Kentucky Roses. Bluegrass al femminile

Un articolo completo dedicato alle donne nel bluegrass scritto venti anni fa poteva esaurirsi in una scarsa paginetta. Un’attenta ricerca su quanto veniva scritto su riviste americane in passato riguardo alle Ladies of Bluegrass fa scoprire che la maggior quantità di inchiostro è stato consumato nell’analisi e nell’esposizione delle motivazioni per cui il mondo dell’erba-blu fosse popolato quasi esclusivamente da maschietti o, al contrario, delle ragioni di una oggettiva difficoltà che vedeva le donne faticare per potersi affermare in quel mondo musicale. Spesso il tutto si concludeva con un monito di incoraggiamento nei confronti di una timida realtà che cominciava a dare segni positivi.

Oggi, per fortuna, l’argomento è ampio, tanto da poter convincere il cronista di turno a tralasciare quelle motivazioni per andare direttamente al nocciolo: sono molte, incidono ottimi dischi, dirigono gruppi, sono grandi entertainers e, in definitiva, sono la vera nuova linfa che garantisce a questa musica un sicuro e felice futuro. Certo tutto non è successo in questi ultimi vent’anni, ma mai come oggi le donne hanno ricoperto una tale importanza nel mondo della musica bluegrass. E non che in passato mancassero dei veri talenti, mancavano piuttosto le condizioni perchè questi talenti potessero affermarsi in piena libertà.

Come nella country music, infatti, il ruolo della donna nel bluegrass era subordinato a quello dell’uomo ‘protettore’; poteva quindi far parte di una formazione in cui era presente il marito, il fratello o soltanto il cugino, ma fondamentale era la figura di un uomo che potesse garantire l’integrità morale della donna musicista. Così, per ascoltare voci femminili del passato, il collezionista deve necessariamente acquistare materiale sonoro relativo soprattutto a coppie di coniugi o, più raramente, a gruppi (pochissimi in verità) formati da donne, come nel caso delle Coon Creek Girls che nel 1937 raggiunsero buona fama in tutto il Sud grazie al ‘Renfro Valley Barn Dance’ o, più tardi delle Girls Of The Golden West o, infine, delle sorelle DeZurik .

Le coppie, per lo più, arrivavano da un contesto di country tradizionale adottando in seguito una strumentazione propria del bluegrass, e offrivano nei loro show un repertorio indirizzato alle famiglie: canzoni di buoni sentimenti, sempre intrise di una forte morale e, naturalmente, un’ampia gamma di brani religiosi. Non scordiamo d’altronde che le situazioni live, nel periodo antecedente alla Seconda Guerra Mondiale, erano date da auditori in scuole, chiese e piccoli teatri di provincia. Così, a differenza ad esempio del blues, il cui ‘circuito’ poteva vantare principalmente locali notturni, oltre naturalmente a tutte le possibili situazioni occasionali, nei quali i musicisti, uomini o donne, si esibivano per un pubblico che non aveva ancora deciso di consegnarsi a quei sentimenti di rassegnazione, o meglio, speranza, accomunabili alla musica spiritual e gospel, e che piuttosto cercava di vivere la triste realtà dando sfogo a quella vitalità, ma anche rabbia, repressa dalla società che li circondava.

Così mentre Ma Rainey e Bessie Smith alla loro attività discografica riuscivano ad accompagnare un’attività live in locali notturni, alle colleghe bianche del Sud Est non restava che addolcire l’ambiente domestico al suono di autoharps o dulcimers, o far parte del coro della vicina chiesa.

L’affermazione delle donne nella musica country fu solo una conseguenza della loro emancipazione a livello sociale. Durante la Seconda Guerra Mondiale, con mariti e fratelli impegnati sotto le armi in Europa, le donne si videro costrette ad adempiere ruoli fino ad allora a loro negati, lavorando in fabbrica o portando avanti l’intero nucleo familiare: questo fu un decisivo momento di svolta che le incoraggiò e che diede loro fiducia e quella forza per imporsi socialmente, stravolgendo di fatto, con grande fatica e forza di volontà, quella condizione che le vedeva relegate all’ambiente familiare e che non consentiva loro nemmeno di ipotizzare un futuro lontano dal focolare domestico. I libri di storia riportano di qualche isolato caso di successo femminile prima della Guerra, un esempio può essere quello di Patsy Montana che con la sua I Want To Be A Cowboy’s Sweetheart (1935) spopolò a livello nazionale vendendo milioni di copie del suo disco.

