Sun Records

Era da tempo che se ne parlava. Addirittura una delle prime session di questo tributo risale al 1998, quella di Van Morrison con Carl Perkins, Nel frattempo Perkins è morto, e questa è la sua ultima session documentata su disco. Ma il progettato tributo all’eredità della Sun Records, come titola il CD, è andato avanti grazie all’incrollabile passione dei suo ideatore, il leggendario fondatore dell’Atlantic Records Ahmet Ertegun (“The oldest person still messing around with rock and roll”, la persona più vecchia che abbia ancora a che fare con il rock’n’roll, come dice lui ironicamente). Fu Ertegun, infatti, nel ’54 a produrre Shake, Rattle And Roll di Big Joe Turner, uno dei tanti brani che si vogliono indicare come il primo esempio di rock’n’roll. Non c’è solo il disco, comunque. C’è anche un filmato (che è andato in onda sul canale televisivo americano PBS alla fine di novembre) con la partecipazione delle star coinvolte al progetto più una performance di Jerry Lee Lewis con i Matchbox Twenty e una reunion di anziani bluesmen del Delta ancora vivi.

Il tributo esce, fortunosamente, in coincidenza dei cinquant’anni dall’inizio dell’attività ufficiale della Sun Records di Sam Phillips, nel 2002. Il cast è ottimo: come potrebbe essere altrimenti con gente come Paul McCartney che insieme a Lennon ha dato vita ai Beatles solo perché innamorato follemente dei 45 giri che la Sun Records produceva, o come Bob Dylan, che ha sempre detto che la cosa che avrebbe voluto di più nella sua vita era riuscire a fare un disco con lo stesso sound di quelli della Sun?

Azzeccati sono poi l’Elvis Presley francese, Johnny Hallyday, e Chris Isaak, il cantante contemporaneo che più si ispira (in modo perfettamente riuscito) alla voce ‘soprannaturale’ di Elvis e, in un certo modo, anche a quella di un altro grande della Sun, Roy Orbison.
Altri nomi prescelti sono più avventurosi; ad esempio, tra le vecchie glorie, quelli di Jimmy Page e Robert Plant (ma i Led Zeppelin furono profondamente connessi con l’onda lunga generata dalla musica della Sun), Elton John, Van Morrison, Clapton, Brian Ferry. Ci sono, ovviamente, esponenti delle nuove leve: ‘prezzemolo’ Sheryl Crow, che ha rubato il posto a Elvis Costello come musicista onnipresente a qualsivoglia tributo, i Matchbox Twenty, i Live e gli Howling Diablos insieme a Kid Rock.

È curioso che Paul McCartney non si sia mai recato, nella sua lunga carriera, a visitare gli studi della Sun, mentre Elton John c’è stato per la prima volta solo quest’anno. Bob Dylan, invece, è quasi di casa alla Sun Records, un luogo che per lui deve essere una specie di santuario. Racconta Sam Phillips che all’inizio dell’anno Dylan, mentre si trovava a Memphis per un suo concerto, telefonò chiedendogli se si potevano incontrare. “Venne a casa mia”, racconta, “e passammo insieme il pomeriggio. Era appena stato in Arkansas e voleva vedere i luoghi storici dove tutto cominciò, anche le piantagioni dove la gente raccoglieva il cotone e le cose che facevamo per vivere quando qui erano tutti dei contadini. Siamo andati in giro per Memphis e per la campagna. Non mi sono mai divertito ad andare in giro con qualcuno come quella volta. Dylan è un tipo che non è a suo agio con la gente, ma con me si aprì completamente. Sono un suo fan. Tutti dicono che non sa cantare. E la ragione perché non sa cantare è perché è troppo bravo.”

“Sono enormemente orgoglioso di questo disco”, ha poi aggiunto Phillips. “E non vi ho assolutamente preso parte. Non volevo avere nulla a che farci. Sono stato presente a una sola registrazione, quella dei Matchbox Twenty a Los Angeles. È stato davvero emozionante vedere cosa quei ragazzi abbiano fatto di quel brano (Lonely Weekend, nda) e lo abbiano reso completamente differente. Ma era questo il motivo per cui non ho voluto prendere parte al progetto. Volevo vedere se il desiderio di libertà è ancora vivo. E in questo disco puoi sentire la libertà. Perché è stata la libertà quella che ci fece fare i dischi, ai tempi della Sun Records. Volevo solo dare a quei musicisti una possibilità di sentirsi liberi come non era mai stato loro possibile nella loro vita.”

Ma vediamo il disco nel dettaglio. Paul McCartney prende coraggiosamente in mano il primo leggendario 45 giri che Elvis incise e che lanciò la sua carriera, That’s All Right. Il risultato è perfetto, divertente come doveva essere, e visto l’accompagnamento di Scotty Moore (il chitarrista di Elvis, che incise nel ’54 il leggendario brano) e di D.J. Fontana, in seguito batterista dello stesso Elvis, non poteva che essere così. Da notare come McCartney abbia mantenuto nella voce il classicissimo eco ‘alla Sun’.

