest’anno ha inaugurato il festival. La storia comincia quando appare tra le mani del suo proprietario, Roberto Luti, e suona il blues per il folto pubblico raccolto in Piazza del Duomo, Pistoia, aprendo ufficialmente la rassegna.
Niente di particolare, se non fosse per una questione di età: Roberto, il fratello Simone e il batterista Rolando Cappanera superano a malapena i quarant’anni in tre! Ed è ben appropriato, dunque, il nome di First Experience. Dopo di loro sale sul palco John Hammond con la sua acustica e la National di metallo, trascinando la gente con voce e armonica lungo la storia delle radici del blues, seguito da Otis Clay, grande interprete del soul accompagnato da una bella band, che esegue i suoi classici, lunghi medley, tutti dinamica e stretching’ dei tempi. Tiene il pubblico sulla corda da esperto showman con la sua grande voce e qualche classico come In The Midnight Hour o Take Me To The River. Poi, uno degli eventi annunciati, Edo il rinnegato che ritorna per un attimo alle origini e ripropone alcune delle sue canzoni più belle in solitudine, chitarra, armonica e kazoo.
Nel resto del suo set saranno in evidenza i suoi due ottimi chitarristi, Luciano Ninzatti e Lucia Bardi.

Alla fine della serata c’è sempre il dessert e B.B.King, con la carriera non indifferente che si ritrova sulle ampie spalle e le numerose tournée già effettuate in Italia, è tuttora un grande beniamino delle nostre platee. E la sua chitarra canta ancora, eccome. Il suo classico show vede la gente gasata a cantare e battere il ritmo, tutti i musicisti precedenti sparsi per il palco ad ascoltare o a studiare i segreti di questo grande maestro che è anche un uomo pieno di semplicità e calore, e che alla fine chiama con sè per una jam (peraltro prevista) Edoardo Bennato, Otis Clay e Jeff Healey, arrivato con un giorno di anticipo forse proprio per questa serata. La session comprende fra l’altro When Love Comes To Town e Signor Censore di Edoardo, con l’aggiunta dell’armonica di Andy Forest, vero folletto nonché speaker e showman. Tutto finisce con un abbraccio fra B.B. e Healey.

In apertura del secondo giorno un nutrito gruppo di fans con tanto di striscioni saluta l’arrivo di Tolo Marton, uno dei pochi chitarristi nostrani capaci di strapazzare a dovere il suo strumento e tirarne fuori della musica, seguito a ruota da John Martyn, in una serata decisamente sfortunata. Giunto per un disguido senza strumentazione né batterista (un sostituto viene `arruolato’ su due piedi) lo scozzese si trova a dover proporre le sue personalissime canzoni ad un pubblico decisamente in vena di ‘ortodossia’ e le sue visioni chitarristiche e narrative vengono sonoramente fischiate.

Ma già incalza la serata e Robben Ford è pronto a presentare la sua raffinata versione del ‘power trio’, tenendo la audience con il fiato sospeso grazie al tipico equilibrio fra tecnica e feeling, caratteristica che lo rende, forse, uno dei personaggi chiave della chitarra odierna.
Rilassato, calmo, ‘educatissimo’, è la rappresentazione vivente di come non sia necessario digrignare i denti per suonare con passione.
E poi c’è il grande Jeff (Healey, ovviamente), questo ragazzo canadese che, a brevissima distanza dalla sua entrata sulle scene, è ormai a due passi dal diventare un mito. Ho già sentito da molti la stessa canzone, di come nel suo successo contino molto la cecità e la tecnica inusuale, ma sui fatti non si può discutere e quella che Healey proietta dal momento esatto in cui suona la prima nota è pura energia, quel tipo di propellente che è alla base del rock stesso. Poi si potrà anche discutere sul suo essere più o meno innovativo, sulla qualità delle canzoni o l’efficacia della sezione ritmica, ma Jeff è in grado, con la sua bella voce e la chitarra lancinante, di trascinare con sè il pubblico e comunicare emozione. Non è poco.

Stendiamo un velo pietoso sulla imbarazzante session con un John Martyn ai limiti della confusione mentale grazie a una giornata nera e all’alcool, e arriviamo al terzo giorno con una ouverture tutta italiana. La simpatia di ‘Anna e le sue sorelle’ che strizzano l’occhio ad Aretha, la carica dei Ladri di Biciclette, lanciatissimi quest’estate sull’onda dell’ultimo album, danno una bella scossa al pubblico che si trova così nella giusta predisposizione d’animo per accogliere Gatemouth Brown, vecchio marpione quasi settantenne e personaggio chiave di quella miscela musicale che nel Texas attinge dal blues, dallo swing e anche dal country. I suoi tipici, veloci fraseggi di chitarra, quasi fiatistici, piacciono alla gente quanto gli intermezzi in cui sfrutta disinvoltamente il violino. Magrissimo, con un grande cappello da cowboy e la pipa sempre pronta, interpreta efficacemente con un sorriso intrigante i suoi vecchi successi e i pezzi dell’ultimo album, Standing My Ground.
Dopo di lui ci sarebbe dovuto essere un altro texano, Albert Collins, ma, si sa, l’uomo prevede e … Ecco dunque Chaka Khan, voce straordinaria prestata a tanti dischi importanti, una onorata carriera con i Rufus e poi come solista, pronta a darsi in pasto al pubblico che questa volta protesta sonoramente chiedendosi che cosa abbia a che vedere la dance con il blues…beh, non vorrei entrare in polemiche inutili, ma non sarebbe possibile a volte dimostrare un pizzico di rispetto in più per degli artisti la cui unica colpa è di aver attraversato l’oceano con la loro musica senza aver studiato adeguatamente la ‘psicologia del pubblico italiano’?

Chissà… Comunque dopo di lei c’è sempre Miriam in arrivo, l’unica e sola Makeba, una signora della musica in grado di placare gli animi con la sua sola presenza, grande, materna, semplice e disarmante. Lei e le sue indiavolate coriste ci portano con sè dalle parti dell’Africa con l’aiuto di una band scarna quanto efficace. Prima del bis il comune di Pistoia offre dei fiori alla Makeba e poi si ritorna alla grande festa di ovazioni e balli.
Rimane la fatidica domanda: che cos’è dunque il blues? (dobbiamo ancora chiedercelo?)
(https://pistoiablues.com/en/edizioni-passate/storia/)

Stefano Tavernese, fonte Chitarre n. 55, 1990

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