Dal punto di vista strumentale non possiamo esimerci dal segnalare l’importanza che alcune donne hanno avuto nello sviluppo delle tecniche sugli strumenti, prime fra tutte le sorelle Carter (Sara e Maybelle) che, esibendosi con A. P., il marito di Sara, erano loro ad occuparsi dell’accompagnamento strumentale in quanto A. P. si limitava ad offrire un apporto vocale nei cori oltre che a scrivere la maggior parte delle canzoni. La tecnica chitarristica di Maybelle, oggi conosciuta come ‘Carter Style’, le consentiva di effettuare dei veri e propri assolo ripetendo la melodia dei pezzi sulle corde basse; da qui – insieme ai ‘fraseggi di riempimento’ utili per legare una strofa cantata all’altra, che possiamo bene ascoltare anche nei dischi di Jimmie Rodgers – nascono i tipici ‘bass runs’ della chitarra bluegrass.

Altre figure di una certa rilevanza, anche se quasi sempre oscurate dalla personalità del marito o del padre, erano quelle di donne che si occupavano esclusivamente di accompagnare strumentalmente il loro uomo, come nel caso di Rosa Lee Carson che alla chitarra sosteneva suo padre, il mitico violinista Fiddlin’ John Carson, oppure, giusto per fare qualche nome, Hattie Stoneman, della Stoneman Family o Eva Thompson Jones, Irene e Mary Lee Eskew della Blind Andy Jenkins Family, ecc.

Il grande successo commerciale, a livello nazionale, viene però raggiunto solo nel 1952 con It Wasn’t God Who Made Honky-Tonk Angels registrato da Kitty Wells, all’epoca già trentatreenne e con tre figli. Kitty Wells, insieme a Patsy Cline, fu la donna che nel Dopoguerra diede la definitiva spinta propulsiva ed aprì le porte a tutte le altre ragazze desiderose di fama e di affermazione nel campo della country music. Dopo di loro ne vennero a centinaia, da Jean Shepard a Martha Carson, da Goldie Hill a Brenda Lee e ad una infuriata Wanda Jackson che trovò in seguito nel rockabilly la sua vera valvola di sfogo.

Ma nel bluegrass? Come sappiamo, questo genere nasce nella prima metà degli anni `40 grazie all’intuizione, ma anche alla determinazione del kentuckiano Bill Monroe nel voler creare qualcosa di nuovo. Il bluegrass è una forma di country music che soltanto a metà degli anni ’50 cominciò ad essere riconosciuta con questo nome.

Consentitemi a questo punto di citare Neil Rosenberg, che nel suo libro Bluegrass, A History, volendo dare una sintetica definizione al genere, sostiene che “il bluegrass stà alla country music come il jazz al blues”. Credo che Rosenberg abbia coniato la migliore definizione possibile per comunicare con poche parole dove si può collocare questo genere all’interno dell’intero panorama della musica americana. Suonato con strumenti acustici quali la chitarra, il mandolino, il banjo a cinque corde, il contrabbasso, il violino (fiddle) e più tardi il dobro, il bluegrass altro non è che lo sviluppo, direi tecnico, della musica delle vecchie string bands, ma con una pesantissima dose di blues, gospel e jazz.

Ma se da una parte, quella strumentale, viene affermata la volontà di rendere ‘progressivo’ un suono già in parte esistente, grazie alla tecnica fortemente jazz del fiddle, del ‘levare’ del mandolino insieme ai suoi velocissimi assolo bluesati, e della nuova, rivoluzionaria tecnica ‘Scruggs’ del banjo, dall’altra, quella vocale, ci si preoccupa di dare una nuova impostazione ai cori, di rendere più ‘lonesome’ la voce lead, ma si ‘trascura’ l’aspetto relativo al repertorio.
In altre parole, il bluegrass poteva giustamente essere definito un genere assolutamente nuovo per quanto concerne la tecnica strumentale e vocale, ma le canzoni rimanevano nello stile principalmente quelle che si erano ascoltate in passato, e quelle nuove in gran parte erano fedeli ad una concezione ed ai valori espressi fino ad allora. Questo a dimostrazione che i tempi non erano ancora maturi perchè delle donne potessero esprimere la loro personalità artistica in quel contesto musicale: la società del Sud rurale non si era ancora aperta culturalmente al mondo esterno e le grosse città del Nord erano ancora lontane anni-luce dalle comunità della zona degli Appalachi. La presenza delle donne in questo genere fu infatti scarsa sin dall’inizio.