Ricca di fascino è Mystery Train, eseguita da una coppia d’eccezione, Jeff Beck alla chitarra (suonata con il giusto carico di ‘mistero’) e Chrissie Hynde alla voce (in una performance dagli espliciti riferimenti sessuali, proprio come fece Elvis). Jimmy Page e Robert Plant sono una delle sorprese più riuscite del disco: rivedono in formato acustico e piuttosto country blues, ma mantenendo il feeling rockabilly dell’originale, My Bucket’s Got A Hole In It dí Sonny Burgess.
Johnny Halliday è simpaticamente ‘classico’ e coinvolgente con Blue Suede Shoes; con lui alla chitarra il valido Chris Spedding. Elton John dimostra che aver inciso un bel disco come Songs From The West Coast gli sta facendo solo del bene: si cimenta con uno dei super classici della Sun Records, quella Whole Lotta Shakin’ Going On resa immortale da Jerry Lee Lewis, e lo fa alla grande, con una performance lanciata a tutta birra. ‘Eco alla Sun’ anche nella voce di Elton.

Splendida è Blue Moon Of Kentucky, che Elvis andò a pescare nel repertorio bluegrass di Bill Monroe facendola completamente sua: Tom Petty e i suoi Heartbreakers esprimono tutta la gioia e il senso di libertà che Elvis immise nel brano, dandole un evidente approccio rock’n’roll. Dispiegata come un raffinato brano R&B è la rilettura che Van Morrison e Carl Perkins (l’unico dei grandi vecchi che prende parte al tributo) fanno di Sittin’ On Top Of The World, decisamente di alta classe. Il brano è noto per l’incisione di Howlin’ Wolf del ’57 per la Decca, ma nel ’51 Wolf registrava per Phillips. Brian Ferry se la cava bene facendo un pò l’Elvis nella sua Don’t Be Cruel, con il supporto di Scotty Moore, D.J. Fontana e Mark Knopfler, che però si limita alla chitarra ritmica.

Bob Dylan… be’, in stile con il suo recente Love And Theft rallenta in chiave swing Red Cadillac And A Black Moustache (che dal vivo, negli anni Ottanta, con Tom Petty faceva invece in una versione furiosa e devastante), uno dei brani rockabilly più celebri, inciso ai tempi da Warren Smith. Sorprendente e affascinante è la performance di Eric Clapton insieme agli Impressions in Just Walkin’ In The Rain: niente blues ma una scintillante performance corale in stile con l’originale, che Phillips incise nel ’53 con i leggendari Prisonaires, un gruppo vocale composto da detenuti del penitenziario del Tennessee.

Lonely Weekend, forse il brano più famoso di Charlie Rich, è letteralmente devastata dai Matchbox Twenty (dal vivo) che ne fanno un brano rock dei loro. Ancora Charlie Rich per Sheryl Crow, alle prese con Who Will The Next Fool Be?. ‘Prezzemolino’ Sheryl se la cava sufficientemente bene, mantenendo lo spirito anni 50 ma con un piacevole tocco di modernità.
Chris Isaak è da brivido in It Wouldn’t Be The Same Without You: canzone di Hank Williams, è qui presente per sottolineare la connessione tra la musica country antecedente la Sun con il rock’n’roll che da lì prese il via, la stessa funzione (sul versante black) che svolge Sittin’ On Top Of The World. Isaak la fa come l’avrebbe potuta fare Elvis ai tempi d’oro.

Decisamente sorprendenti sono i Live, che rileggono l Walk The Line di Johnny Cash mantenendone l’approccio country. Ma dove Cash esulava nel quasi rockabilly, i Live esaltano lo spirito drammatico e misterioso della musica country. Una delle cose migliori del disco. Così come è riuscita la devastazione che Kid Rock con gli Howling Diablos fanno della leggendaria Drinkin’ Wine Spo-Dee-O-Dee: se non si conosce il significato del brano non si può capire perché Kid Rock riesca così bene nell’impresa. Ai tempi, Drinkin’ Wine Spo-Dee-O-Dee (la scrisse e incise Stick McGhee ma la rese famosa Jerry Lee) era considerato uno dei brani più sovversivi e licenziosi mai incisi e stava a significare la voglia di libertà e di divertimento dei ragazzi che si spaccavano la schiena nei campi di cotone quando il sabato sera finalmente arrivavano a Memphis per divertirsi. Kid Rock dimostra di divertirsi, e parecchio. Alla sua maniera, ovviamente.

C’è infine una bonus track, un altro brano di Hank Williams, la classica You Win Again riproposta fedelmente da Mandy Barnett (cantautrice country accomunata dalla critica alla leggendaria Patsy Cline) accompagnata nientemeno che dai Jordanaires, il gruppo vocale che accompagnò Eivis. Come dire: riportando tutto a casa, adesso…
Come dice Sam Phillips di questo disco: “is one helluva record!”

Paolo Vites, fonte JAM n. 77, 2001

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