Nel periodo pre-bluegrass dei Bluegrass Boys di Bill Monroe vi era una figura femminile, alquanto marginale, quella di Wilene ‘Sally Ann’ Forrester alla fisarmonica, moglie del fiddler Howdy Forrester. Non ve ne sono molte altre meritevoli di menzione, possiamo sostenere quindi che le donne, almeno in questa prima fase dello sviluppo della musica bluegrass, erano coinvolte nel business solo se, come in passato per la country music in generale, venivano affiancate da una figura maschile.
Numerose erano le coppie di coniugi che prima della nascita del bluegrass si esibivano in un repertorio di traditional country music e che, in seguito, decisero di non elettrificare gli strumenti, ma piuttosto di inserire nell’organico che li accompagnava una strumentazione tipica del bluegrass.

Tra queste vanno ricordate certamente Lulu Belle & Scotty, una coppia in voga negli anni ’40, riscoperta nei primi anni ’60 quando la Starday Records, per soddisfare il pubblico urbano stimolato dal folk revival, ristampò il loro vecchio materiale. Altra accoppiata vincente fu quella di Wilma Lee & Stoney Cooper. Entrambi originari di Randolph County, West Virginia, si sono esibiti insieme per qualcosa come 45 anni, a partire dal 1940, anno del loro matrimonio, eseguendo una country music tradizionale con strumenti acustici, a parte un periodo negli anni ’60 in cui elettrificarono il suono. Sempre nella tradizione dei duetti ‘husband & wife’, anche se la loro attività ha inizio nei primi anni ’60, vanno certamente segnalati Delia Bell & Bill Grant. Hugo, in Oklahoma, è la loro città di provenienza, hanno inciso alcuni ottimi album di bluegrass forti di uno stile vocale reminiscente della tradizione Stanley, quindi grezzo, senza fronzoli, ad evocare il triste e malinconico stile delle montagne appalachiane.

Di Delia Bell & Bill Grant possono essere consigliati almeno quattro albums, tutti stampati nella prima metà degli ’80, due per la Rebel Records, due per la Rounder Records; tra questi ultimi indicherei A Few Dollars More come obbligatorio per chi decidesse di farsi una buona discografia bluegrass, in quanto i coniugi sono accompagnati dai mitici Johnson Mountain Boys e dai fratelli Jerry e Del McCoury. Un album davvero splendido sia per interpretazione che per scelta del repertorio, poichè Delia & Bill hanno per l’occasione avuto la buona idea di pescare oltre che nel mare dei traditionals, anche nel vasto repertorio di alcuni celebrati autori country come Hugh Moffatt, Marty Robbins e Jim Rushing.

Prima di passare alle soliste, aprirei una breve parentesi dedicata alle famiglie del bluegrass, ovvero il giusto compromesso per una donna fra l’intraprendere una carriera da musicista e il tirar sù figli. Potrei evitarla visto che il loro livello artistico medio è piuttosto basso, ma soprattutto perchè il loro target di riferimento negli USA non può, per fattori culturali, essere lo stesso rapportato in una situazione come quella italiana.
Una delle famiglie più importanti, con una storia quasi secolare alle spalle, è quella degli Stoneman. I loro dischi coprono tutto il panorama della musica country americana, dall’old time al bluegrass al traditional country. La Stoneman Family è una famiglia che ha prodotto tanti musiciti di scarsa rilevanza, ma dalle sue fila sono usciti anche grandi musicisti come Donna e, soprattutto, Scotty, quel favoloso fiddler che ha collaborato tra gli altri con i Kentucky Colonels di Clarence White.

Oggi la family band più famosa in America è certamente la Lewis Family, la quale si esibisce in veste acustica con accompagnamento strumentale bluegrass, ma i suoi dischi dividono quel sound con una country music sostenuta da batteria e a volte pedal steel guitar. Avendo avuto personalmente occasione di valutarne l’effetto live, posso sostenere che quel tipo di bluegrass-gospel che ha dato possibilità alla Lewis Family di esibirsi in prestigiosi teatri come il newyorkese Lincoln Center, ha davvero poco da spartire con i gusti dei fans di casa nostra.
Evito di dilungarmi sull’argomento segnalando che oggi negli States le family bands non si contano, ma probabilmente al momento l’unica sulla quale vale la pena di ‘investire’ del denaro è la sola Cox Family, della quale abbiamo recensito il loro secondo disco Rounder su uno degli ultimi numeri. Il loro stato di origine è la Louisiana, ma in questo periodo la loro fama è cresciuta in tal maniera da obbligare i cinque Cox a lunghissime trasferte lontano dal loro home state. I motivi del loro successo vanno certamente attribuiti alle qualità d’autore dell’unico figlio maschio, Sidney, come alle notevoli doti vocali delle figlie, in special maniera Suzanne.

Interessante, ma anche in questo caso poco appassionante, è la realtà delle formazioni di sole donne. Per dovere di cronaca ne riporto giusto un paio: le Wildwood Pickers dell’Illinois è un gruppo che negli anni ha subito un gran numero di modifiche d’organico, ma in origine era quasi una family band, in quanto era formato da tre sorelle e dalla loro madre. Le New Coon Creek Girls possono probabilmente essere considerate la migliore all-girls bluegrass band; in grado di reggere tranquillamente il palco a fianco a veterani del genere, le quattro belle ragazze hanno ampiamente dimostrato di essere delle ottime musiciste e cantanti. Infine, ma si potrebbe andare avanti, le californiane Sidesaddle, meno dotate delle loro colleghe New Coon Creek Girls, ma meritevoli tuttavia di attenzione.

Veniamo dunque alle soliste, le nuove stelle del bluegrass femminile, vera ragione di questo articolo. Le note di copertina di un disco Folkways datato 1965 di Hazel Dickens e Alice Gerrard sostenevano che in quel periodo le due ragazze erano forse le sole a proporre bluegrass, giacché tutte le altre si erano date ormai al country & western o al pop-gospel; in verità quell’LP, registrato con l’apporto strumentale di due veterani Bluegrass Boys, il fiddler Chubby Wise e il banjoista Lamar Grier insieme ad un giovane talento di nome David Grisman al mandolino, era stato preceduto da alcuni altri dischi, purtroppo oggi introvabili, come per esempio quello inciso nel 1962 insieme a Red Smiley & Don Reno e Bill Monroe, da una grintosa signora conosciuta soprattutto nella West Coast, Rose Maddox.

Ancora oggi attiva nonostante l’avanzata età, Rose Maddox è da considerare uno dei personaggi femminili più importanti della country music. Memorabili le registrazioni di alcune trasmissioni radiofoniche effettuate in California nei primi anni `40 insieme ai suoi ben quattro fratelli, ristampate dalla solerte Arhoolie Records, come i due dischi bluegrass incisi con l’aiuto dell’ottima Vern Williams Band e assemblati recentemente in un unico CD dalla stessa etichetta di El Cerrito.
Tornando a Hazel Dickens e Alice Gerrard, vanno segnalate certamente le numerose incisioni che seguirono quel Who’s That Knocking del `65; i loro dischi si possono trovare infatti nei cataloghi Folkways, Rounder, Arhoolie e Rebel, e sono una pregevole testimonianza di rigorosa fedeltà alla tradizione country e bluegrass.

Con un salto temporale di diversi anni che ci costringe a tralasciare qualche prodotto discografico comunque di scarso rilievo, giungiamo ad un disco registrato all’inizio del 1977 che dà il via alla produzione discografica di una delle più interessanti formazioni bluegrass contemporanee: The Good Ol’ Persons (Bay Records LP-208). La fotografia che ritrae il sorridente gruppo formato da quattro donne e un solo maschietto ci fa scoprire due nostri grandi amori in tenera età: Laurie Lewis e Kathy Kallick. Il disco, credo ormai davvero introvabile, è sorprendentemente valido, propone ben 17 canzoni nello stile old time e bluegrass, e rivela senza ombra di dubbio i due eccezionali talenti oggi tanto apprezzati dal ‘grande’ pubblico.

Kathy Kallick da quel lontano 1977 ha portato avanti la band reclutando, insieme a Paul Shelasky, altro membro originale del gruppo, uno dei migliori mandolinisti sulla piazza, John Reischman, e una simpatica dobroista che riesce a tener quasi testa al pluridecorato Jerry Douglas, Sally Van Meter. Sia quest’ultima che la stessa Kathy hanno recentemente inciso dei dischi a loro nome per la Sugar Hill Records, entrambi bellissimi ma solo in parte bluegrass, infatti una delle caratteristiche dell’erba blu californiana è che il bluegrass da quelle parti non sopporta quella rigida gabbia stilistica e tende quindi ad aprirsi a sonorità di diversa derivazione, mexican, jazz, pop, ecc.

Dei Good Ol’ Persons è consigliabile l’intera, purtroppo scarsa discografia: il problema però è dato ancora una volta dalla reperibilità del materiale, visto che la Kaleidoscope Records ha recentemente chiuso i battenti ed ha venduto i diritti tanto alla Rounder quanto alla Rhino Records: speriamo davvero che i loro tre dischi rivedano presto la luce.
Laurie Lewis, delle californiane che hanno a che fare col bluegrass, è sicuramente quella che sta raccogliendo maggiori soddisfazioni. Nel 1992, infatti, la dolce Laurie si è aggiudicata la palma di “Miglior voce femminile dell’ anno”, gentilmente offerta dalla International Bluegrass Music Association in quel di Owensboro, Kentucky. Un meritato premio a coronare una carriera segnata da una serie di splendide incisioni, prima per la piccola Bonita Records, poi per la Flying Fish, quindi per la Rounder.

Difficile dire quale disco è più meritevole di attenzione, ogni incisione regala infatti grandi emozioni, dal tradizionalissimo primo Grant Street String Band (1983) al successivo e più vario Restless Rambling Heart (1986), prodotto da Tim O’Brien il quale le fa regalo di una ancora inedita Hold To A Dream, il disco contiene alcune gemme di rara bellezza, brani country elettro-acustici, tradizionali e pezzi originali che rivelano una vena compositiva di grande sensibilità creativa.

La strada tracciata da quest’ultimo prodotto viene ripercorsa nel 1989 con Love Chooses You, un disco dalle simili caratteristiche ma più elettrico, per molti il più bello della sua produzione. Nel 1990, sempre per la Flying Fish, esce Singin’ My Troubles Away, completamente acustico e dal suono più tradizionale grazie anche al 5-string di Tony Furtado (che si rivelerà uno dei migliori banjoisti progressivi di questi anni 90). Il pubblico italiano sentirà forse un particolare legame con questo CD in quanto Laurie con la sua band nel maggio del 1991 si è esibita a Milano di fronte ad una platea di 250 persone che certamente porta ancora nel cuore le canzoni in esso contenute.

La sua discografia si chiude con True Stories del 1993, e la vede passare alla Rounder Records. Questa sua ultima fatica è forse la più introspettiva e personale; quasi tutte le canzoni sono infatti originali e la ricerca sonora si dirige ancora una volta verso più direzioni, dal Messico alla Louisiana, partendo sempre da una base apparentemente tradizionale.
Di Kathy Kallick e Laurie Lewis vorrei invitarvi a cercare anche quel Together che le vede finalmente insieme a dividere lo stesso microfono come facevano ai tempi delle loro Good Ol’ Persons. Un disco molto piacevole, inciso nel 1991 per la Kaleidoscope, che raccoglie una serie di canzoni che manifestano la comune passione delle due verso la tradizione bluegrass e una certa affinità nei rispettivi gusti musicali.

Non lasciamo definitivamente la scena californiana, almeno in parte, andando a ripescare un disco Sugar Hill (SH-3768) del 1988 che molti speravano avesse un seguito al pari di quelli della Bluegrass Album Band; mi riferisco alle Blue Rose, un quintetto tutto femminile formato, guarda caso, da Laurie Lewis, Sally Van Meter, dalla contrabbassista Molly Mason (ex Fiddle Fever) e da una coppia uscita solo per l’occasione dai Rhythm Ranch: Cathy Fink e Marcy Marxer. Il disco purtroppo rimane l’unica esperienza di questa improvvisata formazione, nonostante fosse stato accolto con gioia sia dal pubblico che dalla critica. Il suono ricorda da vicino i Good Ol’ Persons e molti dischi stampati in California (come mi pare di aver già detto in passato, laggiù il bluegrass suona diverso…).

In realtà quello delle Blue Rose non fu il primo tentativo di mettere occasionalmente insieme un gruppo femminile, infatti facendo un salto a ritroso verso il 1982 si può scoprire che a san Francisco una mandolinista oggi uscita dalla scena (quella bluegrass almeno) di nome Robin Flower aveva diligentemente raccolto a sè una buona banda di ragazze per incidere un piacevole disco intitolato Green Sneakers (Flying Fish FF-273) composto quasi esclusivamente da composizioni della stessa Robin.
Piacevoli troverete anche le 10 canzoni raccolte nel 1989 in un LP di Cathy Fink & Marcy Marxer (Sugar Hill SH-3775), un disco non propriamente bluegrass ma sicuramente d’interesse per i suoi fans, per gli strumenti usati, tutti acustici, e per la scelta del repertorio (Mary Chapin Carpenter, Hugh Moffatt, A.P. Carter, ecc.).

Inequivocabilmente bluegrass è invece quello che Rhonda Vincent suonava quando faceva parte della family band capitanata, ovviamente, da papà Johnny, il Sally Mountain Show. Era solo una teenager e già si parlava di lei, ma solo quando riuscì a prendere il volo dal nido familiare verso la fine degli anni ’80 riuscì a conquistare la meritata notorietà nazionale. Ha finora inciso tre dischi per la Rebel Records, tutti molto belli e a metà strada tra bluegrass e country music: il primo, cooprodotto da Jerry Douglas e la stessa Rhonda nel 1988, è forse il più valido, ma solo forse, perchè i due successivi sono entrambi di altissimo livello.
I musicisti che accompagnano Rhonda Vincent in New Dreams And Sunshine sono quanto di meglio si possa ascoltare da artisti bluegrass, da Bela Fleck a Russ Barenberg, da Bobby Hicks a Jerry Douglas. Nei pezzi elettrici si aggiungono la batteria di Kenny Malone, le pedal steel di Jim Vest e Terry Crisp e il piano di Buck White. Su tutto, le splendide voci in armonia di David Parmley, Kathy Chiavola, Charlie Louvin e Wayland Patton… non si può davvero chiedere di meglio.

Il successivo A Dream Come True del ’90 è completamente acustico, ma ciò nonostante la scelta dei pezzi è dichiaratamente country, gli autori disturbati per l’occasione sono infatti Carl Jackson, Larry Cordle, Pat Alger, Charlie Louvin e Steve Earle. Anche in questo caso è possibile ascoltare grandi musicisti bluegrass, quelli che, per intenderci, risiedono a Nashville e lavorano a cottimo per le tanto celebrate attuali stars della country music.
L’anno seguente esce Timeless And True Love e chiude la collaborazione con la piccola Rebel Records. Ancora una manciata di belle canzoni ben cantate e ben suonate, ma nulla da aggiungere a quanto fatto in passato; unica nota rilevante è che ai soliti altisonanti nomi si aggiungono quelli delle due più famose Alison del bluegrass, Krauss e Brown.
Poco tempo fa Rhonda Vincent ha firmato un contratto con una major, la Giant Records, giusto a confermare quanto mi ‘rivelò’ Butch Baldassari, un noto mandolinista e oggi produttore bluegrass, riferendosi a lei: “…Rhonda? Oh, she’s the best!” (Parte prima – continua)

Maurizio Faulisi, fonte Out Of Time n. 4, 1994

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